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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 26/05/2022 Scarica PDF

Revocatoria fallimentare dei pagamenti del terzo, delegazione di pagamento e rimesse bancarie

Pietro Gobio Casali, Avvocato in Mantova


Sommario: 1) La revocabilità dei pagamenti del terzo prima e dopo il Codice della crisi; 2) Pagamento con denaro del fallito e pagamento con mezzi propri; 3) Revocatoria e delegazione di pagamento; 4) Delegazione senza rivalsa e persistenti dubbi sul danno nella revocatoria; 5) I pagamenti del terzo sul conto corrente: rimesse bancarie e negozi collegati. 

 

1. La revocabilità dei pagamenti del terzo prima e dopo il Codice della crisi

La disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, prevista dall’art. 67 l.fall., è ora contenuta nell’art. 166 del Codice della crisi d’impresa (D.Lgs. n. 14/2019). L’impianto normativo precedente non è mutato, salvo per il fatto che in base all’art. 166 il termine a ritroso per l’esercizio dell’azione decorre sin dal deposito della domanda cui segue l’apertura della procedura concorsuale e non più da quando questa è dichiarata[1].

Si ripresentano anche oggi, dunque, i problemi interpretativi che hanno afflitto la dottrina e la giurisprudenza in tema di revocatoria, con particolare riguardo - per quanto qui interessa - ai pagamenti eseguiti da un soggetto diverso dall’imprenditore decotto.

Più in generale, non pare che le novità sistematiche del Codice della crisi consentano di ricavare indicazioni specifiche sulla funzione che questa azione riveste nel sistema concorsuale, come preciseremo oltre.   

Oggi come ieri la revocatoria consente al curatore di ottenere la dichiarazione d’inefficacia di determinati atti compiuti dall’imprenditore nel c.d. periodo sospetto. Appare dunque fisiologico che sia volta a paralizzare gli atti pregiudizievoli compiuti direttamente dal fallito, tanto è vero che l’art. 66 l.fall. (ora art. 165 cod. crisi), relativo alla revocatoria ordinaria esercitata nel corso del fallimento, parla di “atti compiuti dal debitore”.

A prima vista potrebbero quindi sembrare irrevocabili, ovvero non rientranti nella logica del sistema, gli atti che non sono stati compiuti dal debitore insolvente bensì da terzi. Ma basta un’esegesi attenta della legge fallimentare – e ora del Codice della crisi – per capire che la revocatoria non è limitata alle operazioni di stretta pertinenza del fallito. Ad esempio l’art. 67 comma 1 n. 4 l.fall. contempla la revocatoria delle ipoteche giudiziali, garanzie costituite addirittura contro la volontà dell’obbligato. 

Se poi si limitasse l’azione alle sole operazioni compiute dal fallito, sfuggirebbero all’impugnativa numerosi atti a lui riconducibili, in quanto compiuti da suoi intermediari[2] (banche, gestori di carte di credito etc.). Ne conseguirebbe una lesione della par condicio creditorum, con grave menomazione del meccanismo di reintegrazione del patrimonio fallimentare predisposto dal legislatore.

Sulla base di queste osservazioni si ritengono soggetti a revoca anche i pagamenti di debiti del fallito eseguiti da un soggetto terzo, secondo lo schema previsto dall’art. 1180 c.c. L’assunto non è valido in assoluto, poiché la revocatoria dovrebbe colpire le prestazioni pregiudizievoli per la massa[3] e, d’altro canto, queste dovrebbero essere in qualche modo riferibili al soggetto insolvente. Ecco perché appare necessario effettuare alcune distinzioni.

 

2. Pagamento con denaro del fallito e pagamento con mezzi propri

Anzitutto la soggezione alla revocatoria è giustificata laddove il terzo esegua la prestazione con denaro del fallito, quale suo incaricato.

In tal caso la prestazione è revocabile come se fosse stata eseguita dal debitore[4]: la riconducibilità del pagamento a costui è netta e l’accipiens dovrà subire l’impugnativa, posto che l’atto incide sul patrimonio dell’imprenditore. Così, se il terzo mutuante paga il creditore – in nome e per conto del debitore mutuatario poi fallito e con somme già divenute di sua proprietà – l’accipiens subirà la revocatoria[5].

In senso contrario non rileva la sua convinzione circa l’utilizzo da parte del terzo di denaro proprio, posto che l’atto incide sul patrimonio fallimentare e che tale profilo non subisce limitazioni per stati soggettivi di buona fede diversi dalla scientia decotionis[6].

Più complesso è il caso in cui il terzo saldi il debito con mezzi propri: la prestazione, infatti, non è automaticamente imputabile al debitore, per cui la giurisprudenza effettua alcune distinzioni secondo una casistica che può essere così riassunta:

a) il pagamento del terzo è revocabile se questi si è rivalso nei confronti dell’obbligato prima del suo fallimento[7]; infatti, se il terzo ha ottenuto il rimborso, il patrimonio dell’imprenditore decotto si depaupera, con conseguente pregiudizio per la massa;

b) il pagamento non è invece revocabile se il solvens non ha esercitato la rivalsa[8]; in tal caso la massa non subisce danni poiché, se egli si insinua al passivo per il credito di rivalsa, l’ammontare dei crediti ammessi non viene modificato: semplicemente al posto dell’originario creditore si insinua il terzo per lo stesso ammontare e con i medesimi diritti[9];

c) non è soggetto a revocatoria il pagamento del terzo che dimostri di aver adempiuto quale garante[10], in quanto si limita ad attuare un diritto di garanzia che non osteggia le posizioni dei creditori concorsuali[11];

d) la rimessa del terzo sul conto corrente dell'imprenditore non è revocabile se il pagamento non è avvenuto con danaro del fallito e il terzo, utilizzatore di somme proprie, non si è rivalso sul correntista prima del suo fallimento, né ha così adempiuto un'obbligazione relativa a un debito proprio[12];

e) è invece revocabile il pagamento del terzo che sia debitore del fallito, se eseguito con denaro a questi dovuto, essendo il solvens obbligato verso il debitore (successivamente fallito) e valendo il suo pagamento ad estinguere entrambi i debiti[13].

Il quadro giurisprudenziale[14] non tiene conto del fatto che, se il terzo ha effettuato la rivalsa, è lui che crea un danno al patrimonio, non l’accipiens. La revocatoria, allora, potrebbe essere indirizzata contro quello e non contro il creditore originario, dato che è la rivalsa del solvens (e non il suo precedente pagamento) a creare un pregiudizio[15]. La giurisprudenza, però, non dà risalto a questo profilo, ritenendo che l’oggetto dell’azione debba essere il pagamento effettuato al creditore originario[16].

Nell’ottica adottata dai giudici spetta al curatore provare che l’atto solutorio è stato compiuto con disponibilità del fallito, oppure che il terzo ha effettuato la rivalsa su di lui[17].

Come vedremo, il pagamento eseguito dal terzo potrebbe ritenersi anomalo e dunque revocabile ex art. 67 comma 1 n. 2 l.fall. A tal fine non è ritenuta sufficiente la sua rivalsa, essendo necessario accertare se l'effetto solutorio si è realizzato attraverso un diverso negozio utilizzato dalle parti, in via mediata e indiretta, per eludere la regola della par condicio[18].

