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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/10/2015 Scarica PDF

Sequestro penale dell'azienda e rappresentanza legale della società: la convivenza "di fatto" di amministratori giudiziari delle "res" e amministratori volontari delle persone giuridiche

Francesco Fimmanò e Roberto Ranucci, F. Fimmanò, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università delle camere di commercio "Universitas Mercatorum" di Roma e Vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti. R. Ranucci, Avvocato in Roma


Sommario: 1. I sequestri penali di “res produttive”; - 2. Il sequestro antimafia; - 3. L’(in)efficacia del sequestro antimafia sull’organo amministrativo della società; - 4. (segue) e sull’organo di controllo; - 5. I poteri dell’Amministratore Giudiziario; - 6. La iscrivibilità rafforzativa della sospensione degli amministratori e gli effetti dello spossessamento.

 

 

1. I sequestri penali di “res produttive”

Negli ultimi anni si è registrato un ricorso sempre più frequente ai sequestri di natura penale aventi ad oggetto l’azienda, le partecipazioni sociali ed altre “res produttive”, spesso in via cumulativa e non alternativa. Le ragioni di tale diffusione vanno ricercate nello spostamento dell’asse dell’ordinamento verso l’area penalistica, con una espansione dell’alveo delle misure cautelari reali. D’altra parte, la scelta, in materia di diritto dell’impresa, di accentuare le forme di tutela risarcitoria dei soci, dei creditori, dei terzi e degli stakeholders in genere, in luogo degli strumenti  di tutela reale, ha prodotto questa risultanza indiretta in cui il diritto penale da extrema ratio diventa una forma di reintegrazione complementare.

A tale fenomeno si è aggiunta la circostanza che economia e criminalità finiscono sovente con l’intrecciarsi, dunque, finalità illecite possono affiancare o sostituire quelle lecitamente perseguite da una realtà produttiva. Invero, sempre più spesso le organizzazioni criminali esercitano attività economiche formalmente lecite e, addirittura, operano sul mercato nel rispetto formale della legge. Le ragioni dell’illegalità devono allora essere rinvenute: nell’origine dei capitali utilizzati, nel metodo della intimidazione mafiosa con cui viene svolta l’attività, nella compressione dei diritti sindacali e salariali[2]. Tali attività, evidentemente, si differenziano dalla tradizionale impresa illecita[3], ossia quella in cui è l’oggetto dell’attività in sé ad essere contra ius. Pertanto, al fine di contrastare la criminalità organizzata e non, le misure patrimoniali risultano spesso essere più efficaci di quelle personali e da strumento di extrema ratio divengono un approccio efficace ed efficiente.

A ciò si aggiunga il crescente rilievo applicativo del sequestro preventivo per equivalente disciplinato dall’ art. 19, 2° comma d.lgs. n. 231/2001 nei confronti della persona giuridica responsabile di illecito amministrativo dipendente da reato[4].

In sintesi, come si è già avuto modo di rilevare, si sta assistendo «all’emersione di una nuova categoria di “crisi dell’impresa”, che è la crisi di legalità»[5]. Per contrastare il fenomeno criminale è diventato necessario aggredire l’attività economica attraverso le res produttive strumentali alla stessa, visto che l’attività, in quanto tale, non è assoggettabile a sequestro. È, infatti, quasi superfluo precisare che l’imprenditore è il soggetto che esercita l’attività economica organizzata per produrre beni e servizi per il mercato (art. 2082 c.c.), l’impresa è tale attività economica, la società è il soggetto (persona giuridica se di capitali) imprenditore collettivo che esercita l’attività. Lo strumento per esercitare l’attività d’impresa è l’azienda (art. 2555 c.c.) che non è l’imprenditore individuale o collettivo, non è la società, non è l’impresa, ma è un bene complesso, rectius il complesso dei beni e dei rapporti utilizzati dall’imprenditore individuale o dalla società per l’esercizio dell’impresa[6].

Fin dalla taberna di diritto romano (antesignano storico) e ripercorrendo l’elaborazione dottrinale in tema di azienda, che ha impegnato per lustri la dottrina [7], si è affermato che l’azienda è qualificabile come una pluralità di beni unificati dalla unitaria destinazione produttiva, ed in quanto tale, oggetto di rapporti di diritto pubblico e di diritto privato. Si badi bene oggetto e non soggetto come è invece l’imprenditore individuale o l’imprenditore collettivo (come la società), che è soggetto autonomo di diritto e,  quando società di capitali, vera e propria persona giuridica.

Il soggetto di diritto, in quanto persona, non può essere l’oggetto dello spossessamento, del sequestro, della vendita o dell’espropriazione (a differenza dei beni e dei rapporti che ne costituiscono il patrimonio) e, pertanto, il provvedimento cautelare non può riguardare la sostituzione dell’imprenditore e, in ultima analisi, la governance della società ma tutt’al più la gestione dell’impresa [8], se non ancora meglio dell’azienda [9].

Le quote e le azioni, invece, sono dei beni materiali o dematerializzati, in quanto consistono in entità patrimoniali. Infatti, le azioni possono essere incorporate in un titolo materialmente apprendibile, mentre, le quote di s.r.l. sono assimilate, pur non senza contrasti[10], a beni immateriali[11], nel senso di non materialmente apprendibili[12], non essendo incorporate in un supporto fisico[13]. In generale, le partecipazioni sociali rappresentano, da un punto di vista dinamico, l’investimento soggetto a rischio[14] e il grado di coinvolgimento del socio nelle sorti dell’impresa societaria[15]. Infatti, «la quota esprime il complesso dei diritti e dei doveri derivanti dalla partecipazione alla società e ciò significa per il socio la titolarità di una serie di facoltà che si identificano in altrettanti poteri dispositivi o disponibilità»[16].

Pertanto, oggetto della tutela cautelare può essere l’azienda, come complesso di beni destinati allo svolgimento dell’impresa, o  le partecipazioni sociali della società [17].

La netta distinzione teorica appena esposta molto spesso non si trasferisce nell’applicazione pratica. Talora i provvedimenti di sequestro confondono i diversi livelli o addirittura mettono sullo stesso piano l’intera partecipazione azionaria con la persona giuridica, altre volte ancora “fanno di tutta l’erba un fascio” aggiungendo al sequestro dell’azienda, quello delle quote, quello dei conti correnti e persino del “patrimonio sociale”. Il patrimonio è un complesso unitario di entità suscettibili di costituire oggetto di posizioni giuridiche attive [18], come tali espropriabili al cospetto dell’inadempimento delle obbligazioni gravanti sulla società [19] e, dunque, finalizzate ad assicurare il soddisfacimento degli altrui diritti di credito[20]. A differenza però dei singoli elementi che lo costituiscono, esso non può circolare mediante un singolo atto, così come avveniva nel diritto romano classico mediante la bonorum venditio e l’aggiudicazione ad un singolo acquirente. Ciò trova conferma nella distinzione tra capitale sociale[21] e patrimonio: è possibile trasferire l’intera partecipazione azionaria od elementi del patrimonio aventi valore oggettivo, ma non il patrimonio stesso, riferito necessariamente ad un soggetto di diritto.

La citata confusione solleva non pochi problemi in quanto viene accompagnata spesso dalla nomina di un soggetto “spurio” collegato all’insieme e che gli operatori hanno difficoltà ad individuare nelle specifiche attribuzioni ed identità. Ed in alcuni casi la confusione è persino voluta, in modo da evitare la nomina di amministratori “volontari” ad opera dei custodi giudiziari delle partecipazioni, in quanto non dotati di “copertura giurisdizionale” e come tali più esposti ad eventuali azioni risarcitorie dei prevenuti.

La giurisprudenza di merito ha talora ritenuto sequestrabile la società, sulla base anche della formulazione (non propriamente rispettosa dell’ordinamento societario) dell’art. 104 bis disp. att. c.p.p. [22], il quale statuisce la necessaria nomina di un amministratore giudiziario da parte dell’autorità giudiziaria «nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto […] società». Peraltro, si deve ritenere che l’atecnica previsione del “sequestro di società” sia idonea, al più, a descrivere, da un punto di vista fenomenologico, il sequestro della totalità delle partecipazioni sociali congiuntamente all’azienda societaria[23].

A voler applicare (erroneamente) il modello della sostituzione gestoria del soggetto titolare dell’impresa a norma, od a guisa, dell’art. 2409 c.c. (inapplicabile per analogia), si creerebbe, peraltro, una disparità tra impresa individuale ed impresa collettiva: all’imprenditore non potrebbe che applicarsi la tecnica dello spossessamento, visto che un amministratore giudiziario non può certo sostituirsi fisicamente al titolare dell’attività economica (salvo improbabili metempsicosi)[24] ed, invece, in caso di società, si verificherebbe una sostituzione dell’amministratore e legale rappresentante del soggetto di diritto.

L’art. 2908, c.c., sancisce inequivocabilmente che solo “nei casi previsti dalla legge, l'autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. Il sequestro - come la dichiarazione di fallimento - non determina, né è in grado di determinare, la modificazione del contratto di società o la sostituzione degli organi della persona giuridica (come avviene nel solo caso eccezionale di cui all’art. 2409 c.c.), la quale rimane in vita e viene semplicemente spossessata del patrimonio. Il custode delle quote o dell’azienda - così come il curatore fallimentare - non è certamente il legale rappresentante della società interessata dal sequestro (analogamente a quella fallita), né è il suo nuovo amministratore[25].

Ed invero, la sostituzione d’imperio dell’organo amministrativo deve essere espressamente prevista dalla legge, non potendosi applicare analogicamente l’art. 2409 c.c. In tal senso depone anche la recente introduzione del comma 6° all’art. 185 l.f. che ha riconosciuto al Tribunale il potere di revoca e contestuale nomina dell’amministratore della società, ammessa alla procedura del concordato preventivo[26]. Peraltro, si deve evidenziare come l’Amministratore Giudiziario nominato, ai sensi dell’art. 185, 6° comma l.f. ovvero dell’art. 2409 c.c., non possa essere equiparato all'organo amministrativo della società quando si consideri che i poteri che possono essere conferiti non coincidono con quelli degli amministratori ordinari. Infatti, possono essere più ristretti (ove il Tribunale attribuisca i soli poteri di ordinaria amministrazione) ovvero più estesi, sino ad invadere la stessa competenza funzionale dell'assemblea (art. 92, 5° comma, disp. att. c.c.)[27]. Inoltre, entrambi traggono la propria legittimazione, non dall’assemblea dei soci ma iure proprio[28]. Infatti, «la sua amministrazione (ndr dell’amministratore giudiziario nominato ex art. 2409 c.c.) è originaria e trae i poteri e la sua stessa giustificazione dalla nomina da parte del giudice, che mira a conseguire le finalità dell'art. 2409»[29].

Nel caso di sequestro di partecipazioni sociali, invece - come si vedrà di seguito - l’Amministratore Giudiziario, mediante l’esercizio dei diritti sociali incorporati nella partecipazioni sequestrata, può determinare, la revoca ela nomina dell’organo amministrativo ovvero, in particolar modo nella S.r.l., controllare l’operato dell’amministratore volontario della società, esercitando i diritti sociali spettanti al socio (sequestrato), restando sempre nel perimetro delle leggi che regolano la società.

Nella prassi operativa, invece, si registra sovente «l’errore concettuale di confondere il custode giudiziario dell’azienda con l’amministratore giudiziario/legale rappresentante della società»[30].

Tale confusione è legata alla circostanza che, alla diffusione del sequestro di azienda e di partecipazioni sociali, non ha fatto seguito un inquadramento  sistematico da parte del legislatore. Invero, la particolarità dei beni di cui si discorre avrebbe suggerito un intervento specifico da parte del legislatore nazionale[31]. La latitanza di quest’ultimo ha determinato la necessaria supplenza della dottrina e della giurisprudenza[32], con risultati non sempre condivisibili, in quanto non rispettosi del diritto dell’impresa. Per questa ragione tale errore va segnalato con forza al fine di evitare che si consolidi a valle una prassi giurisprudenziale destinata a produrre provvedimenti assai opinabili [33]. Come vedremo più avanti, la necessità di distinguere i diversi piani ed i diversi fenomeni, anche nella interpretazione della lettera (talora atecnica ed approssimativa) delle norme speciali, risponde all’esigenza di tutela di diritti fondamentali della parte (a cominciare dall’inviolabile diritto di difesa).

   

2. Il sequestro antimafia

All’interno della categoria dei sequestri penali un ruolo rilevante assume il c.d. sequestro antimafia. Infatti, questa tipologia di sequestro, anche a seguito della riforma intervenuta con il D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia), presenta una disciplina organica anche con riferimento al sequestro di azienda e di partecipazioni sociali. 

