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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/10/2015 Scarica PDF

Circa le problematiche legate agli orientamenti relativi alla liquidazione del cd. danno biologico intermittente ed una possibile soluzione correttiva

Daniele Moro, Magistrato del Tribunale di Cremona


Premesso che il danno biologico intermittente[1] può essere definito come il pregiudizio alla salute ed all'integrità psicofisica di una persona, maturato nell’intervallo temporale compreso tra l’evento generatore di quel pregiudizio e la morte del danneggiato determinata da una causa indipendente e sopravvenuta rispetto a tale evento, è necessario interrogarsi, ai fini della quantificazione del risarcimento, circa l’utilizzabilità o, meglio, circa i limiti di utilizzabilità delle tabelle normative ovvero delle tabelle di Milano o di Roma.

Il problema può essere sintetizzato nel seguente quesito: poiché la liquidazione tabellare del danno è fondata, da un lato, sull’entità dell’invalidità causata dall’evento e, dall’altro, sull’aspettativa di vita media del danneggiato (dato questo ricavabile in via astratta attraverso il ricorso ad indagini di tipo statistico), quale criterio correttivo al dato tabellare deve essere applicato quando la morte del soggetto avviene in un momento certo, antecedente al termine di aspettativa di vita sul quale dette tabelle sono parametrate?

Prima di illustrare le risposte offerte dalla giurisprudenza ed evidenziarne le lacune, è preliminarmente necessario costituire un punto fermo da cui sviluppare il ragionamento.

Il punto fermo è costituto dall’impossibilità di applicare il risarcimento tabellare in assenza di correttivi. Infatti, se il risarcimento riveste nell’ordinamento italiano una finalità meramente reintegratrice, e non punitiva, e se i valori tabellari differiscono, a parità di lesione, in relazione all’età del danneggiato perché differente è l’aspettativa di vita, allora è evidente che colui che muoia a pochi mesi di distanza dall’evento lesivo per una causa non riconducibile causalmente all’evento stesso non potrà ricevere (o meglio gli eredi non potranno ricevere jure hereditatis) una somma di importo pari a quella che quello stesso soggetto riceverebbe (gli eredi riceverebbero) qualora avesse vissuto per diversi decenni.

Ciò è vero in quanto il danno biologico si produce solo per il tempo in cui il soggetto è in vita e, applicando tout court il dato tabellare, si liquiderebbe, invece, una somma comprensiva di un danno che non si è mai generato a fronte di una morte precoce: nello specifico si liquiderebbe l’equivalente monetario del danno prodotto tra l’evento morte e l’aspettativa di vita media del danneggiato. Esemplificando: liquidare ad un soggetto di 11 anni lo stesso importo risarcitorio per la medesima lesione sia nel caso in cui viva fino a 100 anni sia qualora muoia per una causa indipendente qualche mese dopo l’evento lesivo, non solo è contrario al principio di uguaglianza nell’accezione di trattare in modo uguale fattispecie diverse ma è antitetico rispetto agli stessi principi che governano la funzione risarcitoria.

Alla luce di quanto sopra esposto, passiamo ora ad analizzare gli orientamenti prevalenti della giurisprudenza:

1) l’indirizzo favorevole all’applicazione dell’equità pura, anche nell’ipotesi in cui fissi il tetto massimo liquidabile nel dato ricavabile dall’applicazione delle tabelle, deve essere disatteso rilevato il rischio di ricadere in quella che è stata lucidamente definita come “anarchia risarcitoria”. Infatti permettere che sia la sensibilità del singolo magistrato a determinare il quantum debeatur, non solo potrebbe essere fonte di effetti discriminatori ma si allontana anche da parametri oggettivi a cui l’equità, modernamente intesa, tende a volersi agganciare.