 

3. Revocatoria e delegazione di pagamento 

Un caso tipico in cui si verifica il pagamento di un debito del fallito da parte di un terzo è quello della delegazione di pagamento, laddove il delegante si serve del delegato per estinguere il proprio debito verso il delegatario. Il delegato-terzo paga al delegatario-creditore un debito del delegante-fallito, secondo lo schema contemplato dall’art. 1269 c.c.

Ci riferiamo qui alle fattispecie in cui la triangolazione si compie antecedentemente alla dichiarazione di fallimento del delegante.

Posto che il delegato estingue un debito del fallito, il pagamento al creditore può essere assoggettato a revocatoria e l’utilizzo della delegazione da parte dell’imprenditore – per estinguere un suo debito – è ritenuto un mezzo anormale ai sensi dell’art. 67 comma 1 n. 2[19].

Da un lato si sottolinea che mezzi normali, oltre al denaro, sono solo quelli comunemente accettati in commercio: assegni circolari e bancari o titoli di credito equivalenti. Dall’altro si osserva che nella delegazione il denaro non entra in funzione quale strumento di diretta soluzione, bensì in via indiretta quale effetto finale di altre forme negoziali. L’anormalità viene, dunque, individuata nella complessità del meccanismo satisfattorio, estraneo alle comuni relazioni commerciali[20].

Questa interpretazione viene però contestata da una parte della dottrina e da qualche sentenza di merito[21]. Si contesta il fatto che si tratti di operazione atipica, in quanto il pagamento è effettuato comunque con denaro[22]. In quest’ottica si ritiene che la prestazione sia un atto diretto del debitore ove il denaro costituisce mezzo di immediata soluzione.

Ora, nessuno dubita che pure un assegno bancario – così come un bonifico[23] –  configuri una delegazione di pagamento: in tal caso è la banca ad essere delegata a pagare nelle mani del creditore, sulla base di una provvista creata a tale fine. Nessuno parimenti dubita che questa operazione costituisca un procedimento satisfattivo fisiologico, tanto da meritare il trattamento revocatorio più blando di cui all’art. 67 comma 2.

Se però dietro la delegazione si nasconde un’operazione più complessa – volta ad estinguere il debito del delegante – può esserci effettivamente un pagamento anomalo.

Si consideri il debitore che non paga direttamente il creditore ma, vantando un credito risarcitorio verso una società di assicurazioni, delega questa a pagare utilizzando il denaro dovuto a titolo di risarcimento. In questo frangente si verifica un’operazione diversa da quella originaria (in base alla quale il pagamento era dovuto), per cui è arduo sostenere l’insussistenza dell’anomalia: è inusuale che l’assicurato, invece di incamerare fisiologicamente il risarcimento, lo devii ab origine su un suo creditore.

L’impiego di una triangolazione, in luogo di un semplice rapporto diretto tra debitore e creditore, fa pensare a una situazione patologica attestante una crisi di liquidità[24]. Pare quindi cogliere nel segno l’osservazione di chi ritiene che l’anormalità vada riferita più al procedimento che al mezzo di pagamento[25].

Peraltro nella delegazione il creditore riceve puntualmente quanto è dovuto. Manca quel trasferimento del rischio insito, ad esempio, nella cessione di credito solutoria, nella quale si sostituisce un debitore ad un altro, lasciando il credito temporaneamente insoddisfatto tramite un modo di estinzione dell’obbligazione solo potenziale.   

Dunque non è scontata l’astratta qualifica della delegazione quale meccanismo anomalo, tanto è vero che autorevole dottrina ha dapprima sostenuto la tesi della normalità[26], rilevando però in seguito che “riesaminando la casistica giurisprudenziale, non può dubitarsi infatti che troppo sovente le varie forme di delegazione, compresa quella passiva, sono in concreto una indicazione sufficientemente sintomatica di una patologia dell’evolversi del rapporto contrattuale”[27].

Propendere per l’una o l’altra tesi comporta conseguenze decisive. Seguendo la tesi della giurisprudenza il curatore, invocando l’applicazione dell’art. 67 comma 1 n.2, ha due vantaggi determinanti:

- può ottenere la revoca degli atti eseguiti nell’anno anteriore al fallimento (invece che nel più breve periodo di sei mesi), con la precisazione che ora l’art. 166 cod. crisi fa decorrere il termine annuale sin dal deposito della domanda cui segue l’apertura della procedura, con conseguente allungamento del c.d. periodo sospetto;

- è esonerato dall’onere della prova della conoscenza dello stato d’insolvenza in capo al delegatario.

 

4. Delegazione senza rivalsa e persistenti dubbi sul danno nella revocatoria 

A parte il dilemma attinente l’anormalità o meno della fattispecie, nella delegazione si presenta il problema della rivalsa a cui si è già accennato.

Può esserci una delegatio solvendi in cui il delegato adempie con denaro dell’imprenditore decotto, sulla base di un rapporto di provvista tra delegante e delegato. Si pensi al correntista che ordina alla banca di pagare una somma al creditore delegatario: la prima, proprio perché la delegazione è coperta dalla provvista, eseguirà l’ordine prelevando il denaro dal deposito bancario.

Può anche darsi, però, che il pagamento venga effettuato dal solvens con mezzi propri (c.d. delegazione allo scoperto)[28]. Si pensi alla banca che esegue l’ordine in un momento in cui il conto corrente è privo di depositi[29].

Se il delegato ha pagato “allo scoperto” e non riesce a rivalersi sul fallito, secondo alcuni l’atto non arrecherebbe pregiudizio alla massa dei creditori e sarebbe irrevocabile[30]. Tesi non condivisa da chi ritiene ingiustificato subordinare l’impugnativa al soddisfacimento dell’azione di regresso, considerato che questa attiene ai rapporti interni tra debitore e terzo e quindi non può interferire sulla posizione dell’accipiens[31].

Il punto è che nella fattispecie della delegazione si rispecchiano le diverse concezioni della revocatoria fallimentare. Secondo chi privilegia l’astratta idoneità dell’atto ad arrecare danno ai creditori e la violazione della par condicio, il problema della rivalsa non ha rilievo. Ciò anche perché l’art. 67 vorrebbe indurre il soggetto in relazione col debitore a rifiutare qualunque vantaggio relativo al suo rapporto con lo stesso[32].

Secondo la giurisprudenza esaminata, invece, quello che conta è il danno effettivo ai creditori, per cui la rivalsa è il presupposto fondamentale della revocabilità della prestazione del terzo. 

Si riaffaccia dunque il problema del danno nella revocatoria[33], sul quale le Sezioni Unite hanno infine sostenuto in generale la tesi antindennitaria, precisando che l'eventus damni consiste nel semplice fatto della lesione della par condicio[34]: il presupposto dell’azione non è l’effettivo pregiudizio subito dalla massa in conseguenza di atti di disposizione del fallito, essendo il danno presunto per il solo fatto che tali atti sottraggono il loro beneficiario alla posizione di creditore concorrente.

Questa impostazione potrebbe suggerire un cambio di rotta della giurisprudenza nella revocatoria dei pagamenti del terzo e, in particolare, nei casi in cui vi è stata una delegazione di pagamento senza rivalsa sull’imprenditore insolvente[35]. Ma il fatto che questi non abbia disposto del proprio patrimonio – in quanto il delegato ha pagato con somme proprie, senza riaverle – può far apparire eccentrica l’azione[36].