Il sequestro c.d. antimafia era disciplinato dall’art. 2 ter della l. 31 maggio 1965, n. 575 e succ. mod., come misura cautelare reale di carattere patrimoniale, prodromica all’eventuale confisca. Il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia[34]) ha riorganizzato integralmente le misure personali e patrimoniali contro la criminalità organizzata, sostituendo ed abrogando la l. 31 maggio 1965, n. 575 e succ. mod.[35]

Il sequestro di prevenzione patrimoniale antimafia era stato introdotto con la l. 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. legge Rognoni – La Torre)[36] con l’intento di colpire in maniera maggiormente efficace le organizzazioni criminali di tipo mafioso prevedendo – unitamente a misure personali – anche misure di carattere economico-patrimoniale. L’allargamento della prospettiva costituiva la presa di coscienza, da parte del legislatore, della tendenza – iniziata negli anni ’70 - della criminalità organizzata di investire, in attività lecite, proventi di attività illecite[37].

Va evidenziato come la considerazione esplicita delle partecipazioni e dell’azienda, quale oggetto di sequestro, sia una conquista abbastanza recente del legislatore antimafia. Infatti, l’assetto originario della normativa antimafia in tema di sequestro venne disegnato avendo a riferimento le “cose” [38] piuttosto che i beni in senso giuridico; pertanto, gli oggetti del sequestro, considerati nella loro staticità,non erano posti in relazione alle dinamiche economiche, contabili e patrimoniali proprie delle aziende, delle imprese, delle società [39]. Infatti, con riferimento all’art. 2 quater della l. 31 maggio 1965, n. 575, la dottrina aveva rilevato come il legislatore avesse preso in considerazione soprattutto il patrimonio in senso tradizionale, nella sua dimensione statica[40] trascurando gli aspetti dinamici dell’attività imprenditoriale, vale a dire l’azienda e le partecipazioni sociali[41]. La transazione da custodia ad amministrazione dei beni sequestrati è stata compiuta dal legislatore antimafia solo con il d.l. 14 giugno 1989 n. 230 [42]. Infine, il legislatore, nel riformulare l’art. 2 undecies della l. 31 maggio 1965, n. 575[43], ha preso in considerazione i beni strumentali all’esercizio dell’attività di impresa costituiti in azienda. Ben prima dell’intervento del legislatore, in virtù dell’art. 2 quater della l. 31 maggio 1965, n. 575, la giurisprudenza – sulla base anche, più in generale, del contesto delle norme della l. 31 maggio 1965, n. 575 - aveva tratto il principio di diritto secondo cui «ogni tipo di bene può essere sottoposto a sequestro: i beni immobili, i mobili, i mobili registrati, i crediti, le quote di società, l’azienda, l’universalità di beni, i diritti reali, le azioni etc.»[44]. La Suprema Corte, infatti, aveva osservato come – dal contesto delle norme della l. 31 maggio 1965, n. 575 – emergesse il principio di generale estensibilità oggettiva del sequestro di prevenzione, sicché una mancata specifica previsione di alcuni tipi di beni non potesse indurre alla conclusione che questi fossero esclusi dal sequestro. Ne discendeva che oggetto di sequestro e confisca potesse essere qualsiasi bene, salvo espressa previsione di legge contraria[45]. Beni considerati, pertanto, come lo scopo, sotto il profilo dell’accumulo di ricchezza, e, nel contempo, quale strumento adoperato dai sodalizi di tipo mafioso per espandersi ulteriormente[46].

L’attuale codice antimafia prende in considerazione espressamente il sequestro di azienda e di partecipazioni sociali (art. 41) – con disposizioni per lo più ricognitive degli abrogati artt. 2 sexies e ss. della l. 31 maggio 1965, n. 575 – mentre non può costituire oggetto di sequestro, l’attività economica in sé e, quindi, l’impresa[47].

Assai dibattuta è stata la natura giuridica del sequestro di prevenzione antimafia nella disciplina previgente[48]. Un primo orientamento sosteneva che il sequestro antimafia, quanto alla funzione, fosse simile al sequestro preventivo penale, mentre, da un punto di vista sostanziale e processuale, fosse assimilabile al sequestro conservativo civile, sia per l’identità di oggetto sia per le modalità esecutive. Pertanto, il sequestro antimafia avrebbe avuto una natura conservativa cautelare, in quanto diretto ad evitare la dispersione dei beni dell’indiziato e la sottrazione degli stessi, in vista dell’eventuale successivo provvedimento di confisca[49]. Tra gli studiosi che hanno ricercato in ambito civilistico la natura del sequestro di prevenzione antimafia, taluni hanno assimilato la misura in questione al sequestro giudiziario; infatti, il bene verrebbe spossessato nelle more del procedimento di prevenzione, in attesa di accertare a chi spetti, ossia allo Stato ovvero al sequestrato[50]. Appare ovvio, peraltro, come permangano differenze tra le due figure, in quanto il sequestro giudiziario civile si instaura nell’ambito di un conflitto tra privati, mentre quello antimafia è dettato da ragioni di politica criminale[51].

Secondo altra opinione, invece, sarebbe da escludere ogni affinità con i sequestri civilistici, in quanto la funzione del sequestro antimafia sarebbe unicamente quella di sottrarre i beni dalla disponibilità dell’indiziato in vista della confisca; pertanto, il sequestro di prevenzione costituirebbe l’anticipazione della confisca, mutuandone la funzione sanzionatoria e preventiva[52]. Dal canto proprio, le Sezioni Unite della Cassazione, intervenute sul tema, con riferimento alla disciplina ormai previgente, ha affermato che la confisca di prevenzione rappresenti un tertium genus, costituendo una sanzione amministrativa equiparabile, per contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza dell’art. 240 c.p. e non avendo, pertanto, né il carattere sanzionatorio di natura penale, né quello di provvedimento di prevenzione[53]. Anzi ha ritenuto che l’attributo di misura di prevenzione, riferito alla confisca, costituisca un’improprietà lessicale e, dunque, non modificativo della natura ablatoria della confisca stessa, atteso che solamente il sequestro ha una finalità di misura preventiva, data la sua natura cautelare. La Corte Costituzione ha affermato che la confisca si differenzia nettamente dal sequestro di prevenzione, in quanto la prima ha conseguenze ablatorie definitive, mentre il secondo costituisce una misura cautelare temporanea[54]. Le Sezioni Unite della Cassazione – intervenute successivamente al Giudice delle Leggi – hanno affermato che il sequestro antimafia rappresenta una misura di prevenzione patrimoniale, con natura cautelare e provvisoria, che produce l’effetto di sottrarre materialmente e giuridicamente i beni alla disponibilità dell’interessato e costituisce presupposto necessario per l’adozione del provvedimento di confisca[55]. Da tale ultima pronuncia, emerge una natura ibrida del sequestro antimafia. Infatti, da un lato, presenta affinità con il sequestro preventivo penale per le modalità di esecuzione e per la circostanza che costituisce un provvedimento prodromico alla confisca. Dall’altro è paragonabile al sequestro giudiziario civile, poiché determina la sottrazione all’indiziato del possesso materiale delle cose, la cui amministrazione e disponibilità è attribuita provvisoriamente all’amministratore giudiziario[56], nelle more che venga stabilito a chi spetti la proprietà dei beni, ossia allo Stato ovvero al sequestrato.

Con riferimento specifico, poi, al sequestro di prevenzione, così come disciplinato, da ultimo, dagli artt. 20 e ss. del codice antimafia, recente dottrina ha ritenuto di poter affermare pacifica «la natura preventiva del sequestro»[57], poiché la ratio sarebbe da ravvisarsi nell’esigenza di neutralizzare la situazione di pericolosità derivante dal nesso tra il bene e il soggetto[58].

Qualunque sia la finalità del sequestro, il vincolo autoritativo ha come effetto lo spossessamento dei beni. Infatti, il sequestrato perde la disponibilità dei beni e, nel caso necessitino di essere amministrati, vengono affidati ad un pubblico ufficiale: l’amministratore giudiziario[59]. Invero, la procedura dettata in tema di sequestro antimafia presenta affinità con il fallimento – tanto da far parlare di “fallimentarizzazione” della prevenzione antimafia[60] - atteso che vi è addirittura una fase di “ammissione allo stato passivo” in cui i creditori chiedono il riconoscimento dei propri crediti nei confronti  del sequestrato; crediti che dovranno essere soddisfatti mediante la liquidazione del compendio sequestrato, in caso di confisca.

       

3. L’(in)efficacia del sequestro antimafia sull’organo amministrativo della società

Come già anticipato, nella prassi si era arrivati sovente, in forza del sequestro delle partecipazioni sociali e/o dell’azienda sociale, a sostituire l’organo amministrativo della società con l’Amministratore Giudiziario, il quale diveniva, quindi, legale rappresentante della società[61].

In realtà - come affermato anche da una recente giurisprudenza[62]- il sequestro antimafia delle partecipazioni sociali e/o dell’azienda sociale non è idoneo ad incidere sull’organizzazione capitalistico-corporativa propria delle società. Pertanto, gli organi societari restano in carica quand’anche sia sequestrata la totalità delle partecipazioni sociali e l’azienda sociale.

L’assunto è confermato dal codice antimafia e, in particolare dall’art. 41, 6° comma a tenore del quale «nel caso di sequestro di partecipazioni societarie che assicurino le maggioranze necessarie per legge, l'amministratore giudiziario può, previa autorizzazione del giudice delegato: a) convocare l'assemblea per la sostituzione degli amministratori». La conclusione non solo è avallata dal dato normativo ma anche da un’interpretazione storica. Infatti, la Commissione di esperti, istituita con d.P.R. 19 gennaio 2001, per studiare modifiche alla legislazione antimafia, propose la modifica dell’art. 2-octies della L.575/1965 e la sua riformulazione nel seguente modo: «nel caso di sequestro di quote sociali ed azioni che assicurino le maggioranze previste dall’art. 2359 c.c., sono sospesi gli organi sociali; tuttavia gli amministratori sospesi conservano la rappresentanza della società nel procedimento di prevenzione. Il Giudice delegato nomina nuovi amministratori della società e ne determina i poteri»: la modifica non fu recepita.

Con riferimento specifico al sequestro di partecipazioni sociali si deve ritenere che l’amministratore giudiziario, in quanto custode, sia legittimato ad esercitare tutti i diritti sociali incorporati nella partecipazione medesima[63]. L’art. 2352 c.c. attribuendo poteri generali di amministrazione, ha fatto venire meno la rilevanza della distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria[64] spettando, comunque, il diritto di voto all’amministratore giudiziario, indipendentemente dalla tipologia di assemblea[65]. Ciò sempre salvo che dal provvedimento di sequestro non risulti diversamente, con la individuazione espressa, da parte dell’autorità giudiziaria, di condizioni, limiti e\o termini dell’esercizio dei diritti amministrativi.

Invece, la disposizione dell’art. 41, 6° comma del codice antimafia, sembrerebbe individuare alcuni poteri che si potrebbero definire straordinari, poiché l’intervento dell’amministratore giudiziario è sottoposto a preventiva autorizzazione.  Infatti, l’amministratore giudiziario delle partecipazioni sequestrate, ai sensi dell’art. 41, 6° comma codice antimafia, può convocare l’assemblea dei soci al fine di revocare gli amministratori in carica e nominare se stesso[66] ovvero altro soggetto individuato, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria.

In tale ipotesi, l’amministratore giudiziario può assumere, nella diversa e contemporanea qualità di amministratore volontario nominato da sé medesimo, tutte le funzioni proprie della carica, senza la necessità di ulteriori autorizzazioni da parte del giudice della procedura[67]. Si deve, quindi, ritenere che l’eventuale atto posto in essere dall’amministratore giudiziario quale amministratore della società, in contrasto con le indicazioni del giudice delegato, sia comunque valido ed efficace non potendosi stravolgere la disciplina societaria e le connesse esigenze di tutela dei terzi, ipotizzando l’integrazione della normativa civilistica con quella propria delle misure di prevenzione di natura penale[68]. Ne discende che l’amministratore giudiziario, assumendo la carica per nomina assembleare, sia soggetto agli obblighi e ai regimi di responsabilità previsti dalla normativa civile, penale e societaria in tema di amministratori di società[69].

La sostituzione di diritto dell’organo amministrativo, eventualmente conseguente al sequestro di partecipazioni sociali e/o di azienda – ammessa da taluna giurisprudenza[70] - può legittimamente avvenire soltanto a norma e per gli effetti dell’art. 2409 c.c.[71], ovvero del recente 6° comma dell’art. 185 l.f., in caso di concordato preventivo.

Invero, il presupposto applicativo che legittima l’intervento del Tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c., è rappresentato dal «fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci». Il controllo giudiziario, in questo caso, verte sulla regolarità della gestione e, dunque, può essere compiuto solo in presenza di irregolarità gravi inerenti l’operato degli amministratori e potenzialmente dannose per la società ovvero per le società controllate[72]. È evidente, dunque, che la ratio della disposizione abbia una rilevanza esclusivamente societaria[73] e non sovrapponibile con le ragioni pubblicistiche sottese ai sequestri penali, soprattutto quando l’attività di impresa sia lecita e lecitamente svolta. La norma, avendo carattere eccezionale, non può essere oggetto di applicazione analogica in ipotesi differenti come, appunto, il sequestro penale delle partecipazioni sociali e/o dell’azienda di pertinenza della società[74]. Invero, gli artt. 2364, 1° comma , n. 2 c.c., nelle S.p.A., e 2479, 2° comma , n. 2 c.c., nelle s.r.l., attribuiscono inderogabilmente all’assemblea il potere di nomina e revoca dell’organo amministrativo[75].