Tale corrente, in ogni caso, deve essere valorizzata nella parte in cui ha compreso la necessità di allontanarsi dall’applicazione del modello matematico puro (punto 2) o di quello “elastico” (punto 3) per cercare di trovare una risposta adeguata alle particolarità proprie del danno biologico intermittente;

2) l’indirizzo cd. “matematico” muove dalla considerazione secondo cui la voce risultante dal dato tabellare rappresenta il corrispettivo monetario del danno per un nocumento all’integrità psicofisica che si distribuisca su tutto l’arco temporale di vita residua del danneggiato. Se ciò è vero, in caso di morte prematura del soggetto per causa estranea all’evento, il quantum liquidabile è facilmente ricostruibile dividendo il quantum tabellare per gli anni di aspettativa di vita statisticamente previsti e moltiplicando il risultato per gli anni di vita effettiva. In forma algebrica la relazione di cui prima è esprimibile con l’equazione R:AV=r:VE dove R è il risarcimento che verrebbe liquidato al soggetto che fosse rimasto in vita secondo la propria aspettativa di vita, AV sono gli anni di aspettativa di vita, VE è la vita effettiva, e r è il risarcimento alla luce della vita effettiva.

Tale orientamento nonostante possieda il pregio della semplificazione e dell’uniformazione di giudizio non può essere condiviso per due ragioni. In primo luogo è ragionevole ritenere che il danno, benché si ripercuota su tutto l’arco temporale di una esistenza, avrà intensità diverse a seconda che ci trovi in prossimità dell’evento generatore o a distanza di decenni dallo stesso. In merito, è possibile riportare sia il pensiero dell’Osservatorio per la Giustizia Civile di Roma (punto 3) secondo cui “il danno non è una funzione costante crescente nel tempo; non si acquisisce giorno per giorno una frazione del danno complessivo ma si acquisisce subito una parte (nella misura dei postumi stabilizzati) che costituisce l’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta” sia la pronuncia n. 2297/2011 della sezione III della Corte di Cassazione secondo cui “l'ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono "iure successionis" va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, per quanto tenendo conto del fatto che nei primi tempi il patema d' animo è più intenso rispetto ai periodi successivi”. Ciò detto si può affermare che il cd. indirizzo “matematico” pecchi per il fatto di considerare il valore tabellare risultante dall’incontro tra la voce “età” e la voce “percentuale di invalidità” come la sommatoria di frazioni omogenee. Per quanto attiene alla seconda ragione, si rimanda al punto 3), atteso l’esistenza del medesimo difetto anche nell’Orientamento dell’Osservatorio per la Giustizia Civile di Roma;

3) l’indirizzo dell’Osservatorio per la Giustizia Civile di Roma considera il quantum risarcibile risultante dal dato tabellare come la sommatoria di una posta che si acquisisce immediatamente ed espressione dell’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta e di una seconda posta, indice del pregiudizio in rapporto all’aspettativa di vita e che si acquisisce con il trascorrere della vita effettiva. Appare evidente che ove il danneggiato muoia in un termine prossimo a quello risultante dalla propria aspettativa di vita non sussiste alcun problema dal momento che la scomposizione del risarcimento tabellare in due distinte voci assumerebbe un valore meramente descrittivo. Tuttavia, nel caso di un decesso assai prematuro rispetto all’aspettativa di vita, la situazione si complica poiché il risarcimento deve essere parametrato al pregiudizio sofferto nella vita effettiva e non in quello potenziale.

