Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/01/2016 Scarica PDF

Brevi note in tema di esenzione Irap in agricoltura, alla luce della Legge di stabilità per il 2016

Gennaro Di Gennaro, Dottorando di ricerca


SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La novella normativa introdotta dalla Legge di stabilità: l’ambito applicativo. - 3. Le condizioni che giustificherebbero l’esenzione dall’IRAP per le società commerciali “non agricole”. – 4. Considerazioni conclusive.


     

1. Premessa

La Legge n. 208/2015 ha introdotto,  fra le altre, una novità alquanto  interessante che concerne il settore agricolo; ci si riferisce, in particolare, alla previsione normativa in forza della quale è stata disposta l’esenzione dal pagamento dell’Irap per le imprese che svolgono un’attività agricola nei termini di seguito indicati.

Giova sin d’ora evidenziare, ad avviso di chi scrive, che la norma in discorso, pur non generando alcun dubbio interpretativo in ordine alla sua applicabilità alle imprese agricole, siano esse individuali che societarie, impone, invece, alcune opportune considerazioni in merito al trattamento tributario degli imprenditori commerciali che svolgono, di fatto, un’attività agricola non rientrante nel novero delle attività enucleate dall’art. 2195 c.c..

Si consideri, a titolo esemplificativo, il caso di numerose società commerciali, non agricole, nell’ambito delle quali l’esercizio delle attività agrarie è strettamente  funzionale al compiuto perseguimento dell’oggetto sociale.

Occorre, pertanto, verificare quale possa essere la portata applicativa della novellata disposizione esonerativa, alla luce di una ragionevole interpretazione della stessa.

 

2. La novella normativa introdotta dalla Legge di stabilità: l’ambito applicativo

L’art. 1, comma 70, della Legge di stabilità per il 2016, ha positivizzato la non debenza del tributo Irap per tutti coloro che svolgono almeno una delle attività agricole contemplate dall’art. 32 del T.U.I.R..

Più precisamente, il Legislatore, modificando l’art. 3, comma 2, del D. Lgs. n. 446/1997, ha allargato la platea dei contribuenti non giuridicamente tenuti al pagamento del tributo in parola, stabilendo, in forza della nuova lettera c-bis), che non sono soggetti passivi dell’imposta“i soggetti che esercitano una attività agricola ai sensi dell’articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (…..);”.

Orbene, ad avviso di chi scrive la norma tributaria in esame non appare applicabile alle sole imprese agricole, posto che, penetrando il contenuto della medesima, difetta alcun minimo riferimento all’impresa agraria: il novellato disposto contiene, invece, un termine generico e adattabile ad ogni fattispecie concreta, ovvero  i soggetti”.

Ciò posto, l’anzidetta locuzione consente, a parere di chi scrive, di considerare piuttosto ampia, rispettate talune condizioni che saranno qui esposte, la platea dei contribuenti che ben potrebbero beneficiare dei vantaggi impositivi derivanti dalla regola giuridica innanzi trascritta.

Ed infatti, laddove il Legislatore avesse voluto circoscrivere, sotto il profilo soggettivo, il perimetro applicativo della disposizione, avrebbe ben potuto limitarne la portata alle sole imprese agrarie, sia individuali che collettive, richiamandole espressamente e senza utilizzare una locuzione (i soggetti), che, invece, consente di sostenere una differente e ragionevole interpretazione.

Ne consegue, alla luce delle notazioni sin qui svolte, che la locuzione “i soggetti” comprende, ad avviso di chi scrive, sia l’imprenditore agricolo di cui all’art. 2135 c.c., che, parimenti, l’imprenditore commerciale che svolga un’attività agricola di cui all’art. 32 del T.U.I.R..

Rileva altresì evidenziare che il Legislatore, in forza della norma testé riprodotta (ovvero l’art. 1, comma 70, della legge n. 208/2015), ha previsto l’esenzione in favore di coloro che svolgono un’attività agricola di cui al predetto art. 32, senza alcun riferimento alla natura del reddito prodotto; anche detta circostanza  concorre a sostenere l’assunto qui prospettato, in quanto, laddove si fosse voluta limitare la portata applicativa della disposizione alle sole imprese agrarie, il Legislatore avrebbe riferito l’esenzione alle sole imprese titolari di reddito agrario di cui all’art. 32 T.U.I.R..

A ciò si aggiunga, a conforto delle presenti osservazioni, che la disposizione contenuta nella legge di stabilità prevede l’abrogazione della lettera d) di cui all’art. 3, comma 1, del D. Lgs. n. 446/97; detta lettera, sino alla sua rimozione dalla realtà giuridica, includeva, tra i soggetti passivi Irap, “i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all’art. 32 del predetto testo unico, esclusi quelli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000 euro (…)”.