Per quel che concerne il potere di denuncia ex art. 2409 c.c. in pendenza di sequestro, già prima della riforma, seppur con riferimento ai sequestri civilistici, l’orientamento maggioritario era nel senso di attribuire la legittimazione al custode[76], in quanto si riteneva che tale diritto rientrasse tra gli atti di custodia volti a preservare il valore del bene[77]. In effetti, l’esercizio di tale diritto da parte dell’amministratore giudiziario, che sembra pacifico anche alla luce dell’ultimo comma dell’art. 2352 c.c.[78], in ambito penale, potrebbe assumere una connotazione differente. Infatti, in tale sede, il diritto di controllo potrebbe rappresentare lo strumento attraverso cui l’amministratore giudiziario possa ottenere la sostituzione dell’organo amministrato, qualora non disponga delle maggioranze necessarie per sostituirlo in sede assembleare. Nonostante la differente finalità che l’istituto potrebbe assumere, sembra corretto ritenere che il rimedio ex art. 2409 c.c. debba essere, comunque, esercitato con le modalità e nei limiti stabiliti dalla disposizione medesima (ad esempio, possesso del minimo di azioni richieste dalla legge ovvero dallo statuto, presupposti applicativi) non potendosi prevedere delle deroghe alla legge in ragione della differente declinazione che l’istituto potrebbe assumere in pendenza di sequestro penale. Pertanto, l’amministratore giudiziario potrà invocare il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 2409 c.c. ma nel rispetto della relativa disciplina. Dunque, l’istanza non potrà essere compiuta argomentando, ad esempio, sulla provenienza illecita dei capitali investiti dal socio, non essendo rilevante la circostanza ai fini della gestione societaria[79].

Come noto, a seguito della riforma, le disposizioni di cui all’art. 2409 c.c. non sono più applicabili alle s.r.l.[80], contrariamente a quanto avveniva in precedenza, in forza del richiamo compiuto dall’art. 2488, 4° comma c.c. pv., quanto meno per quel che concerne i soci e fermo restando che, anche ad avviso della giurisprudenza recente, la legittimazione spetta, comunque, ai sindaci di s.r.l. nominati obbligatoriamente ai sensi dell’art. 2477 c.c.[81]

Nonostante il venir meno di tale disposizione nell’impianto normativo delle s.r.l., il legislatore ha comunque previsto uno strumento di tutela in forma specifica e di natura conservativa[82] simile, ma meno invasivo, rispetto a quello disciplinato dall’art. 2409 c.c. Nella disciplina vigente, l’art. 2476, 3° comma c.c. riconosce a ciascun socio di s.r.l. il diritto di esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e di richiedere, in via cautelare, la revoca «in caso di gravi irregolarità nella gestione della società». Secondo l’orientamento preferibile[83], seppur non maggioritario, la revoca giudiziale può essere richiesta anche senza promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore[84]. Pertanto, il giudizio di merito, successivo alla fase cautelare, verterà esclusivamente sulle gravi irregolarità[85]. In tal modo, si sopperisce alla mancata previsione del controllo giudiziario sulla gestione previsto dall’art. 2409 c.c.[86]. Sulla base delle considerazioni svolte con riferimento all’art. 2409 c.c., deve ritenersi che l’amministratore giudiziario di quote di s.r.l. sia legittimato ad esperire il rimedio di cui all’art. 2476, 3° comma c.c., in presenza dei presupposti previsti dalla disciplina societaria, fermo restando che, una volta intervenuta la revoca dell’amministratore, diversamente da quanto previsto nell’ipotesi di cui all’art. 2409 c.c., la nomina del nuovo organo amministrativo sarà rimesso all’assemblea dei soci[87].

 

4. (segue) e sull’organo di controllo

Se il sequestro delle partecipazioni sociali (o dell’azienda sociale) non ha effetto sull’organizzazione corporativistica del tipo “società di capitali”, ne discende come corollario che l’organo di controllo, qualora costituito, continui ad operare vigilando sulla “vita” della società[88]. Invero, il problema pregnante (nonché sintomo di un difficile coordinamento tra misure penali e diritto societario) è rappresentato dalla funzione che l’organo di controllo dovrebbe assolvere in pendenza di sequestro. Un simile vuoto normativo si rinviene anche in ambito concorsuale, in quanto non è espressamente previsto il ruolo dell’organo di controllo delle società in crisi [89].

Secondo un isolato orientamento, l’organo di controllo potrebbe aggiungere valutazioni di opportunità a quelle di legalità. Pertanto, tale organo subirebbe una sorta di mutazione genetica in organo della procedura deputato a vigilare sull’operato dell’amministratore giudiziario e con il compito di riferire al giudice procedente nei casi di non conformità dell’operato dell’amministratore giudiziario nominato rispetto alle indicazioni emanate dall’autorità giudiziaria[90]. In buona sostanza il controllo della legalità si estenderebbe all’applicazione del provvedimento di sequestro.

Una simile ricostruzione non è affatto condivisibile poiché la legge non prevede quale organo della procedura l’organo di controllo della società che, peraltro, non sarebbe neanche di nomina giudiziale. A conferma di tale conclusione depone la circostanza che le modalità di esercizio del voto da parte dell’amministratore giudiziario non abbiano rilevanza per l’ordinamento societario, attenendo, piuttosto, al vincolo sulle partecipazioni[91].

Da ciò, sembra doversi far discendere che l’organo di controllo continui a svolgere le funzioni che gli sono proprie e non si “converta” in organo del procedimento. Conseguentemente, non avrà il potere di censurare eventuali condotte dell’amministratore giudiziario che violino i limiti posti dal giudice all’esercizio dei diritti derivanti dalle partecipazioni sociali, stante – si ripete – l’irrilevanza, per l’ordinamento societario, del vincolo apposto. Peraltro, qualora l’amministratore giudiziario compia atti in violazione della normativa societaria, l’organo di controllo avrà l’obbligo di censurare il comportamento, come, ad esempio, nel caso in cui l’amministratore giudiziario delle partecipazioni sociali svolga attività gestoria senza essere stato investito dei relativi poteri dalla società ed agendo, quindi, come amministratore di fatto[92].

 

5. I poteri dell’amministratore giudiziario

In definitiva il sequestro penale[93] dell’azienda ovvero delle partecipazioni sociali, non è idoneo ad incidere sull’organizzazione corporativo-capitalistica propria delle società di capitali. Pertanto – si ribadisce – l’Amministratore Giudiziario non diviene certo  amministratore e legale rappresentante della società. Piuttosto, l’Amministratore Giudiziario, in quanto custode dei beni sequestrati, avrà il dovere di amministrare tali beni al fine di preservare e, se possibile, aumentarne il valore.

L’Amministratore Giudiziario  potrà solamente esercitare i diritti incorporati nella partecipazione sociale o amministrare l’azienda oggetto di spossessamento in una gestione “funzionalmente e contabilmente separata”. L’amministratore della società, quand’anche destinatario del provvedimento di sequestro delle partecipazioni, resta in carica, seppure, in caso di sequestro dell’azienda, sostanzialmente sospeso dalle funzioni gestionali del patrimonio, a guisa di quanto accade all’amministratore di società fallita, che mantiene prerogative limitatissime, quali il diritto di difesa, la proposizione del concordato fallimentare etc.

Con riferimento al sequestro d’azienda, giova ricordare come il complesso di beni di cui si avvale l’imprenditore per l’esercizio dell’impresa non necessariamente deve essere di proprietà. Peraltro, è proprio l’insieme, l’organizzazione e l’«unitaria destinazione produttiva»[94] dei beni che caratterizzano l’azienda. Pertanto, per aversi sequestro di azienda, dovranno costituire oggetto del provvedimento cautelare non i singoli beni ma tutti quei beni che siano funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività di impresa[95]. Inoltre, la natura dinamica dell’azienda comporta che la custodia sia declinata in amministrazione e che, dunque, anche in pendenza di sequestro, continui ad essere esercitata l’impresa cui l’azienda sequestrata è destinata[96]. Deputato all’amministrazione è l’Amministratore Giudiziario nominato dal Tribunale. Pertanto, si determina uno spossessamento dei beni facenti capo all’imprenditore e l’affidamento degli stessi ad un custode[97], rectius, in caso di sequestro preventivo e antimafia, ad  un amministratore giudiziario che, ai sensi degli artt. 104 bis disp. att. c.p.p. e 42 e ss. del codice antimafia, è deputato ad amministrarli.

Nel caso in cui il sequestrato sia una persona fisica, l’azienda è sottratta al sequestrato/imprenditore (ovvero al suo prestanome) e l’amministrazione è affidata ad un soggetto esercente una pubblica funzione. Dunque, l’amministratore giudiziario si sostituisce all’imprenditore sequestrato senza assumere la qualità di imprenditore in quanto il potere gestorio è esercitato in funzione della custodia dell’azienda[98].

Più complesso è il rapporto tra il sequestro di azienda e il sequestro di partecipazioni sociali, in particolare quando la prima venga sequestrata unitamente alle seconde, in quanto bene appartenente a soggetto terzo di cui il sequestrato abbia comunque la disponibilità[99]. Infatti, il legislatore non ha chiarito in quale rapporto si ponga il sequestro di partecipazioni sociali e di azienda[100], nonostante la tendenza dell’autorità giudiziaria penale a procedere al sequestro contestuale di partecipazioni sociali e dell’azienda della società cui si riferiscono[101], concludendo – come oramai noto - per la sostituzione d’imperio dell’organo amministrativo con l’amministratore giudiziario[102].

Peraltro, si verifica spesso che il destinatario del provvedimento sia un socio (di norma unico o, comunque, titolare di un pacchetto di maggioranza) ovvero l’amministratore della società, indagato del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, e il sequestro sia esteso dall’autorità giudiziaria all’azienda sociale[103]. Infatti, in tale caso, i beni costituenti l’azienda sono di proprietà [104] o quantomeno nella disponibilità della società, che è un soggetto terzo ed estraneo rispetto alla persona del socio destinatario del provvedimento[105]. Si rammenta, infatti, come imprenditore sia la società e l’amministrazione del compendio aziendale competa all’organo amministrativo della società stessa. Pertanto, riconoscere il potere di gestione dell’azienda all’amministratore giudiziario comporterebbe, di fatto, la sostituzione degli amministratori sociali, mentre il sequestro di azienda non può avere effetti sull’organizzazione societaria, nel senso di sostituzione ovvero revoca dell’organo amministrativo[106], né può determinare un vincolo di indisponibilità sulle partecipazioni stesse, né ancora il blocco dell’iscrizione del mutamento di cariche sociali[107]. La sostituzione dell’Amministratore Giudiziario all’imprenditore persona giuridica, nella gestione dell’azienda sequestrata, significherebbe sostituire, di fatto, gli amministratori sociali, determinando una violazione dell’organizzazione corporativa della società e ponendosi, in ultima analisi, in contrasto con l’ordinamento societario che è volto a tutelare i terzi, nonché i soci estranei alle condotte illecite.

Accogliendo una simile ricostruzione, gli amministratori della società conserverebbero il diritto/dovere di amministrare l’azienda [108], mentre l’Amministratore Giudiziario avrebbe la legittimazione all’esercizio dei poteri diretti solamente all’attività di custodia statica, quale, ad esempio, evitare il depauperamento del patrimonio della società e, con esso, delle partecipazioni sociali sottoposte a sequestro[109]. Una simile conclusione non appare condivisibile. Infatti, il sequestro dell’azienda determina un’indisponibilità giuridica ed anche fisica dei beni costituenti l’azienda[110]. L’estensione del sequestro all’azienda sociale è dettata anche dall’esigenza di sottrarre la disponibilità all’amministratore della società, finalità che può essere perseguita solo se la gestione del bene viene attribuita all’Amministratore Giudiziario.

Analizzando i poteri degli amministratori sociali, è possibile cogliere due tipologie differenti di poteri dell’organo amministrativo. La prima, attinente alla gestione dell’impresa sociale, consiste nell’amministrazione dell’azienda; nella seconda tipologia, invece, sono ricompresi i poteri, seppur amministrativi, che non ineriscono direttamente con la gestione dell’azienda, ma riguardano la società quale soggetto[111]. Atteso che l’amministratore giudiziario dell’azienda sociale «prende il posto del titolare dell’azienda, pur non assumendo, ovviamente, la qualifica di imprenditore»[112], acquisendo, quindi, il potere di gestione dell’azienda[113], questi avrebbe il potere di gestione dell’impresa sociale, in quanto custode dell’azienda, mentre gli altri poteri inerenti l’attività della società resterebbero in capo agli amministratori sociali. In altri termini, così come avviene in ambito fallimentare, in ragione dello spossessamento[114], l’azienda sequestrata costituirebbe un patrimonio separato[115] la cui gestione sia demandata all’amministratore giudiziario[116], affinché non solo continui l’attività imprenditoriale ma riporti anche a legalità la condotta illecita[117].