Se il terzo non ha utilizzato denaro del fallito, o non si è rivalso su di lui, o non ha pagato con denaro a lui dovuto, manca un depauperamento del patrimonio. Come ha affermato talvolta la Cassazione, al di fuori di detti casi il pagamento del terzo assume la veste di atto neutro rispetto ai creditori[37]: se costui non ha ottenuto la rivalsa prima del fallimento, deve far valere le sue ragioni come ogni altro creditore concorsuale, mediante l'insinuazione nel passivo.

D’altra parte, attenendosi semplicemente al dato normativo, si può invece sostenere che la delegazione che conduce al pagamento del creditore costituisce un “atto estintivo di un debito” e, come tale, rientra nell’art. 67 senza che siano richiesti ulteriori requisiti per la sua revoca[38].

Il fatto che il solvens abbia ottenuto il rimborso di quanto pagato andrebbe poi inquadrato diversamente laddove si affermi che la revocatoria deve indirizzarsi contro di lui, per il rimborso conseguito ad opera del debitore[39]. E questa prospettiva appare coerente con la tesi – peraltro adottata dalla stessa Cassazione in tema di pagamenti del terzo – secondo cui è necessario un danno effettivo al patrimonio dell’impresa decotta.

In definitiva, ci pare che ancora oggi tutte le opzioni siano in campo, senza che il Codice della crisi abbia preso posizione sulla natura indennitaria o antindennitaria della revocatoria, lasciando comunque in vigore la revocabilità degli atti “normali” a titolo oneroso. Né tale Codice ha introdotto esenzioni da revocatoria per quegli atti che rappresentano una prestazione del debitore a fronte della quale è stata acquisita una controprestazione di uguale valore. 

     

5. I pagamenti del terzo sul conto corrente: rimesse bancarie e negozi collegati  

Abbiamo già ricordato la massima secondo cui la rimessa del terzo sul conto corrente dell'imprenditore decotto non è revocabile quando non è avvenuta con denaro di quest’ultimo e il solvens, utilizzatore di somme proprie, non si è rivalso sul correntista prima del suo fallimento, né ha così adempiuto un'obbligazione relativa a un debito proprio.

In realtà, quando il pagamento del terzo avviene mediante accredito sul conto, le cose sono più complesse. Da un lato l’accredito può essere visto come un pagamento all’impresa creditrice da parte del suo debitore. Dall’altro – laddove il conto dell’impresa sia “in rosso” – può essere visto come una modalità di riduzione del debito del correntista verso la banca e dunque quale pagamento revocabile ex art. 67.

Le rimesse del terzo sono equiparabili, ai fini della revocatoria, a quelle del correntista giacché il versamento del solvens, inserendosi nel rapporto di conto corrente, è da questo attratto, variando quantitativamente il conto. Si tratta di una posta attiva del correntista, nella cui titolarità confluisce l'importo accreditato, perché gli accrediti che la banca compie si inseriscono (salvo patto contrario) nell'ambito dell'unitario rapporto di conto corrente, a prescindere dal fatto che le operazioni derivino da un impulso del correntista o del terzo[40].

Il bonifico trova causa nel contratto di conto corrente, che implica un mandato generale alla banca a ricevere pagamenti per conto del cliente, con autorizzazione a far affluire sul conto le somme acquisite in esecuzione del mandato. Ne deriva che essa, accreditando sul conto (con saldo debitore) il pagamento ricevuto, non esaurisce il proprio ruolo in quello di strumento di pagamento del terzo, ma diventa l'effettiva beneficiaria della rimessa, con l'effetto di alterare la par condicio[41].

Si tratta allora di vedere se l’accredito del terzo in adempimento di una sua obbligazione verso l’impresa decotta – tramite bonifico che transita sul conto riducendone il saldo passivo – possa ritenersi una rimessa revocabile nei confronti della banca.

In primo luogo posto che, come si è visto, il pagamento del terzo non è considerato revocabile quando è avvenuto senza intaccare il patrimonio del fallito (quindi con mezzi propri e senza rivalsa), la revocatoria richiede che la rimessa sia imputabile al debitore e non al terzo[42].

Pertanto, se il correntista ha ceduto il proprio credito all’istituto bancario, il pagamento del debitore ceduto non può considerarsi un atto satisfattivo di un debito del fallito verso la banca, bensì un pagamento di un terzo in adempimento di un suo obbligo diretto verso la cessionaria, con la conseguenza che la rimessa non è revocabile, salva la revocatoria del contratto di cessione[43]. Stessa cosa, evidentemente, nel caso di bonifico del fideiussore, dato che pure in questo caso il pagamento non è riferibile al correntista[44]. 

In secondo luogo, le riforme del 2005 hanno ristretto notevolmente il campo dell’azione ex art. 67 comma 2 in quanto:

- non sono soggette a revocatoria “le rimesse effettuate su un conto corrente bancario[45] che non hanno ridotto in maniera (consistente e)[46] durevole l'esposizione del debitore nei confronti della banca” (art. 67 comma 3 lett. b, ora art. 166 cod. crisi);

- "qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso" (art. 70 comma 3, ora art. 171 cod. crisi).

Queste due disposizioni – e pure il loro coordinamento – sono difficilmente interpretabili in maniera univoca e rendono incerto l’ambito di esercizio della revocatoria. Ad oggi l’unico aspetto consolidato sembra essere quello per cui tale azione prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse e quindi dal fatto che afferiscono a un conto scoperto (per mancanza di affidamento o perché il saldo passivo eccede l’affidamento) o solo passivo (assistito da apertura di credito), giacché rileva solo la durevolezza (e, fino al D.Lgs. n. 147/2020, la consistenza) degli effetti estintivi dell’esposizione debitoria[47].

Non si vuole qui entrare nei problemi tecnici posti dalle norme poc’anzi trascritte[48]. Si vuole invece sottolineare che, nonostante il regime in vigore dal 2005 abbia drasticamente ridotto la praticabilità della revocatoria, rimangono spazi per le iniziative dei curatori a fronte di accrediti sul conto. 

Anzitutto, come si è detto, il presupposto della “consistenza” è stato ora eliminato, ciò che dovrebbe semplificare le cose, rimanendo solo il problema della stabilità della riduzione dell’esposizione debitoria, da coordinarsi con la regola del c.d. massimo scoperto di cui all’art. 70 comma 3.

In secondo luogo, come già ricordato, l’art. 166 cod. crisi ha allungato il periodo sospetto, facendo decorrere il termine a ritroso per l’esercizio dell’azione sin dal deposito dell’istanza cui segue l’apertura della procedura.

In terzo luogo, l’art. 67 comma 2 riguarda i pagamenti dei debiti (e dunque le rimesse) a prescindere dall’impugnativa dei negozi giuridici che ne stanno alla base. Ma ciò non toglie che possano essere oggetto dell’azione pure questi, visto che la norma considera altresì “gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione” e il comma 1 n. 2 parla di “atti estintivi di debiti[49].

Una cosa è la revocatoria del pagamento del terzo in quanto tale, che va a ridurre l’esposizione debitoria verso la banca, altra cosa è la revocatoria della cessione di credito, del mandato all’incasso o della delegazione di pagamento nel cui ambito si colloca detto pagamento.

La rilevanza della distinzione si coglie ad esempio nel fatto che, in caso di cessione del credito alla banca, la cessione è revocabile mentre, senza la revoca di tale negozio, manca un pagamento del fallito alla banca assoggettabile a revocatoria[50], come si è già detto.    