L’orientamento in esame elabora una soluzione razionale seppur non totalmente condivisibile: infatti esso quantifica il danno acquisibile immediatamente in un valore compreso tra il 10% e il 50% del quantum tabellare a seconda dell’entità del danno biologico subito (senza necessità di riportare la precisa suddivisione in fasce, si sottolinea la relazione di proporzionalità diretta tra percentuale di invalidità e percentuale di danno immediatamente acquisibile) mentre la parte restante di danno, pari cioè alla somma tabellare ridotta dell’importo del danno immediatamente acquisito, si distribuisce in frazioni omogenee negli anni compresi tra l’evento lesivo e il termine dell’aspettativa di vita in relazione alla fascia di età di riferimento. Esemplificando, un soggetto di anni 11 che abbia subito una lesione quantificabile in una invalidità del 40% e che non muoia prematuramente per una causa distinta dall’evento avrà diritto ad un risarcimento tabellare pari ad euro 217.494,45, di cui una percentuale, compresa tra il 10% e il 20%, per il danno acquisito immediatamente e la restante percentuale volta a coprire il pregiudizio prodotto nei 71 anni successivi (ricavabili come differenza tra l’aspettativa di vita di un individuo compreso nella fascia di età tra gli 11 anni e i 20 anni (82 anni) e l’età effettiva; in sostanza 82-11=71). Nel caso in cui lo stesso soggetto dovesse morire accidentalmente decorsi 5 anni dall’evento, il quantum risarcitorio sarà così determinato: una percentuale compresa tra il 10% e il 20% di euro 217.494,45 quale danno acquisito immediatamente e la frazione di 5/71 (dove 5 sono gli anni di vita effettiva e 71 gli anni di aspettativa di vita) della differenza tra 217.494,45 euro e la percentuale prima determinata quale danno acquisito nel tempo di vita effettiva.

Ebbene i principi metodologici elaborati dalla teoria in esame devono essere valutati favorevolmente in virtù sia della possibilità di valorizzare all’interno della posta “danno acquisito immediatamente” la maggiore intensità del patema d' animo propria dell’arco temporale prossimo all’evento lesivo sia della capacità di contemperare un modello flessibile alle particolarità del caso con l’esigenza di uniformità di giudizio.

Ciò che invece non può essere condiviso ed anzi necessita immediata revisione, è l’applicazione del predetto modello ad ogni fascia di età in assenza di un correttivo (si sottolinea che tale difetto è proprio anche dell’indirizzo di cui al punto 2). Un esempio varrà a chiarire il pensiero: premettiamo che un individuo di anni 11 con una aspettativa di vita di anni 82 ed uno di anni 80 con una aspettativa di vita di anni 89, subiscano la medesima lesione generatrice di un danno biologico pari al 40%. Secondo le tabelle di Roma al minore spetterebbe una somma di euro 217.494,45, all’anziano euro 142.081,80. Appare evidente che tale differenziazione è fondata sulla differente aspettativa di vita e sul conseguente maggior numero di anni sul quale il pregiudizio per il minore si riverbera. Ipotizziamo ora che entrambi i soggetti muoiano per una causa esterna e non riconducibile all’evento lesivo a distanza di anni 5 dal pregiudizio subito. Alla luce del metodo di cui prima ed assumendo nel 20% la percentuale del danno acquisito immediatamente per l’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta (si ricorda che tale percentuale varia in proporzione all’entità del danno e non in base all’età), il minore riceverà un risarcimento pari ad euro 55.752,09 di cui euro 43.498,89 come danno acquisito immediatamente ed euro 12.253,20 per danni maturati nei 5 anni di vita effettiva mentre l’anziano riceverà la somma si euro 91.563,82 di cui euro 28.416,36 per il danno acquisito immediatamente ed euro 63.147,46 come danno maturato nei 5 anni di vita effettiva. Confrontando i due corrispettivi risarcitori appare immediatamente percepibile l’elevata disparità di trattamento in assenza di alcuna ragionevole giustificazione. Infatti, se è pur sostenibile l’assunto secondo cui il danno è maggiore in prossimità dell’evento mentre tende a sfumarsi a distanza di decenni sicché in termini relativi è sempre maggiore la somma risarcibile per il danno che si genera in prossimità dell’evento, nel caso di specie il danno si ripercuote per il medesimo arco temporale e con la medesima intensità ma per quantum sensibilmente diversi. Tale disparità di trattamento sarebbe accettabile solamente in un sistema in cui si ritenesse che una menomazione nell’infanzia produca un pregiudizio annuo inferiore rispetto a quello prodotto in vecchiaia. Ciò non è condivisibile atteso i molteplici campi della vita sociale e personale in cui il pregiudizio per il giovane si riverbera in modo più significativo rispetto all’anziano; anzi parrebbe vero il contrario e cioè che la medesima lesione sia assai più dannosa per un undicenne rispetto ad un ottantenne.