Pertanto, gli amministratori della società titolare dell’azienda sequestrata restano in carica ma i poteri sono sospesi come avviene nel caso di fallimento. Gli amministratori sociali, pur se sospesi in ragione dello spossessamento dell’azienda in danno  dell’imprenditore-società, restano in carica per svolgere le funzioni compatibili con questo stato. Sono, quindi, legittimati a proporre reclamo avverso l’istanza di fallimento[118] ovvero a reclamare il provvedimento di sequestro emesso nei confronti della società, esattamente come avviene nel fallimento, in quanto, in entrambi i casi si verifica lo spossessamento del complesso aziendale. Nel senso che lo spossessamento dell’azienda derivante dal sequestro antimafia sia rapportabile a quello fallimentare depone anche l’art. 37, 2° comma del codice antimafia che attribuisce all’Amministratore Giudiziario l’onere di acquisire le scritture contabili e i libri sociali.

A ben vedere, il sequestro penale di azienda presenta, per effetti, molte affinità con l’esercizio provvisorio disciplinato dall’art. 104 l.f. Infatti, la gestione dell’azienda sequestrata, esattamente come l’esercizio provvisorio in ambito fallimentare, rappresenta «una sorta di gestione pubblica processuale in cui viene sostanzialmente dissociato l’esercizio dell’attività economica dalla responsabilità e dal rischio, normalmente concentrati nello stesso soggetto, normalmente concentrati nello stesso soggetto»[119], con funzione essenzialmente conservativa. Ed, infatti, se l’esercizio provvisorio non può avere la funzione del risanamento dell’impresa dell’imprenditore fallito, essendo estranea alla procedura fallimentare[120], così l’Amministratore Giudiziario gestisce l’azienda in vista dell’assegnazione della stessa al prevenuto ovvero allo Stato, pur avendo un obiettivo di conservazione ma anche di incremento della redditività[121]; in altri termini, l’Amministratore Giudiziario gestisce «“per conto di chi spetta” nella prospettiva di garantire la utile prosecuzione dell’attività di impresa sul mercato, a salvaguardia della sua utilità economica, dei livelli occupazionali e nella prospettiva di incremento della redditività del bene, peculiare della procedura di prevenzione e speculare a quella della procedura fallimentare»[122].

Peraltro, la gestione dell’azienda sequestrata deve essere autorizzata dal Tribunale quando rilevi «concrete prospettive di prosecuzione dell'impresa», così come stabilito dall’art. 41, 1° comma codice antimafia[123]. Infatti, qualora non sussistano tali prospettive il Tribunale provvede alla messa in liquidazione dell’”impresa”. Addirittura, qualora venga accertato lo stato di insolvenza, su istanza del P.M., l’imprenditore cui accede l’azienda può essere dichiarato fallito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 41 e 63 codice antimafia.

Invero, recente giurisprudenza ha ritenuto che, successivamente al sequestro e, prima della presentazione della relazione ex artt. 36 e 41 del codice antimafia, l’Amministratore Giudiziario debba amministrare l’azienda, configurandosi un’ipotesi di esercizio provvisorio paragonabile a quello disciplinato dall’art. 104 l.f. Da ciò discende che i contratti pendenti proseguono, così come previsto dall’art. 104, 7° comma l.f., potendo altrimenti derivare grave danno alla azienda. Ciò comporta, in ultima istanza, che il Giudice, ai sensi dell’art. 56, 3° comma del codice antimafia, possa autorizzare i pagamenti dei crediti sorti prima dell’esecuzione del vincolo e relativi ai contratti proseguiti, «prescindendo dalla successiva fase di verifica del credito, sempre che si operi una preliminare valutazione informale di buona fede e con salvezza di eventuali conclusioni contrarie cui si dovesse in seguito pervenire» che determinerebbero il diritto dell’Amministratore Giudiziario a richiedere la restituzione delle somme ai sensi dell’art. 61, 10° del codice antimafia[124].

L’Amministratore Giudiziario di azienda, pertanto al pari del Curatore in sede di esercizio provvisorio, dovrà tenere una contabilità separata (art. 37, 5° comma codice antimafia) idonea a rappresentare cronologicamente i fatti di gestione e i risultati di periodo raggiunti e all’esito della procedura sarà tenuto a sottoporre al giudice delegato il conto della gestione (art. 43 codice antimafia) nel quale sono esposti in modo completo e analitico le modalità e i risultati della gestione. Differentemente da quanto statuito dalla legge fallimentare, in particolare dall’art. 104, 5° comma l.f., non vi sono obblighi di relazione periodici sull’andamento della gestione per l’Amministratore Giudiziario. Peraltro, un simile onere potrebbe ben essere introdotto dal Tribunale nel provvedimento di nomina dell’Amministratore Giudiziario, anche al fine di valutare l’economicità della continuazione dell’attività di impresa. Invero, mutuando dall’esperienza fallimentare, si può ritenere che il Tribunale oneri l’Amministratore Giudiziario di presentare un rendiconto semestrale ovvero alla conclusione del periodo di sequestro che potrebbe assumere – così come sostenuto da alcuni autori con riferimento all’esercizio provvisorio - i connotati di un vero e proprio bilancio d’esercizio, da redigersi secondo i principi legali e tecnici che regolano la formazione del bilancio d’esercizio ed accompagnato da una relazione dell’Amministratore Giudiziario sulle principali operazioni compiute nel periodo di riferimento e sulla prevedibile evoluzione economica della gestione futura, al fine di offrire le informazioni necessarie per valutare la convenienza della prosecuzione della gestione[125].

In conclusione, il provvedimento cautelare avente ad oggetto l’azienda di pertinenza della società, non ha l’effetto di attribuire all’amministratore giudiziario la carica di amministratore della società, ma attribuisce a costui il diritto/dovere di amministrare l’azienda sequestrata[126]. Tale spossessamento determina, esattamente, come in ambito fallimentare la sospensione dell’organo amministrativo. Pertanto, il titolare dell’azienda – sia esso persona fisica o giuridica - ne perde la sola disponibilità. Ne discende la permanenza in capo allo stesso titolare della legittimazione attiva e passiva investita da azioni connesse alla stessa, dovendo invece ritenersi che le azioni concernenti la conservazione e l’amministrazione dei beni oggetto di sequestro, fino al momento della cessazione del sequestro spettano all’amministratore giudiziario[127]. Il quale, in quanto custode dell’azienda, non ha il potere di proporre ovvero di compiere atti modificativi della struttura organizzativa, capitalistica e finanziaria della società[128].

In definitiva, qualora l’Amministratore Giudiziario sia chiamato a gestire l’azienda sequestrata dovrà tenere una gestione separata, in quanto, come affermato dall’Amministrazione Finanziaria, «i beni sequestrati, in attesa della confisca o della restituzione al proprietario, configurano un patrimonio separato, assimilabile per analogia […] all’eredità giacente»[129], mentre in caso in cui l’Amministratore Giudiziario delle partecipazioni sociali venga nominato, o nomini in assemblea, un  amministratore volontario della società, la gestione sociale proseguirà normalmente, e non vi sarà, pertanto, alcuna discontinuità di carattere contabile, gestionale e fiscale.

Invero, l’Amministratore Giudiziario che diventi anche amministratore volontario della società, per effetto di una delibera assembleare, è soggetto – come visto - agli obblighi e ai regimi di responsabilità previsti dalla normativa civile, penale e societaria in tema di amministratori di società e non è tenuto a soggiacere ad alcuna autorizzazione da parte dell’Autorità Giudiziaria, e, d’altro canto, successivamente al dissequestro delle partecipazioni, il socio prevenuto potrebbe deliberare l’azione di responsabilità, sussistendone i presupposti. Differentemente, l’Amministratore Giudiziario del patrimonio aziendale - come massa separata - sarà soggetto al controllo dell’Autorità Giudiziaria e, pertanto, non sarà soggetto all’azione sociale di responsabilità, anche se appare corretto ritenere che la società ovvero i singoli soci siano legittimati ad attivare il rimedio risarcitorio[130] qualora l’amministratore giudiziario, con comportamento doloso ovvero colposo, operando in contrasto con gli scopi imposti alla sua attività[131], abbia arrecato un danno all’azienda ovvero de relato al valore delle partecipazioni sociali[132].

Questione di rilevanza non secondaria sono i poteri di “denuncia” che l’Amministratore Giudiziario può attivare nei confronti della vecchia gestione.  L’Amministratore Giudiziario/amministratore volontario della società, potendo esercitare i diritti incorporati nella partecipazione sociale di cui è amministratore, sarà legittimato, tra l’altro, ad esperire l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori precedenti, ovvero ad impugnare l’ultimo bilancio approvato, sempre e comunque nel rispetto dell’ordinamento societario.

Più complessa appare la questione per l’Amministratore Giudiziario dell’azienda (che, ovviamente, non sia contemporaneamente amministratore volontario della società). Come noto, effetto principale del sequestro è lo spossessamento del prevenuto, il quale è privato dell’amministrazione e della disponibilità dei beni, essendo tali poteri attribuiti per legge all’amministratore. Sul piano processuale, tale regola di carattere sostanziale comporta la perdita da parte del proposto della capacità di stare in giudizio, sia come attore che come convenuto, nelle controversie, anche in corso, relative ai beni oggetto di sequestro[133]. In questo senso, seppur nella vigenza della legge 575/1965, si era espressa la giurisprudenza argomentando, oltre che sul tenore letterale dell’art. 2 septies l. n. 575 del 1965 (ora riprodotto nell’art. 40, 3° comma codice antimafia)[134], sulle affinità esistenti fra il sequestro antimafia ed il sequestro giudiziario, che pure comporta per il custode, in quanto amministratore di un patrimonio separato, centro d’imputazione di rapporti giuridici, la legittimazione ad processum e cioè il potere di stare in giudizio in rappresentanza del patrimonio stesso[135].

Simili argomentazioni non appaiono decisive nel riconoscere all’Amministratore Giudiziario dell’azienda la legittimazione attiva a impugnare il bilancio ovvero ad esperire l’azione sociale di responsabilità. Infatti, le azioni non ineriscono direttamente al patrimonio sequestrato ma sono dirette a tutelare, a vario titolo, gli interessi della società e degli stakeholders. A ciò sia aggiunga che non si rinviene alcuna norma, all’interno del codice antimafia, che attribuisca all’Amministratore Giudiziario dell’azienda la legittimazione attiva all’esercizio di siffatte azioni, anzi l’art. 41, 4° comma prevede che «i rapporti giuridici connessi all'amministrazione dell'azienda sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente altrimenti disposto», escludendo, quindi, qualunque possibile apertura.

Diversamente, in sede fallimentare ovvero nell’ipotesi di sostituzione dell’organo amministrativo ex art. 2409 c.c., il legislatore ha espressamente attribuito la legittimazione attiva ad esperire l’azione di responsabilità al curatore (art. 146 l.f.) ovvero all’Amministratore Giudiziario (art. 2409, 5° comma c.c.). Peraltro, la carenza di legittimazione attiva è compensata dalla sostanziale irresponsabilità – fermo restando quanto sopra rappresentato - dell’Amministratore Giudiziario dell’azienda, attesa la discontinuità gestionale rispetto alla gestione pre-sequestro e la circostanza che l’attività gestoria è soggetta al controllo e ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

   

6. La iscrivibilità rafforzativa della sospensione degli amministratori e gli effetti dello spossessamento

Una recente giurisprudenza di merito [136], accertato che il sequestro dell’azienda sociale comporta la sospensione degli amministratore, ha ritenuto, con statuizione accessoria, di ordinare al conservatore del registro della camera di commercio di annotare la sospensione dei poteri degli originari amministratori della società[137], al fine di portare a conoscenza dei terzi l’effetto del sequestro.

A nostro avviso quanto realizzato dal provvedimento con una specifica statuizione giudiziale accessoria, si produce già per effetto del sistema, così come avviene per effetto del fallimento. Mediante la pubblicità commerciale, viene data maggiore forza “esterna” alla situazione, che spesso - nelle misure cautelari antimafia - trova “resistenze” nei prevenuti. Esattamente come la dichiarazione di fallimento è iscritta nel registro delle imprese, portando, quindi, a conoscenza dei terzi, tra l’altro, il “mutamento” del rappresentante della massa nella persona del curatore, il Giudice nel provvedimento richiamato ha ordinato al Conservatore del Registro delle Imprese di iscrivere la sospensione degli amministratori, come conseguenza del sequestro. Quindi non una sostituzione del legale rappresentante della società che rimane in carica essendo sospeso nelle funzioni gestorie del patrimonio sociale di cui la persona giuridica viene spossessata, ma l’iscrizione di un amministratore giudiziario della massa, in analogia a quanto avviene col fallimento per il curatore.