I negozi giuridici (cessione del credito, mandato all’incasso, mutuo, delegazione etc.) sono revocabili autonomamente e in taluni casi possono costituire mezzi anomali di estinzione dei debiti ai sensi dell’art. 67 comma 1[51].

Per quanto riguarda la cessione del credito alla banca, trattandosi di fattispecie a causa variabile occorre distinguere quella con funzione di pagamento (art. 1198 c.c.) da quella a scopo di garanzia[52].

Si considera, infatti, anomala rispetto al pagamento in denaro o con titoli equivalenti – e quindi soggetta a revocatoria ex art. 67 comma 1 n. 2 – se compiuta per estinguere un debito scaduto ed esigibile, sottraendosene invece se stipulata a scopo di garanzia di un debito sorto contestualmente[53]. In quest’ultimo caso sarà soggetta alla revocatoria ai sensi del comma 2, che comprende pure gli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati[54].

Laddove però la cessione venga pattuita a garanzia di un debito già scaduto, si rientra nell’art. 67 comma 1 n. 3 e 4[55]: se infatti è normale la costituzione di una garanzia all’atto della concessione del credito (es. mutuo ipotecario), è anomalo che venga accordato credito allo scoperto e solo dopo venga costituita la garanzia. Del resto, quando il debito è scaduto, il debitore dovrebbe pagare, mentre la concessione di una garanzia rivela il bisogno di una dilazione, presumibilmente derivante da difficoltà.

A ben vedere, pure quando la cessione è apparentemente contestuale alla nascita del credito della banca, non è scontata la funzione di garanzia, dovendosi accertare se l’istituto creditore ha effettivamente accantonato le somme, da utilizzarsi solo in caso di inadempimento del cliente ossia in attesa degli sviluppi del rapporto[56].

Peraltro l’istituto può far apparire una contestualità che di fatto manca: si pensi al mutuo fondiario concesso per ripianare debiti preesistenti, senza alcun reale prestito della somma al cliente (che viene invece utilizzata per estinguere il debito)[57].

In più un mezzo di pagamento oggettivamente anormale può costituirsi tra le parti sin dall’origine del rapporto contrattuale e contestualmente alla nascita del debito[58], magari perché il creditore sa fin dall’inizio che la controparte è in crisi.

Spesso l’anticipazione dell’importo di crediti che il correntista vanta verso terzi non avviene a fronte della loro cessione, bensì nell’ambito di un accordo che prevede il mandato in rem propriam all’incasso a favore della banca[59]. Il cliente la incarica di riscuotere un credito dallo stesso vantato verso un terzo, dandole il potere di trattenere il credito riscosso a copertura del debito del mandante verso la mandataria. Pure in questo caso si verifica una sorta di pagamento del terzo (a favore della banca creditrice del correntista mandante).

Il mandato all'incasso non trasferisce la titolarità del credito, che resta in capo al mandante, ma solo la legittimazione a riscuoterlo e la garanzia si realizza di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell'incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo così il suo credito[60].

La facoltà del mandatario di trattenere quanto riscosso a decurtazione del debito del mandante deriva dal c.d. patto di compensazione contemplato nelle clausole contrattuali[61].

Pure questa operazione può essere assoggettata a revocatoria, eventualmente quale mezzo anomalo di pagamento[62]. Per la Cassazione, infatti, “il conferimento di un mandato irrevocabile in rem propriam all'incasso di crediti nei confronti di un terzo, con attribuzione della facoltà di utilizzare le somme incassate per estinguere, totalmente o parzialmente, un debito del mandante verso il mandatario, configura un negozio solutorio analogo alla ordinaria cessione dei crediti e, quindi, un mezzo anormale di pagamento, suscettibile di revocatoria fallimentare[63].

D’altro canto, non essendovi una vera e propria cessione di credito, non si può dire che il terzo estingua un proprio debito verso la banca: gli atti solutori sono dunque autonomamente revocabili ex art. 67, indipendentemente dalla revocabilità del mandato[64].

La distinzione tra cessione di credito e mandato all’incasso – talvolta ambigua nella contrattualistica bancaria – diviene rilevante se il correntista fallisce prima del momento in cui il terzo effettua il bonifico. Se c’è una cessione opponibile al curatore, infatti, la banca può incamerare il pagamento e trattenerlo, essendo un credito proprio (salva la revocatoria della cessione). Se c’è un mandato, invece, non ha la titolarità del credito e non può trattenere il denaro se il proprio cliente è fallito[65].

Ciò si giustifica sulla base dell’art. 56 l.fall. (ora art. 155 cod. crisi), in quanto la compensazione non può operare tra un credito sorto prima del fallimento (quello della banca verso il cliente) e un debito sorto successivamente (quello della banca verso il fallito a fronte della somma incassata in esecuzione del mandato)[66]. 

Va aggiunto che alla luce dell’art. 78 l.fall. (ora art. 183 cod. crisi) – che prevede l’automatico scioglimento del contratto per la sola ipotesi di fallimento del mandatario - il rapporto di mandato rimane sospeso, con facoltà del curatore (del mandante fallito) di interromperlo ex art. 72 l.fall.[67] (ora art. 172 cod. crisi). Di conseguenza l’istituto di credito perde definitivamente il diritto di procedere all’incasso ove la curatela deliberi di sciogliersi dal rapporto[68].



[1] Considerati i vari slittamenti dell’entrata in vigore del codice della crisi, nel testo si farà riferimento ancora all’art. 67 l.fall. Si darà poi conto delle modifiche di dettaglio relative alla revocatoria delle rimesse bancarie.

[2] In base all’art. 70 comma 1 l.fall. (ora art. 171 cod. crisi) la revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati (ad es. banche) si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione. Pertanto il soggetto obbligato alla restituzione è il beneficiario effettivo del pagamento e non il mero intermediario, attraverso il quale il denaro “passa”: v.  A. JORIO, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Il fallimento, in Tratt. Dir. Comm., diretto da Cottino, XI, 2, Padova, 2009, p. 462 ss.; S. BONFATTI – P.F. CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, p. 215.

[3] Di base il pagamento eseguito da un terzo potrebbe considerarsi non revocabile, perché nella sostanza arricchisce indirettamente il patrimonio del fallito, comportando una riduzione del passivo corrispondente al debito pagato.

[4] Cfr. G.U. TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, p. 303; G. TARZIA, Le azioni revocatorie nelle procedure concorsuali, Milano, 2003, p. 113. Per S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 169, in questo caso, a parte forse il pagamento in rappresentanza del fallito, la revocatoria dovrebbe essere sempre indirizzata verso il negozio (ad es. mandato) in forza del quale il debitore ha fornito la provvista al terzo (o l’ha rimborsato dell’anticipazione). C.M. BIANCA, Diritto civile. L’obbligazione, Milano, 1990, p. 286 ss., nota che l’adempimento del terzo è un atto avente la duplice natura esecutiva e negoziale. 

[5] È la fattispecie esaminata da Cass., 10 luglio 1999, n. 7275, in Giur. It., 1999, p. 2315.

[6] Cfr. Cass., 15 luglio 2011, n.15691; Cass., 2 maggio 1996, n. 4040; Cass., 13 aprile 1989, n. 1785.