In conclusione l’indirizzo in esame, nonostante i pregi indiscussi già sottolineati, non pare essersi soffermato sul problema sopra evidenziato e suscettibile di creare grande disparità di trattamento per ipotesi analoghe.

Alla luce di quanto detto e al fine di stimolare un possibile dialogo in merito, appare opportuno avanzare una proposta per correggere la soluzione metodologica seguita dall’Osservatorio per la Giustizia Civile di Roma, dal momento che quest’ultima pare la più condivisibile.

Per semplicità si vuole premettere che la medesima lesione generatrice del medesimo danno biologico produca a parità di arco temporale di riferimento il medesimo pregiudizio a prescindere dalla fascia di età di riferimento (ma ciò potrebbe, o per meglio dire, dovrebbe essere a propria volta oggetto di adeguamento).

Volendo conservare l’efficacia delle tabelle già elaborate, un correttivo potrebbe essere quello di assumere come parametro di rifermento in relazione al danno da acquisire nel tempo di vita effettiva (e non dunque in riferimento al danno acquisito immediatamente) un valore annuo predeterminato ed uguale per ogni fascia di età. Tale importo può essere ricavato dalle tabelle prendendo in considerazione l’importo massimo annuo liquidabile in favore di quei soggetti per cui è stata prevista una aspettativa di vita identica alla vita vissuta dal danneggiato. Ad esempio: nel caso di morte trascorsi 5 anni dall’evento la somma relativa al danno generatosi in costanza di vita sarà determinata in relazione ad un soggetto di anni 87 in quanto avente un’aspettativa di vita di anni 92. E ancora: nel caso di morte trascorsi 10 anni dall’evento, il soggetto di riferimento sarà l’individuo di anni 79 la cui aspettativa di vita è di anni 89. Ovviamente dal valore tabellare proprio dei soggetti di riferimento andrà sottratta la somma equivalente al danno acquisito immediatamente, cioè al pregiudizio riconducibile all’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta (così come calcolata dall’Osservatorio per la Giustizia Civile di Roma).

Non si ignora che anche la soluzione prospettata è generatrice di alcuni inconvenienti applicativi: in primo luogo, vi possono essere ipotesi in cui una certa aspettativa di vita è comune a più fasce di età in rapporto alle quali è differente il quantum liquidabile (per esempio un’aspettativa di vita di 9 anni è comune sia agli individui di 80 anni sia a quelli 83 anni). A tale obiezione è agevole rispondere osservando che, concretamente, le fattispecie in cui si verifichi una sovrapposizione sono numericamente limitate e il quantum liquidabile è sì differente ma di un valore relativo assai modesto (nell’esempio di cui sopra, vi sarebbe una differenza di euro 2.623,00 che distribuiti nell’arco di 9 anni sono pari ad euro 291,40 annui).

Secondariamente, si potrebbe obiettare che siffatta metodologia determinerebbe in caso di danno biologico intermittente in soggetti di giovane età una liquidazione risarcitoria assai più elevata rispetto a quella derivante dalla prassi attualmente seguita: in merito si evidenzia che nonostante siffatta considerazione sia assolutamente veritiera, essa si rivela un problema meramente empirico e non di coerenza giuridica.

Al massimo ciò che è opportuno domandarsi è se le tabelle in questione siano idonee a risolvere la questione del danno biologico intermittente oppure se esse, originariamente create per scopi differenti, rappresentino solo una temporanea soluzione in attesa di una più approfondita disamina della problematica.



[1] V. Buffone, Danno biologico intermittente: rebus risarcimento in Guida al diritto, 2015, 36, 35


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