Questa scelta pone però un problema di tutt’altra natura. Difatti, si ritiene che il Conservatore abbia un potere di controllo di legittimità formale sugli oggetto di iscrizione[138]. Infatti, l’art. 11, 6° comma del Regolamento prevede, tra l’altro, che l’ufficio accerti la corrispondenza dell’atto o del fatto del quale si chiede l’iscrizione a quello previsto dalla legge, il c.d. controllo qualificatorio. La disposizione non attribuisce al conservatore poteri di valutazione circa la legittimità, la validità né tantomeno il merito sull’atto ovvero sul fatto da iscrivere.

Piuttosto, la norma riconosce al Conservatore il potere di accertare che il fatto ovvero l’atto di cui si richiede l’iscrizione integri gli estremi della fattispecie per cui è richiesta l’iscrizione: il c.d. controllo di tipicità[139]. Tale controllo risulta non essere sempre così agevole, anche in ragione della presenza, nell’ordinamento, di atti di cui l’iscrizione nel registro delle imprese appare opportuna, pur non essendo prevista espressamente dalla legge. Invero, che non tutti gli atti siano iscrivibili nel registro delle imprese e che viga un principio di tassatività, lo si desume dall’art. 2188 c.c. che prevede che il Registro delle imprese è istituito per «le iscrizioni previste dalla legge». Il principio è ribadito dall’art. 7, 2° comma del Regolamento che, con una formulazione estremamente sintetica e per alcuni versi tautologica, sancisce che nel registro delle imprese devono iscriversi «gli atti previsti dalla legge». La ratio della tipicità degli atti iscrivibili è da rinvenire nell’esigenza di non rendere la conoscibilità degli atti iscritti meramente teorica. Infatti, mediante la predeterminazione legislativa degli atti la cui opponibilità sia governata dalla pubblicità dichiarativa, si realizza la tutela dei terzi. Ossia, questi ultimi sapendo quali atti debbano o meno essere iscritti sapranno in quali casi consultare il registro delle imprese [140].

Il sequestro antimafia dell’azienda è un “atto tipico”, e come tale iscrivibile, in quanto è l’art. 104 lett. c disp. att. c.p.p. (applicabile all’ipotesi di sequestro antimafia in virtù del richiamo espresso operato dall’art. 21, 1° comma del codice antimafia)  a prevedere espressamente che il sequestro di azienda si effettua, tra l’altro, «con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa».

L’art. 6 della legge n. 310 del 12 agosto 1993 ha modificato il secondo comma dell’art. 2556 c.c., sancendo che i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà di un’azienda, oppure la sua concessione in godimento, quando vengono conclusi tra imprese soggette a registrazione, devono essere depositati, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, per l’iscrizione nel registro delle imprese [141]. Pertanto, nessun dubbio può aversi circa l’iscrivibilità del trasferimento d’azienda nel registro delle imprese. Peraltro, il conservatore, nell’adempimento dei propri compiti, deve accertarsi dell’esistenza di un idoneo titolo di trasferimento[142], senza poter sindacare il contenuto, eccependo, ad esempio, che i beni trasferiti non abbiano una destinazione funzionale all’esercizio dell’impresa. Appare difficile anche riconoscere che il conservatore possa sindacarne la validità ovvero la veridicità, in quanto tale controllo è rimesso al notaio, atteso che l’atto di trasferimento deve essere necessariamente redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. In tal senso depone anche la circostanza che l’iscrizione dell’atto di trasferimento di azienda nel registro delle imprese non abbia efficacia costitutiva ma dichiarativa [143], né appare idonea a risolvere i conflitti tra più acquirenti. L’iscrizione dell’atto traslativo di azienda ovvero di altri ad essa relativa non ha gli effetti propri dell’iscrizione degli atti inerenti le società [144]. Invero, la pubblicità degli atti traslativi dell’azienda può rappresentare un elemento sintomatico dell’acquisto della qualità di imprenditore di un determinato soggetto. Infatti, fermo restando l’obbligo di iscrizione dell’imprenditore nel registro delle imprese, l’acquisto del bene strumentale all’esercizio dell’attività di impresa - ossia l’azienda - è prova dell’esercizio di un’attività di impresa o, comunque, estrinseca, in maniera inequivocabile, la volontà di iniziare a svolgere un’attività di impresa, con conseguente acquisto della qualità di imprenditore (che come, noto, almeno per le persone fisiche, è retto dal principio di effettività)[145].

Invero, non tutti gli atti che determinano in capo ad un soggetto il potere di amministrare l’azienda comportano l’acquisto della qualità di imprenditore. Si pensi proprio all’ipotesi del sequestro dell’azienda. Infatti, in tale caso, il custode amministra l’azienda senza acquistare la qualità di imprenditore [146]. Probabilmente, in questa fattispecie, la funzione del Conservatore è facilitata in quanto l’atto che trasferisce l’amministrazione promana da un’autorità giurisdizionale. In un simile caso, l’iscrizione del vincolo nel registro delle imprese ha la finalità di evitare che i terzi possano essere considerati acquirenti in buona fede. In altri termini, poiché l’iscrizione nel registro delle imprese di atti relativi all’azienda ha la funzione di rendere opponibile ai terzi l’atto iscritto, l’atto dispositivo dell’azienda sequestrata non sarà opponibile al sequestratario. D’altro canto, neanche in questa ipotesi può essere riconosciuta un’efficacia costitutiva all’iscrizione del vincolo sull’azienda, in quanto il “diritto” a custodire sorge con l’immissione in possesso del custode nell’azienda[147]. Ed, infatti, l’esecuzione del sequestro (ivi incluso, quindi, l’iscrizione del vincolo nel registro delle imprese), così come disciplinato dall’art. 104, 1° comma disp. att. c.p.p., attiene all’opponibilità del sequestro nei confronti dei terzi ma non già al perfezionamento del vincolo sotto il profilo penale[148], tanto che l’eventuale violazione del procedimento applicativo non comporta la nullità del provvedimento[149].

Analizzata l’efficacia dell’iscrizione del provvedimento di sequestro nel registro delle imprese, resta il problema della legittimità della richiesta di iscrizione della statuizione accessoria della sospensione. Come noto, infatti, le iscrizioni nel registro delle imprese sono rette dal principio di tipicità. Peraltro, non è agevole comprendere se la tipicità vada intesa nel senso che possano essere iscritti solamente gli atti espressamente contemplati dalla legge ovvero possano essere iscritti anche altri atti «aventi finalità ‘‘complementare’’ rispetto agli atti tipici predetti»[150].

Infatti, un’interpretazione restrittiva della “tipicità” degli atti iscrivibili conduce ad escludere l’iscrivibilità degli atti diversi da quelli previsti espressamente dal legislatore [151], cioè sia di procedere ad adempimenti atipici, sia di arricchire l’iscrizione con elementi non tipici [152], con il rischio di non poter fornire ai terzi informazioni utili. D’altro canto un’eccessiva dilatazione del concetto di tipicità rischia di allargare oltre ogni misura gli atti iscrivibili. Tale ultima soluzione condurrebbe al paradossale risultato di non perseguire la certezza e la sicurezza nei traffici giuridici che il Registro delle Imprese intende, invece, perseguire [153], ledendo, in ultima analisi, gli interessi dei terzi che, mediante il registro intendono acquisire adeguate informazioni sull’impresa e sul suo assetto.

Tuttavia tipicità non necessariamente è sinonimo di espressa previsione normativa ed in buona sostanza si tratta di una tipicità degli effetti e non degli atti che li determinano[154].

Dunque, sembra potersi concludere che il provvedimento di sospensione possa essere iscritto nel registro delle imprese, avendo un’efficacia meramente descrittiva. Infatti, la pubblicità dell’ordinanza descrive gli effetti che il sequestro d’azienda sociale produce “naturalmente”, ossia che l’amministratore giudiziario è il rappresentante di un patrimonio separato (essendo tenuto anche a presentare un rendiconto di gestione ai sensi dell’art. 43 codice antimafia), ma non della società [155], arricchendo, quindi, l’iscrizione del sequestro di ulteriori elementi che possono risultare utili ai terzi, a fronte dei dubbi che spesso nella pratica si pongono.



[1] Pubblicato in Gazzetta forense n. 4, 2005, ma qui ampliato anche in virtù del provvedimento Trib. Napoli Uff. Gip 5 ottobre 2015 – est. Dott.ssa Livia De Gennaro, in www.ilcaso.it  (note 121 e 123).

[2] F. Cassano, Confisca antimafia e tutela dei diritti dei terzi, Cass. pen., 2005, 2156.

[3] Sull’impresa illecita v., ex multis, V. Panucci, Impresa illecita, in Enc. giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1989, 5. Sull’impresa mafiosa v. F. Cassano, Impresa illecita e impresa mafiosa. La sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni prevista dagli artt. 3-quater e 3 quinques legge n.575/65, in Quaderni CSM, Milano, 1998, 377 ss.; S. Alagna, Impresa illecita e impresa mafiosa, in Contr. impr., 1991, 141; A. Mangione, La misura di prevenzione patrimoniale fra dogmatica e politica criminale, Padova, 2001, 847 ss.; sul concetto di impresa mafiosa v. anche l’approccio problematico di G. Fiandaca, voce Le misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. pen., vol. VIII, Torino, 1994, 108 s.; A. Galasso,  L’impresa illecita mafiosa, in Le misure di prevenzione patrimoniale. Teoria e prassi applicativa, Bari, 1998; P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, Bologna, 1983. Per un’impostazione interdisciplinare, Aa.Vv., Mafie e antimafie. Rapporto ’86, a cura di L. Violante, Bari-Roma, 1996.

[4] Cfr. G. Saccone, Le Sezioni Unite penali intervengono per “regolare” i confini tra sequestro per equivalente e fallimento, in Gazzetta forense, 2015, 2, 42 ss.

[5] Così F. Fimmanò, Il difficile “incontro” tra diritto commerciale, diritto penale e diritto pubblico sul terreno dell’impresa in crisi, inF. Fimmanò (a cura di), Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, Milano, 2012, XXXVIII.

[6] Nella Ley concursal spagnola, il richiamo alle misure cautelari della Ley de enjuiciamiento civilconsente la nomina, ex art. 727 n. 2 di un amministratore [giudiziario] di beni produttivi. Il § 22 della InsolvenzOrdnung tedesca contempla la nomina di un curatore provvisorio con il compito di adottare misure conservative sul patrimonio del debitore, continuare l'esercizio dell'impresa, valutare l'opportunità di dichiarare aperto il procedimento di insolvenza (al riguardo M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 61; F. De Santis, Il processo di primo grado e le misure cautelari, in A. Jorio(a cura di), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2010, 82).

[7] I primi riferimenti all’azienda o meglio alla c.d. taberna si ritrovano addirittura nel diritto romano, dopo di che bisogna aspettare sino alla metà del XIX secolo e lo sviluppo del capitalismo industriale e commerciale per trovare nuove elaborazioni in materia. Le teorie formulate nell’ultimo secolo sulla natura giuridica dell’azienda sono numerosissime, tuttavia è possibile raggrupparle in alcune concezioni principali (al riguardo G.E. Colombo, L’azienda e il mercato, in F. Galgano (diretto da) Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. III, Padova, 1979, 5 s.; e per una esposizione delle diverse teorie prima e dopo il codice del 1942, A. Vanzetti, Trent’anni di studi sull’azienda, in Riv. dir. comm., 1958, I, 32 s.; M. Rotondi, Trattato di diritto dell’industria, I, Padova, 1929, 32 s.).

[8] Autorevole dottrina proprio al fine di evitare confusioni concettuali e terminologiche ha criticato la formulazione dell’ottavo comma dell’art. 15 l. fall. nella parte in cui fa riferimento all’impresa, invece che, più correttamente all’azienda (G.B. Portale, La legge fallimentare rinnovata: note introduttive (con postille sulla disciplina delle società di capitali), in G. Olivieri – P. Piscitello (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Napoli, 2007, 11).

[9] Nello stesso senso ampiamente M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimento, cit., 62 secondo cui la soluzione percorribile è la nomina di un custode dell’azienda (o dell’impresa) o di un amministratore giudiziario se del caso con l’attribuzione dei poteri del curatore provvisorio tedesco o dell’administrator della procedura inglese di administration; M. Ferro, Istruttoria prefallimentare e misure cautelari patrimoniali,in M. Fabiani - A. Patti (a cura di), La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 30, parla invece di “curatore speciale”. Sul tema dell’affidamento dell’amministrazione dell’impresa ad un terzo, cfr. anche M. Fabiani, Le misure cautelari fra tutela del credito e nuovo fallimento come tecnica di conquista dell’impresa insolvente, in G. Palmieri (a cura di), Temi del nuovo diritto fallimentare, Torino, 2009, 53, che prospetta tanto la designazione di un custode giudiziario dell’impresa che possa stipulare un contratto di affitto d’azienda, allo scopo di evitare un aggravamento delle passività nel regime di continuità imprenditoriale, quanto il semplice affidamento ad un custode o ad un esperto dell’incarico di ‘stabilizzare’ le passività, in funzione di agevolare gli scenari che si possono aprire dopo il fallimento.