[7] Cass., 10 gennaio 2003, n. 142, in Giur. It., 2003, p. 944, con nota di F. IOZZO; Cass., 23 novembre 2001, n. 14869, in Fall., 2002, p. 849; Trib. Milano, 30 aprile 2003, in Giur. It., 2003, p. 2112. In dottrina vedi L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2014, p. 175; M. FABIANI, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, p. 213; E. BERTACCHINI, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, p. 1427.

[8] Cass., 4 agosto 2000, n. 10269; Cass., 22 marzo 1991, n. 3110, in Giust. Civ., 1991, I, p. 1306.

[9] Cfr. G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 303; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 175.

[10] Cass., ss.uu., 12 agosto 2005, n. 16874, in Giur. It., 2005, p. 2287, con nota di G. CANALE: “le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall., quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica materiale del debitore ma - senza utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento - ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l'obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice”. Cass., 31 marzo 2016, n. 6282, precisa che la revocatoria è esperibile quando il terzo garante, dopo aver pagato, ha esercitato la rivalsa verso il debitore principale. In dottrina vedi G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 304; E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1427.

[11] Cfr. G. TERRANOVA, Commentario Scialoja-Branca, sub art. 67 l.f., Bologna-Roma, 2002, III, p. 129.

[12] Cass., 9 gennaio 2019, n. 277, in Giur. It., 2019, p. 582, con nota di M. SPIOTTA; Cass., 7 dicembre 2012, n. 22247; Cass., 24 febbraio 2011, n. 4553.

[13] Cass., 23 dicembre 2015, n. 25928, in un caso in cui la committente aveva pagato la subappaltatrice con denaro destinato all’appaltatrice poi fallita; Cass., 20 dicembre 2012, n. 23652, secondo cui il pagamento del terzo pignorato è revocabile quando ha inciso sul patrimonio del fallito, perché eseguito con denaro a questi dovuto, essendo il solvens obbligato verso il debitore esecutato (successivamente dichiarato fallito) e valendo il suo pagamento ad estinguere entrambi i debiti (suo e del debitore in bonis).

[14] Per una critica dell’impostazione giurisprudenziale si veda S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 167 ss. Sul punto vedi anche A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, sub art. 67.

[15] In tal senso G. TARZIA, op. cit., p. 117; S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 167 e 169.

[16] Cass., 2 luglio 1998, n. 6474, in Giust. Civ., 1998, I, p. 2765, ha però riconosciuto incidentalmente che “le numerose decisioni al riguardo non si danno per altro carico di spiegare la ragione per cui il pagamento eseguito dal terzo sia soggetto all’azione revocatoria, e non quello (più prossimo ovviamente alla dichiarazione del fallimento e dunque maggiormente sospetto, dal quale direttamente – e soltanto – deriva il depauperamento del patrimonio del debitore) dal terzo stesso ottenuto in via di rivalsa”. Qualcuno potrebbe forse fornire detta spiegazione affermando che, almeno in alcuni casi, l’oggetto della revocatoria non è il semplice pagamento, ma la più complessa operazione (connotata da anormalità) volta al soddisfacimento del creditore originario. Oppure potrebbe asserire, come vedremo, che la rivalsa è un aspetto interno che non influisce sull’effetto solutorio dato dal pagamento del terzo al creditore originario. 

[17] In tal senso Cass., 9 ottobre 2017, n. 23597: “il creditore convenuto in revocatoria è onerato della sola prova della provenienza del pagamento dal terzo, configurandosi la relativa allegazione come un'eccezione in senso proprio, mentre incombe sul curatore, una volta accertata l'avvenuta effettuazione di detto pagamento, la dimostrazione, anche mediante presunzioni semplici, che la corrispondente somma sia stata fornita dal fallito”; Cass., 7 dicembre 2012, n. 22247; Trib. Bologna, 9 gennaio 2001, in Fall., 2002, p. 80, con nota di FONNESU. Vedi sul punto A. CAIAFA, La legge fallimentare riformata e corretta, Padova, 2008, p. 341 ss.

[18] Così Cass., 14 gennaio 2016, n. 506. Alcune pronunce affermano che il pagamento, effettuato da un terzo, di un debito del fallito è revocabile ex art. 67 comma 1 n. 2 ove il terzo, debitore del fallito, lo abbia eseguito con denaro a questi dovuto: Cass., 15 giugno 2018, n. 15794; Cass., 23 dicembre 2015, n. 25928.

[19] Vedi Cass., 4 marzo 2021, n. 5890; Cass., 15 luglio 2011, n.15691, in Fall., 2012, p. 621; Cass., 17 gennaio 2003, n.649, in Foro It., 2003, I, p. 1078; Cass., 19 luglio 2000, n. 9479; Cass., 19 luglio 1980, n.4745; Trib. Milano, 2 febbraio 2015, in Fall., 2015, p. 977, con nota di L. ANDRETTO; App. Bologna, 10 maggio 1990, in Giur. It., 1991, I, p. 181. Cfr. E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1412; G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 296.

[20] Così Cass., 9 dicembre 1980, n. 6358. Vedi sul punto E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1412.

[21] Cfr. Trib. Milano, 11 ottobre 1973, in Dir. Fall., 1974, II, p. 373: “nella delegazione di pagamento il creditore riceve direttamente da un terzo; si presenta, cioè, anziché il debitore, la persona la quale, di fronte al creditore, assume la figura di un mandatario del debitore; il che equivale ad affermare che il pagamento è un atto diretto del debitore al suo creditore, ove il denaro entra quale mezzo di diretta soluzione”.

[22] Vedi A. MAFFEI ALBERTI, voce Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Enc. Giur. Treccani, 1989, p. 10.

[23] Pure il bonifico viene inquadrato nella figura della delegazione di pagamento: v. Cass., 8 febbraio 2018, n. 3086; P. BONTEMPI, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2016, p. 152; G. CAVALLI – M. CALLEGARI, Lezioni sui contratti bancari, Bologna, 2011, p. 89.

[24] Come osserva G. TERRANOVA, op. cit., p. 84, “il delegatario di solito accetta di interporsi nel pagamento per un fine egoistico, e cioè per impedire che le somme dovute dal terzo entrino nei normali circuiti finanziari dell’impresa, con la conseguenza di poter essere intercettate da altri creditori”. In proposito G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2016, p. 859, rileva che gli atti anomali previsti dal comma 1 dell’art. 67 inducono a supporre una partecipazione della controparte agli intenti fraudolenti dell’imprenditore e una conoscenza, quindi, della sua insolvenza. 

[25] G. TERRANOVA, op. cit., p. 72 ss.

[26] P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1986, p. 386.

[27] P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, p. 402.

[28] Si ha delegazione allo scoperto quando manca il rapporto di provvista tra delegante e delegato: v. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, p. 627. In altri termini il delegato non è debitore del delegante: cfr. C.M. BIANCA, op. cit., p. 631.

[29] Situazione analoga può forse considerarsi quella in cui la banca ha concesso un’apertura di credito, poiché le somme sono a disposizione del correntista, ma non possono considerarsi sue: vedi G. TERRANOVA, op.cit., p. 128, nt. 3.

[30] Così G. PORTALE, Delegazione “allo scoperto” e revocatoria fallimentare, in Giust. Civ., 1984, II, p. 451 ss. Vedi anche E. BOTTIGLIERI, voce Delegazione, in Enc. Giur. Treccani, 1988, p. 24 ss.

