Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/10/2014 Scarica PDF

Il fondo patrimoniale rispetto ai debiti tributari

Gennaro Di Gennaro, Dottorando di ricerca


Sommario: 1. I debiti della famiglia. – 2. La natura del debito tributario. – 3. Considerazioni conclusive sulle ragioni fraudolente sottese alla costituzione del fondo.


     

1. I debiti della famiglia

Come noto, nel fondo patrimoniale, regolato dagli artt. 167 e segg. c.c., possono essere conferiti esclusivamente i beni indicati dalla disposizione codicistica di riferimento: l’elencazione, infatti, in virtù di un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, è da considerarsi tassativa, e, quindi, insuscettibile di interpretazione estensiva.

Le ragioni sottese alla costituzione del fondo de quo, ove lecite e rispettose delle regole giuridiche applicabili, risiedono, fondamentalmente, nel consentire al coniuge o ai coniugi costituenti (fatta salva l’ipotesi della costituzione ad opera del terzo, secondo la previsione normativa) di imprimere, sui beni conferiti, un preciso vincolo di destinazione: infatti, costituito il fondo in esame, si realizza un fenomeno di segregazione patrimoniale che genera il c.d. patrimonio di destinazione.

Pertanto, i beni introdotti sono destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

L’effetto patrimoniale, peraltro positivizzato, che consegue alla costituzione del fondo in parola, è quello secondo cui le azioni esecutive (nonchè quelle di carattere cautelare, per le ragioni che saranno, seppure sinteticamente, illustrate nel prosieguo delle presenti note) sui beni del fondo e sui loro frutti non possono essere esperite (e proseguite) per debiti che il creditore procedente conosceva essere stati contratti per finalità estranee ai bisogni familiari.

La regola dettata in materia, e, segnatamente, il disposto normativo di cui all’art. 170 c.c., pone un evidente discrimen tra i debiti contratti nell’interesse della famiglia, per far fronte al soddisfacimento dei relativi bisogni, e le obbligazioni di carattere extrafamiliare; detta distinzione, di particolare pregio ai fini della presente indagine, impone che solo per i primi (ovvero per i debiti della famiglia) sarà possibile agire in via esecutiva (e cautelare) sui beni del fondo e sui loro frutti.

Per i rapporti obbligatori sorti in funzione di presupposti e circostanze causali avulse dalle esigenze familiari, invece, i rimedi di tutela ex lege esperibili non potranno essere invocati, sostenuti e azionati nei riguardi del citato patrimonio di destinazione.

A tal proposito, in tema di onere della prova circa la conoscenza della natura del debito, dal profilo familiare od extrafamiliare, si sono progressivamente sviluppati due contrapposti indirizzi interpretativi.

La prima opzione ermeneutica, peraltro minoritaria, ritiene che il creditore, in capo al quale si pone l’onus probondi, è tenuto a dimostrare che: 1) non era a conoscenza del fatto che l’obbligazione fosse stata contratta per finalità estranee ai bisogni della famiglia; 2)  l’obbligazione ha carattere familiare, stante l’evidente collegamento con le esigenze della famiglia; 3) in ogni caso, il debito è stato contratto per soddisfare precisi e circostanziati bisogni della famiglia.

Una differente soluzione interpretativa, che ha trovato ampia aderenza in seno alla giurisprudenza di legittimità e di merito, sostiene il principio secondo cui l’onere della prova, in ordine alla estraneità del debito alle esigenze familiari, incombe sui coniugi (in argomento, per approfondimenti, si rinvia, tra le altre, a Cass. n. 5385/2013).

Prima di affrontare la natura del debito tributario, appare utile, ai fini che qui interessano, soffermarsi, seppur brevemente, su altri due concetti: i bisogni della famiglia e i debiti della famiglia.

Circa i primi, giova osservare che la giurisprudenza di legittimità ha sviluppato, nel tempo, una nozione piuttosto ampia di bisogni della famiglia, comprendendovi non soltanto le esigenze essenziali proprie del nucleo familiare ma anche quelle volte a promuovere il pieno mantenimento, l’armonico sviluppo e il potenziamento delle capacità lavorative della famiglia medesima, escludendo le esigenze di carattere voluttuario e quelle connesse a interessi squisitamente speculativi (sul punto, per approfondimenti sul percorso argomentativo e logico-giuridico sul quale si fonda la statuizione, si rinvia a Cass. n. 15886/2014).

Circa, poi, i debiti della famiglia, il Giudice di legittimità, anche con risalenti decisioni (ci si riferisce, tra le altre, anche a Cass. nn. 8991 e 11230 del 2003), ha costantemente affermato che essi si considerano tali a condizione che tra il fatto generatore del rapporto obbligatorio e i bisogni della famiglia, sussista, di fatto, un rapporto diretto ed immediato; in buona sostanza, occorre che l’obbligazione sia stata contratta al precipuo fine di soddisfare determinati bisogni della famiglia, intesi nel senso appena evidenziato, con la conseguenza che l’assunzione di un obbligo che presenta un collegamento solo eventuale, mediato ed incerto con le esigenze familiari, non potrà considerarsi sussumibile nel novero delle obbligazioni familiari.