[10] Cfr. Cass. civ., 21 ottobre 2009 n. 22361, in Giur. comm., 2010, II, 1112, con nota di S. Parmigiani, Natura e pignoramento della quota di s.r.l., cui si rimanda per una panoramica sulle diverse opinioni sulla natura della quota di s.r.l. e in Fallimento, 2010, 565 con nota di M.P. Gasperini, Espropriazione di quote e fallimento della s.r.l. terzo pignorato: inapplicabile l’art. 51 l. fall.; il tema della natura della quota di s.r.l. è stato oggetto di numerosi contributi non solo in Italia, cfr. su tutti G.C.M. Rivolta, La partecipazione sociale, Milano, 1965, 7 ss., ma anche nelle esperienze giuridiche straniere, in Germania cfr. H. Wiedemann, Die Übertragung und Vererbrung von Mitgliedschaftsrechten bei Handelsgesellschaften, Munich-Berlin, 1965; U. Huber, Vermögensanteil, Kapitalanteil und Gesellschaftsanteil an Personengesellschaften des Handelsrechts, Heidelberg, 1970; M. Lutter, Theorie der Mitgliedschaft, in AcP, 1980, 84ss.; M. Habersack, Die Mitgliedschaft – subjektives und ,sonstiges’ Recht, Tubingen, 1996.

[11] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale, M. Campobasso (a cura di), VIII ed., t. II, Torino, 2011, 576; v. anche G.C.M. Rivolta, La società a responsabilità limitata, in A. Cicu – F. Messineo (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, vol. XXX, t. I, Milano, 1982, 188 ss.; P. Revigliono, Il trasferimento della quota di società a responsabilità limitata: il regime legale, Milano, 1998, 45 ss.; in giurisprudenza cfr. Cass. civ., 23 aprile 1956, in Foro it, 1956, I, 1431; Cass. civ., 12 dicembre 1986, n. 7409, De Malgazzi, in Foro it., 1987, I, 1101 e in Giur. comm., 1987, II, 741; Cass. civ., 23 gennaio 1997, n. 697, in Giur. it., 1997, I, 720 con nota di P. Revigliono; Cass. civ., 4 giugno 1999, n. 5494 in Giur. it. 2000, 101; Cass. civ., 21 ottobre 2009 n. 22361, cit.

[12] Vedi G. Ferri, Le società, in F. Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile, III ed., vol. X, t. III, Torino, 1987, 519 ss., secondo il quale «la quota è un'entità oggettiva che ha un suo valore economico, che normalmente può formare oggetto di scambio e che quindi può essere considerata un bene e precisamente un bene immateriale».

[13] Ad avviso di G.F. Campobasso, Diritto commerciale, VIII ed., t. II, cit., 576, «l’eventuale certificato di quota rilasciato dalla società costituisce semplice documento probatorio della qualità di socio e della misura della partecipazione sociale, non uno strumento per la circolazione della stessa»; nello stesso senso v. G. Santini, Società a responsabilità limitata: art. 2472-2497bis, IV ed., Bologna-Roma, 1992, 17, nt. 2; O. Cagnasso – M. Irrera, voce Società a responsabilità limitata, in Dig. comm., vol. XIV, Torino, 1997, 191. 

[14] Cfr. P. Ferro - Luzzi, Riflessioni sulla riforma, I: la società per azioni come organizzazione del finanziamento di impresa, in Riv. dir. comm., 2005, I, 690; G.P. La Sala, Principio capitalistico e voto non proporzionale nella società per azioni, Torino, 2011, 101.

[15]Ibidem, 102. 

[16] Così Cass. pen. 11 luglio 1994, Molino, in Arch. nuova proc. pen. , 1995, 108 e in Giust. pen., 1995, III, 406; nello stesso senso Trib. S.M. Capua Vetere – sez. fall. (ord.), 20 aprile 2001, in www.ilfallimento.it secondo cui la quota di s.r.l. rappresenta «la misura della partecipazione del socio a tutti i diritti e doveri di natura amministrativa e corporativa che caratterizzano lo status di soci»; le medesime considerazioni valgono anche per le azioni, infatti, secondo Cass. civ. 26 maggio 2000, n. 6957 in Società, 2000, 1331, con nota di F. Collia, Sequestro giudiziario di quote di società a responsabilità limitata e in Giur. it., 2000, 2309, le quote sociali «esprimono tutti i diritti e i doveri del socio, non diversamente da quanto avviene per le azioni»; come opportunamente evidenziato da V. De Stasio, Trasferimento della partecipazione nella s.r.l. e conflitto tra acquirenti, Milano, 2008, 1, nt. 1, il termine “quota” ha un significato ambiguo in quanto può far riferimento sia alla frazione del conferimento iniziale del socio (Einlageanteil o Stammanteil), sia alla frazione del capitale attribuito al medesimo (Kapitalanteil), sia alla misurazione del complesso dei diritti e dei doveri del socio nell’organizzazione sociale, sia all’oggetto degli atti dispositivi (Geschäftsanteil); cfr. anche A. Brunetti, Trattato del diritto delle società, vol. III, Milano, 1950, 121; G.C.M. Rivolta, La partecipazione sociale, cit., 7; S. Pescatore, Attività e comunione nelle strutture societarie, Milano,1974, 417 ss.; G. RAcugno, voce Società a responsabilità limitata, in Enc. dir., vol. XLII, Milano, 1990, 1055; G. Ferri Jr, Investimento e conferimento, Milano, 2001, 122 ss.; M. Callegari, Il pegno su titoli dematerializzati, Milano, 2004, 146, nt. 99; nella dottrina tedesca cfr. Neukamp, Die Geschäftsanteile der Gesellschaft mit beschränkter Haftung, in ZHR, 1906, 1 ss.; U. Huber, Vermögensanteil, Kapitalanteil und Gesellschaftsanteil an Personengesell-schaften des Handelsrechts, cit. Nel corso della trattazione si farà spesso ricorso al concetto di “partecipazioni sociali”, in quanto, le quote di s.r.l. e le azioni di S.p.A. sono la specificazione del genere “quota di partecipazione”, sul punto cfr. A. Brunetti, Trattato del diritto delle società, cit., 122.

[17] Il rapporto tra impresa, società e azienda sembra essere colto anche da alcuna attenta dottrina la quale, pur trattando della confisca dell’impresa, coglie come oggetto del sequestro possano essere solamente i beni, cfr. F. Cassano, Confisca antimafia e tutela dei diritti dei terzi, cit., 2156 s.

[18] Il patrimonio sul piano generale costituisce il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi nella loro consistenza economica, comprensivo anche dei rapporti personali, riferiti ad una certa persona fisica o giuridica, pur non essendo un centro di imputazione autonomo, né una c.d. universalità di diritto (quale è ad esempio l’eredità, anche se pure nel compendio ereditario possono nascere distinti patrimoni). Al riguardo si è osservato che si configura un’universalità di diritto solo nei casi in cui espressamente la legge stabilisce l’unità di un complesso di rapporti giuridici. Viceversa il patrimonio può essere in senso lato considerato un’universalità di fatto. Il patrimonio assume il carattere dell’unitarietà solo con la morte del titolare, quando si verifica il fenomeno della successione universale che riguarda non la somma dei rapporti ma un’unità complessiva. La sua caratteristica, come quella degli elementi costitutivi, è l’attitudine a soddisfare bisogni economici e ad essere suscettibile di valutazione come valore economico mediante negozi di scambio e come valore d’uso mediante la sua diretta utilizzazione. Si è affermato che l’emersione di una dimensione dinamica in senso sostanziale in una nozione di patrimonio incentrata sul profilo della responsabilità si coglie nello stesso art. 2740 c.c. ed, in particolare, nel riferimento ai “beni futuri” che vengono equiparati ai “beni presenti”, quanto all’operatività del meccanismo della responsabilità patrimoniale e della garanzia patrimoniale: la considerazione dei beni futuri, ed ancor più l’equiparazione degli stessi ai beni presenti, indicano che quello in questione è un nesso tendenzialmente permanente, cioè, in termini descrittivi, che il patrimonio è idoneo a durare, ossia a restare lo stesso pur nello scorrere del tempo.

[19] Il patrimonio è tutto ciò che è oggetto di esecuzione così F. Ferrara, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1911, 669. E’ stato poi individuato nella soddisfazione del creditore lo scopo pregnante del patrimonio, sul punto v. L. Bigliazzi Geri, A proposito di patrimonio autonomo e separato, in Rapporti giuridici e dinamiche sociali. Principi, norme, interessi emergenti. Scritti giuridici, Milano, 1998.

[20] Il patrimonio è stato definito, anche ai nostri fini, come complesso dinamico (cioè internamente variabile) di situazioni giuridiche soggettive attive, aventi ad oggetto interessi giuridicamente rilevanti, unificati dal diritto secondo criteri determinati. Tale definizione è propria sia dei patrimoni dei soggetti di diritto, sia dei c.d. patrimoni separati. Nei primi rileva l’appartenenza ad un unico soggetto di diritto, nei secondi la destinazione allo scopo, quale elemento di unificazione (P. Iamiceli, Unità e separazione di patrimoni, Padova, 2003, 13 s.). Nell’ambito dell’ordinamento in alcuni settori il rilievo della funzione di garanzia del patrimonio è maggiore e ciò tanto in relazione al momento esecutivo quanto alla fase di assunzione dell’obbligazione. In particolare tale circostanza assume determinante peso all’interno dei patrimoni di impresa ed a quelli delle società di capitali (A. Nervi, La responsabilità patrimoniale dell’imprenditore. Profili civilistici, Padova, 2001).

[21] Il concetto di patrimonium va ricondotto al pater, unico soggetto al quale, in diritto romano, i beni potevano appartenere ed al quale dovevano ritornare in una sorta di espropriazione patriarcale di pater familias in pater familias «quasi che ciò derivasse da una osmosi per diritto naturale (sembra quasi di mettere in evidenza le caratteristiche peculiari di una società holding), anche se questo modello conosceva l’eccezione dell’istituto del peculium, che è arrivato fino a noi sotto forma di costituzione di beni in dote e poi di fondo patrimoniale» così F. Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, Milano, 2008, 35 (v. anche V.M. De Sanctis, Società unipersonali o patrimoni dedicati ?, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, t. I, vol. III, Milano, 2005, 2344, secondo il quale non vi sarebbe differenza di ambiente culturale fra il nostro sistema e quello germanico aperto allo Zweckvermogen o al Sondervermogen o a quello anglosassone che prevede il trust). Ben presto si è identificato con i beni posseduti ed aggregati, sempre provenienti dal pater e menzionati come pecunia (E. Becchetti, Riforma del diritto societario. Patrimoni separati, dedicati e vincolati, in Riv. not., 2003, 53). I romani definivano extra patrimonium le cose che non appartenevano a nessuno e che, tuttavia, avrebbero potuto appartenere a qualcuno in virtù del valore economico di cui esse erano portatrici. Parallelamente qualificavano res extra commercium le cose che non appartenevano ad alcuno e che mai sarebbero potute appartenere ad alcuno in forza della loro destinazione.

[22]Cfr. Trib Napoli (ord.) 28 dicembre 2009, n. 529, in red. giuffré.

[23]Trib. S.M. Capua Vetere provvedimento del 26-29 maggio 1995, ined., reso nel procedimento di prevenzione n. 39/93 e richiamato da Trib S.M. Capua Vetere – sez. fallimentare (ord.) 20 aprile 2001, inwww.ilfallimento.it.

[24] Si è opportunamente evidenziato che l’amministratore giudiziario non potrebbe mai sostituirsi al debitore con riferimento a tutti i rapporti, posto che residuerebbero quelli di natura personale (art. 46 l.fall.) Se l’amministratore viene stato revocato a tutti gli effetti il destinatario del procedimento per dichiarazione di fallimento diviene l’amministratore giudiziario con l’effetto, paradossale, che prima del fallimento il processo dovrebbe proseguire nei confronti dell’amministratore giudiziario e poi una volta dichiarato il fallimento, tutti i residui effetti personali dovrebbero gravare sul soggetto nominato dal tribunale (M. Fabiani, Tutela cautelare e rapporti fra imprenditore e amministratore giudiziario dell’impresa, in www.ilcaso.it).