[31] Cfr. A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 10. Vedi anche P. RESCIGNO, in Giur. It., 1985, IV, p. 369 il quale parla della “natura di atto solutorio del debito del delegante verso l’accipiens”. Coglie il problema G. TERRANOVA, op.cit., p. 126 ss.: “si può obiettare che l’atto solutorio effettuato a favore d’un creditore chirografario  viene comunque ad infrangere la par condicio, almeno a latere percipientis; che sarebbe assurdo far dipendere la revoca del pagamento dalla circostanza che il terzo non sia riuscito a farsi pagare dal fallito, dato che questa vicenda sfugge al campo d’osservazione dell’accipiens; che costui, anzi, deve presumere, soprattutto in presenza d’un intermediario specializzato, che la prestazione venga effettuata a spese del fallito; che l’esercizio della rivalsa, in definitiva, deve ritenersi res inter alios acta, rispetto all’azione promossa dalla curatela”.

[32] In quest’ottica Trib. Monza, 20 novembre 2001, in Fall., 2002, p. 1251, con nota di CECCHERINI, secondo cui la revocatoria non mira ad impedire tanto l'impoverimento del fallendo, quanto la percezione di vantaggi da parte dei creditori.

[33] Per una sintesi del dibattito prima dell’approvazione del Codice della crisi vedi A. JORIO, op. cit., p. 394 ss.; M. FABIANI, op. cit., p. 196 ss.; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 144 ss.; G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 264 ss.; Cass., 5 gennaio 2005, n. 193, in Giur. It., 2005, p. 739, con nota di G. COTTINO. 

[34] Cass., ss.uu., 28 marzo 2006, n. 7028, in Giur. It., 2006, p. 1627, con nota di F. IOZZO. Così pure Cass., 21 dicembre 2012, n. 23710, in Giur. It., 2013, p. 1831, con nota di G.E. DE LEO.

[35] M. FABIANI, op. cit., p. 211, nota che gli atti di cui all’art. 67 comma 1 n. 2 sono colpiti per la loro anomalia, non per il pregiudizio che abbiano recato, e ciò confermerebbe il ripudio della tesi indennitaria. D’altro canto lo stesso autore osserva (p. 213) che, se il terzo non ha utilizzato denaro del fallito o non si è rivalso su di lui, “non vi sarebbe quel depauperamento del patrimonio in pregiudizio della massa che l’azione revocatoria fallimentare è tipicamente destinato a riparare”.

[36] Cass., 15 maggio 2019, n. 13002, cerca di tenere insieme i due piani, affermando che nella revocatoria fallimentare “la nozione di danno non è assunta in tutta la sua estensione, perché il pregiudizio alla massa - che può consistere anche nella mera lesione della par condicio creditorum o, più esattamente, nella violazione delle regole di collocazione dei crediti - è presunto in ragione del solo fatto dell'insolvenza; si tratta, peraltro, di presunzione iuris tantum che può essere vinta dal convenuto, sul quale grava l'onere di provare che in concreto il pregiudizio non sussiste”. 

[37] Vedi ad esempio Cass., 22 gennaio 1999, n. 570. Come vedremo oltre, nel caso di rimessa sul conto corrente dell’imprenditore (poi fallito) occorre allora verificare la causa della rimessa, onde stabilire se il pagamento sia revocabile e – distinguendo all’interno delle rimesse - se queste siano riferibili al correntista, al terzo debitore del fallito, ovvero al terzo che sia anche debitore della banca.

[38] A. JORIO, op. cit., p. 396, nota che gli atti previsti dal comma 2 dell’art. 67 sono revocabili in quanto hanno determinato un’alterazione della par condicio, prescindendo dagli effetti che possono aver prodotto sul patrimonio del fallito.

[39] In tal senso S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 169.

[40] Cfr. Cass., 10 settembre 2002, n. 13159; Cass., 16 novembre 1998, n. 11520.

[41] Cfr. Cass., 8 febbraio 2018, n. 3086; Cass., 1° luglio 2008, n. 17954; Cass., 28 giugno 2002, n. 9494.

[42] Cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, III, Torino, 2014, p. 130, nt. 66, secondo cui conseguentemente il calcolo del “massimo scoperto” ex art. 70 comma 3 l.fall. va depurato dalle rimesse che non possono considerarsi pagamenti del debitore. Pure sotto il profilo delle rimesse questa impostazione potrebbe forse essere messa in discussione qualora si prediliga la concezione antindennitaria della revocatoria.

[43] Cfr. Cass., 4 aprile 1997, n. 2936; P. BONTEMPI, op. cit., p. 430 ss. e 496; A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., sub art. 67. Per Trib. Mantova, 29 dicembre 2017, in www.ilcaso.it, p. 18717, il fatto che le somme accreditate sul conto derivino da cessioni di credito è irrilevante laddove la banca ha ritenuto di non ricevere direttamente dai debitori ceduti il pagamento del dovuto, ma di canalizzarlo sul conto del cedente, volontariamente quindi ponendo le somme nella disponibilità materiale e giuridica del debitore; con la conseguenza che le somme affluite sul conto passivo come “giro effetti maturati” riducono il saldo debitore della società poi fallita. D’altro canto per Cass., 3 febbraio 2010, n. 2517, la modalità con cui la funzione di garanzia connaturata alla cessione del credito si realizza, può consistere anche nel versamento sul conto del cedente -  esposto al momento della riscossione del credito ceduto - delle somme che la banca ha incassato quale titolare di quel credito.

[44] Cfr. Cass., 17 maggio 2019, n. 13458; G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 304.

[45] Per Trib. Ferrara, 14 maggio 2012, in www.unijuris.it, i pagamenti del terzo sul conto corrente ordinario sarebbero rimesse ma, se confluiscono su un altro conto non disponibile dalla banca, non possono considerarsi tali: in tal caso non si tratta di operazione in conto “corrente”. Per App. Milano, 28 febbraio 2020, in www.ilcaso.it, p. 23415, l’esenzione stabilita dalla lettera b) e la limitazione prevista dall'art. 70 operano solo quando il correntista, effettuato un pagamento, può riutilizzare il denaro sul conto e non quando c’è un conto aperto al solo scopo di consentirgli di ridurre il debito verso la banca; così pure Trib. Padova, 7 ottobre 2021, in www.ilcaso.it, p. 26121. Secondo F. IOZZO, La nuova revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, in Giur. It., 2009, p. 391, la suddetta lettera b) non riguarda i c.d. conti anticipi, attraverso cui si eseguono anticipazioni di crediti verso terzi, o i conti in cui si annotano i finanziamenti erogati e i relativi rimborsi del cliente. Sul punto v. più in generale S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 195 ss.

[46] L’art. 20 D.Lgs. n. 147/2020 ha eliminato le parole “consistente e” dall’art. 166 cod. crisi.  

[47] Cfr. Cass., 9 gennaio 2019, n. 277, in Giur. It., 2019, p. 582, con nota di M. SPIOTTA; Cass., 15 maggio 2018, n. 11782; Trib. Cuneo, 6 novembre 2020, in www.ilcaso.it, p. 24895; Trib. Perugia, 3 settembre 2019, in www.ilcaso.it, p. 22584. Nello stesso senso G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 129; G. CAVALLI – M. CALLEGARI, op.cit., p. 121; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 159; S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 199; G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 312. In senso contrario Trib. Milano, 27 marzo 2008, in Giur. It., 2009, p. 387, con nota di F. IOZZO. Per un’analisi della giurisprudenza cfr. M. SPIOTTA, Art. 67: Le esenzioni previste dall’art. 67, comma 3, lett. a), b), c), f), in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, p. 1579 ss.