Le nozioni di debito della famiglia e di bisogno della famiglia, ampiamente confermate dai pronunciati del Giudice di legittimità, sono state ben recepite dalla giurisprudenza di merito.

Orbene, in virtù delle notazioni sin qui svolte, è di tutta evidenza, ad avviso di chi scrive, che, anche ai fini della qualificazione del debito tributario, quale debito extrafamiliare o inerente alla famiglia, occorre, volta per volta, considerare, accertare e valutare i seguenti imprescindibili dati: 1) i principi normativi sui quali si fonda l’onere della prova, così come interpretati da una corposa elaborazione pretoria; 2) la nozione, in senso non restrittivo bensì ampio, di bisogno della famiglia, alla luce della prevalente giurisprudenza; 3) il debito della famiglia e il suo collegamento con i sottesi bisogni, secondo costanti filoni interpretativi.

   

2. La natura del debito tributario

In merito, dunque, ai debiti tributari, appare utile, anche in tal caso, evidenziare due differenti soluzioni interpretative elaborate dalla giurisprudenza (di vertice e di merito) circa la natura delle obbligazioni in esame, ove siano state contratte nell’esercizio di attività imprenditoriali e/o libero-professionali.

Secondo un primo orientamento, non prevalente, e, comunque, non condiviso da chi scrive, i debiti tributari sono da considerarsi inerenti ai bisogni della famiglia, ragion per cui giustificano l’esercizio delle azioni recuperatorie sia sui beni conferiti nel fondo patrimoniale che sui loro frutti; il percorso logico-giuridico, che conduce a considerare aggredibile il patrimonio di destinazione, si fonda sull’assunto secondo cui dei risultati economici positivi conseguiti nell’esercizio dell’attività lucrativa ne trae vantaggio la famiglia e, in ogni caso, della liquidità sottratta al pagamento dei tributi essa ne trae giovamento.

La tesi interpretativa qui sinteticamente illustrata non appare condivisibile in quanto i debiti tributari insorti nell’esercizio di un’attività economica si fondano su regole, condizioni, principi, bisogni ed esigenze che connotano esclusivamente l’attività lucrativa nell’ambito della quale il rapporto obbligatorio d’imposta nasce; prescindendo, così, dalle concrete esigenze e dai reali bisogni della famiglia.

A ciò si aggiunga, col conforto di una ricca giurisprudenza, che: 1) il debito tributario nasce automaticamente, allorquando si verificano i prescritti presupposti di carattere oggettivo e soggettivo indicati dalla norma impositiva, a prescindere dai bisogni effettivi della famiglia; 2) le obbligazioni tributarie connesse all’esercizio di un’attività lucrativa non possono considerarsi sic et simpliciter come debiti inerenti, in via diretta ed immediata, alla famiglia.

Sul tema, per utili e puntuali approfondimenti, si rinvia alle decisioni pronunciate dalla Corte di legittimità (si vedano, tra le altre, Cass. nn. 38925/2009; 15862/2009; 12998/2006).

Ad avviso di chi scrive, comunque, le considerazioni innanzi esposte non possono  considerarsi valide per qualsiasi fattispecie impositiva, difettando in radice, per ragioni logico-sistematiche, la possibilità di generalizzare la tesi a prescindere dall’analisi del caso concreto; a tal proposito, infatti, si ritiene, col conforto di un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, che il vincolo di inespropriabilità che generalmente connota il fondo patrimoniale non possa essere opposto ove sia ravvisabile un collegamento oggettivo, diretto e concreto, tra la prestazione tributaria e il bene introdotto nel fondo medesimo ed utilizzato per far fronte ai bisogni della famiglia.

Ci si riferisce, a titolo esemplificativo e non esaustivo, ai tributi locali (TASI, TARI, IMU, TOSAP  e via dicendo) nonché, per rimanere nel solco delle esemplificazioni, al tributo Iva dovuto per un immobile conferito nel fondo patrimoniale, nel caso risulti applicabile l’ipotesi normativa della solidarietà passiva prevista dall’art. 60-bis, comma 3-bis, del D.P.R. n. 633/72.