[25] In tal senso già F. Fimmanò, L’esercizio provvisorio «anticipato» dell’impresa «fallenda» tra spossessamento cautelare dell’azienda e amministrazione giudiziaria della società, in www.ilcaso.it  e  in Nds, 2010, n. 8, 29; Id., Liquidazione programmata, salvaguardia dei valori aziendali, in A. Jorio (diretto da) e M. Fabiani (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare (novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma). Commentario, Bologna, 2010, 484 s. Si è rilevato che ogni forma di anticipazione della gestione sostitutiva fallimentare, anche con modalità diverse dal tipico esercizio provvisorio, riguarderebbe effetti che non sono «automatici» dello spossessamento e quindi della sentenza dichiarativa di fallimento, ma ulteriori e diversi, in quanto  riconducibili ad attività, iniziative e scelte valutative che rientrano nell’esclusiva competenza degli organi fallimentari e che vanno esercitate secondo le regole, i controlli ed i limiti previsti dalla legge fallimentare. L’anticipazione dell’esercizio provvisorio dovrebbe necessariamente presupporre un’adeguata valutazione prognostica circa la necessità di disporre la continuazione dell’attività di impresa con la sentenza di fallimento, e, di conseguenza, una delibazione congruamente motivata, seppur nei limiti consentiti dalla cognizione sommaria propria di tale procedimento, delle relative condizioni di ammissibilità (P. Marzocchi, I provvedimenti cautelari nell’istruttoria prefallimentare: i limiti agli effetti anticipatori, in Fallimento, 2010,1187, secondo cui perciò è più coerente privilegiare una funzione di stampo conservativo, sia per quanto riguarda la tutela del patrimonio, sia dell’impresa o comunque dell’azienda come accede con la misura tradizionale del sequestro).

[26] Il D.L. 83/2015 (convertito con modifiche dalla l. 6 agosto 2015, n. 132) ha introdotto il comma 6 all’art. 185 l.f. il quale prevede: «il tribunale, sentiti in camera di consiglio il debitore e il commissario giudiziale, può revocare l'organo amministrativo, se si tratta di società, e nominare un amministratore giudiziario stabilendo la durata del suo incarico e attribuendogli il potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla suddetta proposta, ivi incluso, qualora tale proposta preveda un aumento del capitale sociale del debitore, la convocazione dell'assemblea straordinaria dei soci avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l’esercizio del voto nella stessa»; sulle novità introdotte alla legge fallimentare dal d.l. 83/2015, si veda F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, in ilfallimentarista, 2015; l’art. 185 l.f. si riferisce alla fase esecutiva del concordato nel quale gli organi della procedura hanno solo un potere di controllo sull’esecuzione del piano omologato ma non anche poteri inerenti la gestione che spetta unicamente all’imprenditore (salvo ovviamente la nomina di un liquidatore ai sensi dell’art. 182 l.f.), sul punto si veda in maniera esemplificativa, recentemente, Trib. Monza 13 febbraio 2015, in www.ilcaso.it.

[27] Così afferma V. Salafia, Il controllo giudiziario a norma dell'art. 2409 c.c. nell'esperienza del Tribunale di Milano, in Il controllo del funzionamento delle società per azioni, Napoli, 1974, 70; in giurisprudenza Trib. Milano, 26 febbraio 1953, in Giur. it., 1953, I, 2, 804; Cass. 18 luglio 1973, n. 2113, , in Mon. trib., 1974, I, 10; App. Bologna, 19 marzo 1988, in Società, 1988, 753; v. anche altresì, in tema, D. Pettiti, Sul procedimento di denuncia al Tribunale ai sensi dell'art. 2409 c.c., in Riv. dir. comm., 1952, II, 283, il quale afferma che all'amministratore giudiziario spettano tendenzialmente gli stessi poteri dell'organo amministrativo ordinario, salvo il limite conseguente alla necessità di autorizzazione per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.

[28] V. Cerami, Il controllo giudiziario sulle società di capitali, Milano, 1954, 134; F. Galgano, Sull'amministratore giudiziario di società personali, in Giur. it., 1967, I, 2, 640; A. Patroni Griffi, Il controllo giudiziario sulle società per azioni, Napoli, 1971, 301.

[29] Così G.U. Tedeschi, Il controllo giudiziario sull'amministrazione delle società di capitali, Padova, 1965, 182.

[30] Così F. Fimmanò, Il difficile “incontro” tra diritto commerciale, diritto penale e diritto pubblico sul terreno dell’impresa in crisi, cit., XXVI.

[31] In realtà, l’errore concettuale (voluto o meno che sia) di confondere il custode giudiziario dell’azienda o delle quote con l’amministratore giudiziario\legale rappresentante della società, è divenuto in realtà ricorrente, persino nella legislazione di settori diversi dal diritto commerciale Ciò è stato, ad esempio, correttamente eccepito con riferimento al nuovo istituto del “congelamento” (d. lgs. 22 giugno 2007, n. 109 contenente “Misure per prevenire contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE”), cioè del provvedimento di carattere amministrativo che, per finalità di lotta al finanziamento del terrorismo, comporta il divieto di utilizzazione e di disposizione di beni e risorse economiche (A. Bassi, Il "congelamento" di imprese, aziende e società, inGiur. comm., 2009, II, 208, che evidenzia come il congelamento sia stato previsto, senza eccessivi approfondimenti, con riferimento sia ad imprese ex art. 11 co. 2, sia ad aziende ex  art. 12 co. 3, sia a società ex art. 11 co. 2, e che l’utilizzo di questa terminologia atecnica ripropone tutti gli interrogativi ancora irrisolti, che si agitano sul terreno dei provvedimenti di sequestro e confisca previsti ed applicati con riferimento ai beni e risorse della criminalità organizzata. Anche per il congelamento si porrà la necessità di distinguere tra provvedimenti che riguardano l’intero organismo produttivo, e provvedimenti destinati ad incidere, viceversa, sulle partecipazioni all’organismo produttivo. In particolare, mentre il sequestro, e oggi il congelamento di società, è espressione polivalente, che potrebbe avere diversi significati pratici, il congelamento di azienda appare invece un istituto dotato di significato più specifico. Il congelamento, come il sequestro, riferito alla intera azienda dovrebbe comportare la impossibilità e il divieto di esercizio della attività di impresa; mentre invece, in caso di società, che non abbiano oggetto direttamente illecito, gli interventi del legislatore tendono solo a separare l'impresa dalla proprietà).

[32]Trib. Napoli, 24 aprile 2015, ined. «un diritto societario-penale, nell’ambito del quale l’intrusività, a volte disordinata, dell’aggressione ai patrimoni, deve trovare strade non descritte per rispettare, nel momento dell’amministrazione, le regole di un diritto societario che questa intrusione non ha previsto, se non per regolarne i rapporti con la situazione abbastanza “analoga” delle procedure concorsuali».

[33] Esprime preoccupazioni in ordine alle relazioni fra gestione dell’impresa e della società anche M. Ferro, Sub art. 15, in M. Ferro(a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2007, 123, pur in un contesto in cui si riconosce la possibilità di nominare un mandatario che agisca secondo le direttive del tribunale.

[34] Emanato in attuazione della l. 13 agosto 2010, n. 136.

[35] L’abrogazione è espressamente prevista dall’art. 120, 1° comma lett. b codice antimafia.

[36] Sui fini del legislatore e sulla ratio della normativa cfr., ex multis, F. Bricola, Premessa al commento delle legge 13 settembre 1982, n. 646, in Legislaz. Pen., 1983, 237 ss.; Aa.Vv., Strumenti legislativi e giudiziari di intervento contro la criminalità mafiosa, in Foro it., 1984, V, 245 ss.; E. Amodio, Le misure di prevenzione patrimoniale nella legge antimafia, in Giust. pen. 1985, III, 632 ss.

[37] Sul fenomeno della mafia imprenditrice V. Geraci, L’associazione di tipo mafioso nella legge 13 settembre 1982, n. 646, in Legislaz. pen., 1986, 572 ss.; E. Saccà, Contributo allo studio del contenuto e dei limiti della nozione di neutralità dell’attività di impresa, Milano, 2005, 23 ss., cui si rimanda per ulteriori riferimenti bibliografici.

[38] Il termine “cosa” è utilizzato dal legislatore del c.p.p.

[39] Per tale considerazione v. F. Cassano, Confisca antimafia e tutela dei diritti dei terzi, cit., 2156.

[40] L’originaria formulazione dell’art. 2 quater (introdotto dalla legge 13 settembre 1982 n. 646 e modificato dal d.l. 14 giugno 1989 n. 230 14 giugno 1989 n. 230, successivamente sostituito dall’art. 2, 10° comma l. 15 luglio 2009 ed infine abrogato dall’art. 120, 1° comma lett. b del D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159) nell’indicare i beni oggetto di sequestro faceva riferimento esclusivamente ai mobili, i crediti, gli immobili registrati senza alcun riferimento alle universalità di beni, alle aziende ed alle partecipazioni sociali.

[41] A. Gialanella, L’art. 2 quater della l. n. 575/1965: il punto sull’oggetto e l’esecuzione del sequestro e della confisca di prevenzione, in Cass. pen., 2004, 364; A. Ruggiero, Amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, cit., 42; nonostante ciò, il legislatore non dimenticava di considerare le attività economiche in altre disposizioni antimafia, quale, ad esempio, la misura interdittiva prevista dall’art. 10 della l. 31 maggio 1965, n. 575 ovvero la sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni utilizzati per lo svolgimento di attività economiche soggette ad intimidazione ed assoggettamento mafioso, disciplinata dall’art. 3 quater della l. 31 maggio 1965, n. 575 (introdotto con il d.l. 8 giugno 1992 n. 306).

[42] Convertito con legge 4 agosto 1989 n. 282.

[43] Con la legge 7 marzo 1996 n. 109.

[44] Così Cass. pen., 1 febbraio 1985, Labata, in Cass. pen., 1986, 999.

[45] A. Gialanella, L’art. 2 quater della l. n. 575/1965: il punto sull’oggetto e l’esecuzione del sequestro e della confisca di prevenzione, cit., 369.

[46] In dottrina cfr. F. Cassano, La tutela dei diritti nel sistema antimafia, in Riv. dir. proc., 2005, 168;  in giurisprudenza Cass. pen. 9 febbraio 1989, Nicoletti, in  Cass. pen., 1990, I, 674 (s.m.).

[47] Secondo A. Balsamo – C. Maltese, Il codice antimafia, in Officine del diritto, Milano, 2011, 47, sull’attività economica si può intervenire solo con il provvedimento della sospensione dell’amministrazione.

[48] Le osservazioni compiute con riferimento al sequestro di prevenzione prima della riforma devono ritenersi valide anche per il sequestro di prevenzione come riformato, nei limiti in cui la normativa pre-riforma sia confluita nel codice antimafia.

[49] P. Comucci, Il sequestro e la confisca nella legge “antimafia”, in Riv. dir. it. proc. pen., 1985, 92; V. Macrì, Le nuove misure di prevenzione patrimoniali, in Quaderni del CSM, 1982, 99 ss.; D. Siracusano, Commenti articolo per articolo, l. 13.9.1982, n. 646 (antimafia), art. 14, in Legislaz. pen., 1983, 308; G. Bongiorno, Le misure patrimoniali della legge La Torre ed i diritti dei terzi, Milano, 1985, 24 ss.; Id., Tecniche di tutela dei creditori nel sistema delle leggi antimafia, in Riv. dir. proc., 1988, 466; C. Taormina, Il procedimento di prevenzione nella legislazione antimafia, Milano, 1988, 297 ss.; in giurisprudenza cfr. Trib. Trapani (ord.), 22 novembre 1984, ined.; in senso critico A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, in Dir. pen. proc., 2001, 1281, il quale ritiene che, nonostante le affinità con il sequestro conservativo civilistico, quest’ultimo determini la mera indisponibilità giuridica mentre il sequestro antimafia comporti la perdita della disponibilità materiale; sul punto in senso contrario a quello appena esposto A. Ruggiero, Amministrazione dei beni sequestrati o confiscati, cit., 41 ss.; R. Alfonso, La confisca nel procedimento di prevenzione, in La giustizia patrimoniale penale, a cura di A. Bargi – A. Cisterna, t. II, Torino, 2011, 828, secondo l’A. le due figure di sequestro hanno in comune soltanto le modalità di esecuzione mentre le finalità sono differenti, infatti, il sequestro di prevenzione è finalizzato alla confisca, ossia all’acquisto dei beni da parte dello Stato, mentre il gravame civilistico tende all’espropriazione forzata per la soddisfazione di un diritto di credito; nello stesso senso G. Monteleone, Effetti «ultra partes» delle misure patrimoniali antimafia, in Riv. trim. di dir. proc. civ., 1988, 577ss. il quale evidenzia le differenze tra il sequestro di prevenzione e i sequestri civilistici. 