[48] Su questi problemi vedi G. REBECCA – G. SPEROTTI, La revocatoria fallimentare degli anticipi SBF, in www.ilcaso.it.

[49] Per E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1412, il riferimento ad “atti estintivi” anziché a pagamenti si giustifica in quanto l’estinzione del debito può avvenire con modalità diverse dal pagamento in senso proprio. La norma parla di “atti estintivi” proprio per indicare che si vogliono colpire anche le fattispecie complesse, nelle quali l’effetto estintivo si combina con altri, o risulta comunque mediato da un’articolata serie di fatti: così G. TERRANOVA, op. cit., p. 76. D’altra parte P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, op. cit., p. 407-408, con riguardo al comma 2 osservano che “sono revocabili non solo i negozi giuridici, ma anche gli atti esecutivi degli stessi, per cui ben può accadere che, pur non essendo revocabile il negozio in sé, lo possa essere il singolo atto esecutivo di pagamento o adempimento”.

[50] Come nota P. BONTEMPI, op. cit., p. 430 ss., il presupposto per ottenere la declaratoria di inefficacia dei pagamenti eseguiti dai debitori ceduti al cessionario è rimuovere la fonte di tale regolamento di interessi. Cfr. anche G. CAVALLI – M. CALLEGARI, op. cit., p. 196 ss.; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 177. L’affermazione implica che la cessione del credito sia opponibile al curatore e dunque che sia stata notificata al debitore ceduto, o dallo stesso accettata, con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento.

[51] Cass., 8 gennaio 2004 n.76, in Giur. It., 2005, p. 278, con nota di G.M. PANINI, osserva che la singola rimessa resta anomala, pur se singolarmente considerata, una volta inserita nel quadro di un’operazione che è atipica rispetto ai mezzi ordinari di estinzione delle obbligazioni. Per Cass., 2 settembre 1998, n. 8703, l'estinzione di una precedente passività come scopo ulteriore rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tal fine utilizzati (secondo lo schema del cosiddetto "collegamento funzionale") conferisce all'operazione complessiva un carattere anormale, in tali termini qualificandosi anche l'atto terminale (di per sé neutro) di estinzione del debito.

Per Trib. Bergamo, 8 giugno 2010, in banca dati Dejure, “la domanda di revocatoria delle cessioni di credito e dei mandati in rem propriam, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2 o comma 2, l. fall., vale a dire come pagamenti anormali di debiti scaduti ovvero come atti onerosi o garanzie contestuali, ha ad oggetto i singoli atti di cessione ed i mandati in rem propriam e non invece le corrispondenti rimesse, che costituiscono mere operazioni materiali, compiute in esecuzione delle cessioni e volte ad acquisire materialmente le risorse finanziarie, già entrate nella giuridica disponibilità dell’istituto di credito in ragione dei relativi atti negoziali”. Vedi anche Trib. Bergamo, 28 aprile 2014, in www.ilcaso.it,p. 11313: “l’anticipo dietro presentazione di ricevuta bancaria o fattura, accompagnato dalla cessione del credito o da un mandato all’incasso in rem propriam con patto di compensazione, non può rappresentare un mezzo di pagamento anormale perché interviene quale atto esecutivo di un contratto tra le parti, banca e cliente. Sono, in realtà, le operazioni bancarie considerate nella loro globalità, comprensive quindi della contestuale cessione di credito, o dalla compensazione tra il credito della banca originato dall’anticipazione ed il debito della banca dipendente dall’incasso del credito per conto del cliente che possono essere considerati atti di pagamento anomali, ma non l’anticipazione che li precede, salvo che quest’ultima vada a coprire eventuali precedenti anticipi seguiti da insoluti”. Per Cass., 6 luglio 2021, n. 19187, nell'ambito di un'operazione di anticipo su fatture, il mancato riaccredito da parte della banca (sul conto ordinario del cliente) della somma incassata dal terzo (debitore del correntista) e il suo utilizzo per estinguere pregresse passività, costituisce una modalità anomala di estinzione dell'obbligazione ex art. 67, comma 1, n. 2.

[52] Cfr. G. TERRANOVA, op. cit., p. 111:la cessione deve ritenersi effettuata a scopo solutorio ogniqualvolta serva a procurare le risorse con cui il creditore potrà procedere all’autosoddisfacimento della propria pretesa; mentre ha finalità di garanzia ogniqualvolta le predette risorse debbono essere accantonate, con facoltà di utilizzo solo in caso di inadempimento. Sul punto vedi F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 2004, p. 133 ss.; C.M. BIANCA, op. cit., p. 559; F. GAZZONI, op. cit., p. 672 ss.; P. BONTEMPI, op. cit., p. 163 e 491 ss.

[53] Cfr. Cass., 31 ottobre 2014, n. 23261; Cass., 10 giugno 2011, n. 12736; Cass., 27 aprile 2011, n. 9388; Cass., 29 luglio 2009, n. 17683. Conforme P. BONTEMPI, op. cit., p. 494 ss.; C.M. BIANCA, op. cit., p. 564; M. FABIANI, op. cit., p. 211; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 176; E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1413. Per Cass., 20 gennaio 2006, n. 1187, se l'apertura di credito risulti in concreto pattuita, per effetto di collegamento fra più negozi (in ipotesi, in forza di contestuale cessione pro solvendo di crediti verso terzi, e rimessa sul conto corrente della somma riscossa dal debitore ceduto) tendenti non ad assicurare liquidità al cliente, ma a coprire una sua pregressa esposizione debitoria, il versamento rappresenta ex se un mezzo anomalo di pagamento. Per Cass., 19 ottobre 2007, n. 22014, la cessione pro solvendo di un credito verso terzi, effettuata nell'ambito di un contratto di sconto per ottenere dalla banca cessionaria l'anticipazione dell'importo del credito, non è un mezzo anormale di pagamento, essendo stipulata a scopo di garanzia e funzionalmente contestuale al sorgere del credito garantito.

[54] Cfr. F. MAIMERI, Cessione dei crediti in garanzia e mandato irrevocabile all’incasso, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, V, 2, Torino, 2006, p. 927 ss.; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 174 e 176; G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 308; E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1433. A giudizio di S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 175, le cessioni di credito e i mandati irrevocabili all’incasso rientrano nel comma 2 “benché non si tratti propriamente di atti costitutivi di un diritto di prelazione”. 

[55] Per S. BONFATTI – P.F. CENSONI, op. cit., p. 162, il riferimento dell’art. 67 comma 1 a pegni, anticresi e ipoteche non giustifica l’esclusione dell’applicabilità di questa disposizione agli atti che perseguono l’identica funzione di rafforzare le aspettative di adempimento di obbligazioni precedentemente assunte, quali le cessioni di credito e i mandati irrevocabili all’incasso. Nello stesso senso F. MAIMERI, op. cit., p. 928; E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1419; G.U. TEDESCHI, op. cit., p.297; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 174. Pure Trib. Trani, 14 aprile 2017, in banca dati Dejure, ritiene che l'art. 67, comma 1, n. 3, contenga un'elencazione esemplificativa, per cui è applicabile pure alle garanzie atipiche, tra cui la cessione del credito pro solvendo con funzione di garanzia. In senso conforme Trib. Catania, 31 ottobre 1988, in Giur. Comm., 1989, II, p. 440, afferma che l’elencazione della norma è esemplificativa.