E’ dunque di tutta evidenza che all’abrogazione di un enunciato normativo (contenuto in una norma impositrice) chiaro ed inequivocabile che si riferiva esclusivamente a determinati contribuenti, ovvero ai produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all’art. 32, è conseguita la positivizzazione della non debenza dell’Irap per tutti coloro i quali (i soggetti) svolgono un’attività agraria ai sensi del predetto art. 32 T.U.I.R.: la novella normativa, in buona sostanza, non subordina (ad avviso di chi scrive) l’esenzione allo status di produttore agricolo, né al tipo di reddito prodotto, bensì alla sola attività concretamente esercitata, anche in ossequio al principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

Ergo, chi scrive ritiene sostenibile l’esenzione “allargata” in esame, subordinata al mero esercizio di un’attività agricola, anche quando ciò avvenga da parte di società commerciali: si pensi, a titolo d’esempio, all’attività agraria svolta da una S.r.l..

La circostanza che rileva, in effetti, è il concreto svolgimento di attività agricole che, qualora fossero esercitate da un’impresa agraria, genererebbero, sul piano tributario, solo reddito agrario.

Non sarebbe agricola, ad avviso di chi scrive e ai fini che qui interessano, la sola attività di raccolta del prodotto agricolo, senza aver mai svolto alcuna attività (agricola) essenziale, preparatoria e prodromica alla raccolta stessa.

 

3. La condizioni che giustificherebbero l’esenzione dall’IRAP per le società commerciali “non agricole”

Rileva, ora, stabilire quali attività  debbano essere svolte da una società commerciale che non riveste la natura di “società agricola”, affinché possa ravvisarsi il carattere agrario richiesto ai fini della non debenza del tributo Irap.

A tal riguardo, occorre considerare, case by case, la realtà produttiva e commerciale che connota ciascuna impresa.

Si supponga, dunque, a titolo d’esempio, che l’impresa societaria (non agricola), intendendo acquistare uva da tavola, concluda, con i produttori agricoli proprietari dei vigneti, specifici accordi negoziali in virtù dei quali le parti contraenti (società commerciale e produttore agricolo), oltre a pattuire il prezzo dell’uva, convengono che talune essenziali attività agricole, preliminari alla raccolta dell’uva, e, pertanto, caratterizzanti una fase necessaria del ciclo vegetativo, siano direttamente svolte dalla società commerciale acquirente.

Quest’ultima, pertanto, potrebbe occuparsi, tra le altre, avvalendosi della propria organizzazione di mezzi e di persone, delle seguenti attività:

 a) legatura dei tralci;

 b) acinellatura;

 c) fertirrigazione;

 d) aratura e rimozione delle infestanti;

La stessa società commerciale acquirente (non agricola), inoltre, potrebbe eseguire, nel pieno rispetto delle pertinenti regole giuridiche, interne ed unionali, i trattamenti fitosanitari ritenuti essenziali ai fini della preservazione del prodotto dalle malattie fungine.

Orbene, le considerazioni innanzi evidenziate rendono ulteriormente sostenibile la tesi favorevole all’applicazione della novellata disposizione esonerativa (Irap) anche alle società commerciali, che, come nel caso esposto, svolgano di fatto attività agricole proprie di una qualsiasi impresa agraria operante nello specifico settore, occupandosi direttamente di una serie di attività fondamentali e rientranti in una fase assolutamente necessaria del ciclo biologico, di carattere vegetale.

Tutto ciò, giova ripeterlo,  in quanto la società commerciale “non agricola” è un soggetto che, nel caso innanzi riportato, svolge l’attività di coltivazione del terreno contemplata dall’art. 32 del T.U.I.R. nonché quella connessa, di confezionamento e commercializzazione, prevista dalla medesima disposizione.

Proseguendo con un’altra ipotesi esemplificativa, ben si potrebbe considerare il settore della commercializzazione delle verdure in cui la società commerciale “non agricola” svolga, tra le altre, in forza di specifici contratti conclusi con i singoli produttori agricoli, le seguenti attività nel corso dell’ultima fase del ciclo vegetativo: a) concimazione;

b) trattamenti fitosanitari;

c) aratura e rimozione delle infestanti;

d) irrigazione.

I due esempi qui riportati consentono, pertanto, di evidenziare l’indubbia natura agraria delle attività svolte dall’impresa societaria (non agricola).

Dette attività appaiono pienamente aderenti persino al dettato normativo di cui all’art. 2135 c.c., secondo cui le attività di coltivazione del fondo sono quelle “dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo (…)”.

La tesi sostenuta nel presente contributo troverebbe maggior conforto laddove, rimanendo nell’ambito dei casi sopra esemplificati, i lavoratori subordinati della società commerciale (acquirente) fossero assunti come lavoratori agricoli, con le specifiche qualifiche previste dalla disciplina positiva dettata in tema di contratti applicabili in agricoltura.

   

4. Considerazioni conclusive

La novellata regola esonerativa, ad avviso di chi scrive, appare applicabile anche alle società commerciali (non agricole) operanti nel settore agricolo; diversamente, la norma si porrebbe in contrasto col principio di eguaglianza e di ragionevolezza laddove fosse applicata alle sole imprese agrarie e non anche a tutte quelle imprese commerciali che, seppure differenti per forma giuridica, svolgono le medesime attività (agrarie) e si avvalgono di lavoratori subordinati che godono degli stessi trattamenti retributivi, assicurativi e previdenziali previsti per i lavoratori assunti dalle imprese agricole.


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