Il disposto normativo de quo dispone che “Qualora l’importo del corrispettivo indicato nell’atto di cessione avente ad oggetto un immobile e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, il cessionario, anche se non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni, è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonché della relativa sanzione. Il cessionario che non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni può regolarizzare la violazione versando la maggiore imposta  dovuta entro sessanta giorni dalla stipula dell’atto. Entro lo stesso termine, il cessionario che ha regolarizzato la violazione presenta all’ufficio territorialmente competente nei suoi confronti copia dell’attestazione del pagamento e delle fatture oggetto della regolarizzazione” (sulla solidarietà passiva in tema di Iva, circa la portata applicativa dell’art. 60-bis, si rinvia, tra i diversi documenti di prassi, alle circolari adottate dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, nn. 10/E, del 16 marzo 2005, e 6/E, del 13 febbraio 2006).

Altro aspetto da affrontare, ritenuto pertinente e degno di nota, è rappresentato dalla validità, o meno, dell’ipoteca iscritta sui beni costituenti il fondo patrimoniale, per debiti estranei ai bisogni della famiglia.

Sul punto, giova osservare che la giurisprudenza di legittimità, in via ormai consolidata, ha affermato che l’ipoteca costituisce atto strumentale e funzionale all’esecuzione forzata (in argomento, si rinvia a Cass. n. 7880/2012), con la conseguenza che l’estraneità del debito alle esigenze familiari si riverbera sulla legittimità del provvedimento sotteso alla formalità ipotecaria (in generale, per utili approfondimenti sul tema, si rinvia al pronunciato del Tribunale di Mantova, del 20 febbraio 2014, reperibile nella Rivista Il CASO.it, Il Diritto degli Affari; sulla natura del debito fiscale rispetto all’iscrizione di ipoteca ex art. 77 del D.P.R. n. 602/73, si rinvia alla statuizione del Tribunale di Ferrara, 10 gennaio 2013, n. 9).

   

3. Considerazioni conclusive sulle ragioni fraudolente sottese alla costituzione del fondo

Occorre chiedersi, ora, quid iuris qualora alla costituzione del fondo patrimoniale il coniuge-costituente (o i coniugi) abbia fatto ricorso al solo scopo di paralizzare eventuali azioni recuperatorie esperibili dall’ente creditore (si consideri la fattispecie astratta prevista dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/97; sulla portata applicativa dell’anzidetta disposizione, v. Cass., 28 gennaio 2010; contra, ex multis, Comm. trib. prov. di Cosenza, 30 luglio 2007), o, normalmente, dall’Agente della riscossione.

Fermi restando i rimedi esperibili innanzi al Giudice civile, non escludendo possibili profili di responsabilità penale, chi scrive ritiene di non dover escludere che l’Ufficio finanziario, convenuto nel giudizio tributario, eccepisca, tra le altre, nelle proprie controdeduzioni, quale questione preliminare, l’inefficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale per evidente condotta abusiva del contribuente-costituente; in particolare, l’Amministrazione resistente potrebbe provare, avvalendosi di dati dimostrativi anche indiziari, che la costituzione del fondo in esame è avvenuta durante un periodo sospetto nel corso del quale il coniuge costituente (o i coniugi)  ha commesso gravi e ripetute violazioni formali e/o sostanziali delle leggi d’imposta: si pensi, a titolo esemplificativo, a omessi versamenti di imposte per somme particolarmente significative, a ripetuti atti evasisi o caratterizzati da interposizione fittizia di persona.

L’Amministrazione, in buona sostanza, ben potrebbe sostenere, nel rispetto dei principi che governano l’onere della prova, che le ragioni sottese alla costituzione del fondo patrimoniale sono da ricercare nella volontà di precostituirsi una “via di fuga” onde impedire all’Ente creditore il legittimo coattivo recupero del quantum debeatur (in generale, sull’abuso del diritto in materia tributaria, si rinvia a Cass., SS.UU., n. 15029/2009; sulla rilevabilità ex officio dell’abuso del diritto, a prescindere dalla eccezione in tal senso sollevata dalla parte processuale, si rinvia a Cass. n. 7393/2012).

   


[1] Il contributo riproduce, con integrazioni e adattamenti, il testo della relazione tenuta dall’Autore l’11 ottobre 2014 al “Corso di alta formazione professionale in diritto tributario” organizzato in Barletta  dal Dott. Riccardo Pio Campana e dal Prof. Avv. Nicola Di Modugno; il corso è stato accreditato dagli Ordini degli Avvocati di Trani, dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Trani e dei Consulenti del lavoro di Trani.

Si segnalano le interessanti osservazioni tecnico-giuridiche esposte dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Trani, Dott. Antonio Soldani, al termine della relazione tenuta dall’Autore del presente contributo.

In pari data, quali docenti, sono intervenuti l’Avv. Mario Malcangi, Avvocato penalista del Foro di Trani, il quale ha affrontato “Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte con particolare riferimento alla costituzione del fondo patrimoniale”, e l’Avv. Dott. Antonio Lattanzio, AvvocatoTributarista – Dottore Commercialista, il quale ha affrontato “L’accertamento tributario:problematiche attuali e recenti orientamenti giurisprudenziali”.



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