[56] Vedi G. TERRANOVA, op. cit., p. 115 ss.

[57] Cfr. P. BONTEMPI, op. cit., p. 352 ss.; L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 173; G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 298. In tema di mutuo si veda Cass., 25 gennaio 2021, n. 1517, in Giur. It., 2021, p. 1883, con nota di C. LOMBARDO; Cass., 10 febbraio 2020, n. 3024, in Giur. It., 2021, p. 1071, con nota di G. SALVI. Sulla revocatoria in casi del genere v. Trib. Genova, 16 gennaio 2002, in Giur. It., 2002, p. 2108, con nota di F. MURINO; Cass., 22 novembre 1996, n. 10347. Per Cass., 11 novembre 2010, n. 22915, in Giur. It., 2011, p. 567, con nota di M. SPIOTTA, è solo apparente il contratto di apertura di credito, concluso da un imprenditore in difficoltà, che precluda il riutilizzo dei successivi versamenti, essendo lo scopo solo quello di consentire alla banca di recuperare i crediti.

[58] Cfr. G. TERRANOVA, op. cit., p. 87 e 92. Secondo P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, op. cit., p. 403, l’accordo originario elimina l’anormalità, salvo che questa risieda nella non usualità di quello, ciò che finisce per compenetrarsi nel giudizio sulla scientia decotionis. Per Cass., 16 luglio 2004, n. 13165, se si tratta di un mezzo satisfattivo (nel caso di specie mandato all’incasso) diverso dal danaro ed estraneo alle comuni relazioni commerciali, è applicabile l'art. 67, comma 1 n. 2, a nulla rilevando che la pattuizione sia coeva al sorgere del rapporto; così pure Cass., 25 luglio 1987, n. 6467.

[59] Cfr. Cass., 30 ottobre 2014, n. 23081; Cass., 1 luglio 2008, n. 17955; F. MAIMERI, op. cit., p. 935 ss.; C.M. BIANCA, op. cit., p. 565 ss.; G. CAVALLI – M. CALLEGARI, op. cit., p. 144 e 193 ss.; P. BONTEMPI, op. cit., p. 420 ss. e 497 ss.

[60] Lo rileva ad esempio Cass., 27 aprile 2011, n. 9387, in Fall., 2013, p. 233.

[61] Secondo alcuni non si tratterebbe di compensazione legale, dato che questa presuppone l’autonomia delle reciproche obbligazioni: v. di recente Cass., 15 giugno 2020, n. 11524, che parla di “compensazione impropria”.

[62] Cfr. F. MAIMERI, op. cit., p. 955 ss.; M. FABIANI, op. cit., p. 211; P. BONTEMPI, op. cit., p. 499; E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1414. D’altro canto L. GUGLIELMUCCI, op. cit., p. 176, segnala la normalità del mandato all’incasso, come della cessione del credito, ove previsti come mezzo di estinzione contestualmente al sorgere del credito, ma per Cass., 16 luglio 2004, n. 13165, non rileva che la pattuizione sia coeva al sorgere del rapporto (così pure Cass., 25 luglio 1987, n. 6467). Per una disamina approfondita cfr. A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., sub art. 67; G. TERRANOVA, op. cit., p. 137 ss.

[63] Cass., 10 novembre 2005, n. 21823, in Fall., 2006, 7, p. 779, con nota di CATALDO; Cass., 16 luglio 2004, n. 13165; Cass., 19 gennaio 2006, n. 1060; più di recente vedi Cass., 6 settembre 2018, n. 21694, secondo cui “l'utilizzo, dunque, da parte dell'istituto bancario, delle somme incassate dai terzi per l'estinzione, totale o parziale, del debito del mandante, quale effetto del conferimento del mandato all'incasso, implica una funzione satisfattiva e solutoria di quest'ultimo, quale strumento diverso dal danaro ed estraneo alle comuni relazioni commerciali; a nulla rilevando che tale pattuizione sia coeva al sorgere del rapporto obbligatorio”.

[64] Cass., 5 marzo 2019, n. 6382; Cass., 27 aprile 2011, n. 9387; Cass., 5 aprile 2005, n. 7074, in Giust. Civ., 2005, 1, I, p. 1466: “le rimesse effettuate sul conto corrente scoperto del fallito, nel periodo in cui questi era in bonis, da parte di terzi debitori del medesimo sono revocabili anche qualora siano inerenti ad anticipazioni su fatture esibite dal fallito in quanto, in mancanza della cessione di detti crediti alla banca e dell'assunzione da parte del terzo di obbligazioni nei confronti della medesima, le rimesse hanno funzione satisfattoria, in quanto riducono l'esposizione debitoria del cliente nei confronti della banca”. Sull’autonoma revocabilità dei pagamenti conseguenti al mandato all’incasso v. G.U. TEDESCHI, op. cit., p. 304 ss.; E. BERTACCHINI, op. cit., p. 1424; P. BONTEMPI, op. cit., p. 500.

[65] Trib. Pavia, 4 febbraio 2020, in www.ilcaso.it, p. 23214, osserva che lo scioglimento automatico del contratto di conto corrente (art. 78 l.fall.) e dunque pure del c.d. patto di compensazione accessorio fa sì che la banca non abbia più titolo per trattenere le somme versate da terzi al correntista. Per il giudice pavese non giovano in senso contrario le pronunce in tema di concordato preventivo, nel quale non vale l’art. 78 l.fall., bensì il regime di tendenziale prosecuzione dei rapporti pendenti (art. 169 bis l.fall.). Aggiungiamo che pure nell’ambito del concordato preventivo è discutibile che la banca possa trattenere quanto riscosso dopo l’apertura della procedura, tanto è vero che sul punto la giurisprudenza è divisa.

[66] Cfr. A. JORIO, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Il fallimento, in Tratt. Dir. Comm., diretto da Cottino, XI, 2, Padova, 2009, p. 383 e 487; C. FRIGENI, Gli effetti della dichiarazione di fallimento sull’operatività delle linee di credito <<autoliquidanti>>, in Dir. Fall., 2013, I, p. 697; A. CAIAFA, op. cit., p. 407; G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 389; P. BONTEMPI, op. cit., p. 498 ss.; G. CAVALLI – M. CALLEGARI, op. cit., p. 197. Trattasi però di opinione non pacifica in dottrina: vedi riferimenti in A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., sub art. 78; in più di recente Cass., 30 dicembre 2021, n. 42008, con riguardo al fallimento ha affermato l’applicabilità dell’art. 56 l.fall. per il mandato all’incasso; ma in senso contrario v. Cass., 22 maggio 2003, n. 8042.

[67] Oltre agli autori citati alla nota precedente vedi F. ALCARO, Del mandato, in Comm. Cod. Civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2011, p. 408; M COSTANZA, Conto corrente, mandato e commissione, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, p. 1693.

[68] Cfr. G. CAVALLI – M. CALLEGARI, op. cit., p. 197. C. FRIGENI, op. cit., p. 699.


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