[50] Cfr. A. Ruggiero, Amministrazione dei beni sequestrati o confiscati, cit., 47; M. Fabiani, Misure di prevenzione patrimoniali e interferenze con le procedure concorsuali, cit., 329 ss. Una simile ricostruzione era stata condivisa anche dall’Agenzia delle Entrate che, con circolare del 7 luglio 2000, n. 156/E, aveva assimilato il sequestro dei beni disposto a carico dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di stampo mafioso (art. 2 ter della legge 31 maggio 1964, n. 575) all’eredità giacente, affermando che «i beni sequestrati in attesa della confisca o della restituzione al proprietario configurano un patrimonio separato, assimilabile per analogia all’eredità giacente disciplinata dall’articolo 131 (ndr oggi 187) del T.U.I.R. e dall’articolo 19 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (ndr oggi articolo 5 ter del d.P.R. n. 322 del 1998). In entrambi i casi, infatti, l’amministratore esercita in via provvisoria l’amministrazione di un patrimonio, nell’attesa che lo stesso sia devoluto ad un soggetto che attualmente non è individuato a titolo definitivo e che pertanto non ne ha la disponibilità». Successivamente, l’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 62/E del 2007, in tema degli obblighi posti a carico del soggetto nominato custode giudiziario di una parte delle quote di una società a responsabilità limitata, affermava che «l’incertezza nell’individuazione del soggetto proprietario e la conseguente indisponibilità dei beni si verificano anche nei casi di sequestro giudiziario e, pertanto, simile deve essere la soluzione da adottare ai fini degli obblighi gravanti sul custode e dell’imputazione del reddito prodotto dall’azienda oggetto del provvedimento cautelare. In questo senso, già con la risoluzione 195/E del 13 ottobre 2001 l’Amministrazione ha riconosciuto l’assimilabilità del sequestro giudiziario al c.d. “sequestro antimafia” ai fini dell’applicazione, anche in quel caso, delle disposizioni dell’articolo 187 del T.U.I.R. Nei casi di sequestro giudiziario di azienda, dunque, il custode opera in veste di rappresentante in incertam personam curando la gestione del complesso aziendale per conto di un soggetto non ancora individuato. Pertanto, nell’ipotesi prospettata trovano applicazione le regole dettate in materia di eredità giacente dall’articolo 187 del T.U.I.R.». 

[51] L’osservazione è di G. Monteleone, Effetti «ultra partes» delle misure patrimoniali antimafia, cit., 580.

[52] Cfr. Ibidem, 574 ss.; G. Conte, Poteri di accertamento, misure patrimoniali e sanzioni amministrative antimafia, in Foro it., V, 1984, 261 s.; in giurisprudenza v. Cass, pen., 15 febbraio 1988, Molè e altro, in Giur. it., 1988, II, 360.

[53] Cass. Sez.Un., 3 luglio 1996, Simonelli, in Foro it. 1997, II, 18, e in Cass. pen., 1996, 3609, con nota di P.V. Molinari, Ancora sulla confisca antimafia: un caso di pretesa giustizia sostanziale contra legem, in cui l’A. critica la separazione concettuale operata dalla Corte fra il sequestro, al quale viene riconosciuta natura di misura di prevenzione, e la confisca, a cui si attribuisce natura di sanzione amministrativa; Cass. pen., 31 gennaio 2005, n. 19914, cit.

[54] Cort. Cost. 8 ottobre 1996, n .335, in Cass. pen., 1997, 186, 334.

[55] Cass. pen. SS.UU., 13 dicembre 2000, n. 36, Madonia, in Ced Cass. pen., rv. 217666; secondo F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, III ed. Roma, 1951, 25 s., il sequestro costituisce l’indispensabile provvedimento cautelare per l’applicazione della confisca penale.

[56] Recentemente v. L. Salvato, Profili problematici del coordinamento della disciplina del sequestro di prevenzione e del fallimento, in F. Fimmanò (a cura di) Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, Milano, 2012, 530 s.; G. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’impresa, in www.appinter.csm.it/incontri, 2.

[57] Così R. Garofoli, Manuale di diritto penale – Parte generale, Roma, 2012, 1496.

[58] G. Fiandaca, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. pen., vol. VIII, Torino, 1994, 122.

[59] L’art. 35, 5° comma del codice antimafia prevede espressamente che l’amministratore giudiziario è un pubblico ufficiale.

[60] G. Minutoli, Verso una fallimentarizzazione del giudice della prevenzione antimafia, in Fallimento, 2011, 1271 ss.

[61] Cfr. Trib Napoli (ord.) 28 dicembre 2009, n. 529, cit.; Trib. Napoli (ord.), 29 dicembre 2009, ined.; Trib. Napoli 20-22 gennaio 2010, ined.

[62] Trib. Napoli, 24 aprile 2015, cit.; si permetta di rinviare anche a R. Ranucci, Sequestri penali di partecipazioni sociali, d’azienda (ma non di società), in Gazzetta forense, 4, 2014, 75 ss.

[63] Sul tema si permetta di rinviare a R. Ranucci, Sequestri penali di partecipazioni sociali, d’azienda (ma non di società), cit., 58.

[64]Cfr. U. Morera, sub art. 2352 c.c., in G. Niccolini – A. Stagno D’Alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, vol. I, Napoli, 2004, 316.

[65] Cfr. Cass. civ. 18 giugno 2005, n. 13169, in Foro it. 2006, I, 2864 e in Società, 2006, 983 e in Corr. giur., 2006, 541, ad avviso della Corte, la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione non è idonea ad individuare il limite entro il quale l’amministratore può esercitare i diritti sociali, dovendosi avere a riferimento, piuttosto, la corrispondenza funzionale tra il voto e le finalità per cui il sequestro è stato apposto; v. anche in dottrina R. Bocca, sub art. 2352 c.c., in G. Cottino – G. Bonfante – O. Cagnasso  - P. Montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario, D. Lgs. 17 gennaio 2003, n.6; D. Lgs. 17 gennaio 2003, n.5; D. Lgs. 11 aprile 2001 n.61 (art.1). Commentario, vol. I, Bologna, 2004, 340; D.U. Santosuosso, La riforma del diritto societario: autonomia privata e norme imperative nei DD. lgs. 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, 86; F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, vol. XXIX, Padova, 2003, 126; U. Morera, Contributo allo studio del sequestro di azioni e quote di società, in Banca borsa tit. cred., 1986, I, 537, l’A. sottolinea «la ben nota difficoltà di operare convincenti distinzioni tra delibere concernenti l’ordinaria e la straordinaria amministrazione»; nello stesso senso D. Galletti, Appartenenza all’organizzazione, vincoli sulla quota ed esercizio dei diritti sociali: ancora sulle «gestioni straordinarie», in Giur. comm., 2000, II, 151.

[66] In giurisprudenza cfr. Cass. 29 maggio 2014, n. 12072, in Foro it. Rep. 2014, voce Fallimento, n. 81 secondo cui «il custode giudiziario delle quote sociali, designato in sede di sequestro preventivo penale, può assumere, in qualità di rappresentante della proprietà del capitale ed in mancanza di una norma di legge che lo vieti, la funzione di amministratore della società, dovendosi escludere il conflitto d’interessi».

[67]In giurisprudenza v. Cass. civ., 16 settembre 2009, n. 19983, in Ced. Cass. civ., rv. 610562; in dottrina cfr. A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1292.

[68]A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit. 1292; nello stesso senso Cass. pen., 2 marzo 2000, Frascati, in Banca borsa tit. cred., 2001, II, 21, che ha ritenuto compatibile col procedimento di prevenzione l’omologazione giudiziaria della delibera assembleare adottata su iniziativa dell’amministratore giudiziario, sotto la direzione e con l’autorizzazione del giudice delegato; contra Trib. Bari (decr.), 24 novembre 1995, Cavallari, ined., che, nell’autorizzare l’amministratore giudiziario a revocare gli amministratori della società in carica e a nominare sé stesso, ha precisato che «la normativa civilistica va integrata con quella propria delle misure di prevenzione, con la conseguenza che l’attività di controllo sull’operato dell’amministratore compete non già all’assemblea dei soci, ma al giudice delegato ed al tribunale».

[69]In giurisprudenza v. Trib. Napoli, 6 agosto 2009, in Notariato, 2010, 519; Trib. Bologna (ord.), 3 agosto 1999, in Giur. comm., 2000, II, 111; Cass. civ., 16 settembre 2009, n. 19983, cit.; in dottrina v. F. Volpe, Sequestro preventivo antimafia, esercizio del diritto di voto e omologazione di delibere assembleari: le competenze di intervento giudiziale e gli interessi economici, in Banca borsa tit.cred., 2001, II, 21 ss.; F. Cassano, L’amministrazione dei beni in sequestro e la tutela dei diritti dei terzi, in Quaderni del CSM, Milano 1998, 150; A. Ruggiero, Amministrazione di beni sequestrati e confiscati, Quaderni del CSM, Milano, 1988, 49; M. Fabiani, Misure di prevenzione patrimoniali e interferenze con le procedure concorsuali, in Fallimento, 1998, 333.

[70] Trib. Napoli (ord.) 29 dicembre 2009, ined,; Trib. Napoli 20-22 gennaio 2010, ined.; Trib Napoli (ord.) 28 dicembre 2009, n. 529, cit.

[71] Seppur in ambito prefallimentare si permetta di rinviare a F. Fimannò, L’impresa in crisi come oggetto “proprio” della tutela cautelare, cit., 37, nt. 110, l’A., criticando la tendenza delle corti di merito, parla di “affinità concettuale” con l’art. 2409 c.c.; in giurisprudenza v. Trib. Novara 24 febbraio 2010, n. 40, in Fallimento, 2010, 1180. In applicazione della misura patrimoniale antimafia della c.d. amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, attualmente disciplinata dall’art. 34 codice antimafia e precedentemente prevista dall’art. 3 quater della legge 575/1965 (introdotto l’art. 24 d.l. 8 giugno 1992 n. 306 convertito nella l. 7 agosto 1992 n. 365), la giurisprudenza, seppur in applicazione della disciplina oramai previgente, ha ritenuto che, quando l’attività economica è esercitata da persone giuridiche, la misura riguarda, le prerogative degli organi societari, cfr. Trib. Trapani (decr.) 11 gennaio 1994, Tre Noci S.r.l., cit., secondo il giudice la misura ex art. 3 quater l. 575/1965 nei confronti di una società determina «la sostituzione dell’organo amministrativo di s.r.l. con un amministratore nominato dal collegio, con forme analoghe a quelle previste dagli artt. 2409 e ss. c.c.»; in senso conforme v. Trib. Palermo (decr.) 03 giugno 1999, soc. Sicilconcrete S.r.l., ined.; Trib. Palermo (decr.) 14/28 novembre 2006, Central Gas S.p.A. + altri, ined.; Trib. Palermo 29 ottobre 2011, ined., secondo cui la misura in questione è «finalizzata ad espungere dal sistema l’impresa in quanto risulta di per sé illecita». Sulla misura dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, in dottrina cfr. recentemente, seppur con riferimento alla disciplina previgente, F. Licata, La sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni e la successiva confisca ex artt. 3 quater e 3 quinques, L. N. 575/1965. L’agevolazione incolpevole delle attività mafiose tra prevenzione e sanzione, in A. Bargi – A. Cisterna (a cura di), La giustizia patrimoniale penale, t. II, Torino, 2011, 1083 ss.; A. Balsamo – G. Nicastro, Il procedimento di prevenzione patrimoniale, in A. Balsamo - V. Contrafatto – G. Nicastro, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Milano, 2010, 210 ss.; B. Castagnoli – L. Perina, Le misure di prevenzione e la normativa antimafia, Roma, 1992, 81 ss.; G. Di Chiara, Commento all’art. 24 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, in Legislaz. pen., 1993, 241 ss.; A. Mangione, La “contiguità” alla mafia fra “prevenzione” e “repressione”: tecniche normative e categorie dogmatiche, in Riv. dir. pen. e proc., 1996, 708; P. Celentano, Il sequestro, la confisca e la sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni, in Quaderni del CSM, Milano, 1998, 13; P. Grillo, Gli artt. 3 qua- ter e 3 quinques della l. n. 575/1965: nuove misure di prevenzione nella lotta contro la criminalità organizzata [parte prima], in Arch. nuova proc. pen., 1998, I, 130; G. Nanula, La lotta alla mafia: strumenti giuridici, strutture di coordinamento, legislazione vigente, IV ed., Milano, 1999, 102 ss.

[72]G.F. Campobasso, Diritto commerciale, t. II, cit., 444.

[73]Secondo Trib. Saluzzo 18 maggio 1999, in Società, 1999, 1475, «la ratio propria del procedimento attraverso cui si attua il controllo del Tribunale ex art. 2409 c.c. deve ravvisarsi nell’intento di salvaguardare l’interesse generale (con schietta valenza pubblicistica, oltre che privatistica) al corretto svolgimento dell’attività societaria e alla regolare osservanza da parte degli amministratori dei doveri inerenti la gestione della società».

[74]F. Fimmanò, L’impresa in crisi come oggetto “proprio” della tutela cautelare, cit., 37 – 43 ss.

[75] Come noto, invece, nelle società che fanno ricorso al modello di amministrazione e controllo c.d. dualistico, la competenza alla nomina assembleare è in capo al consiglio di sorveglianza ex art. 2409-novies, 3° comma c.c.  Cfr. Trib. Napoli, 6 agosto 2009, cit.

[76]App. Milano 26 ottobre 1979, in Giur. comm., 1980, II, 745; App. Firenze 8 maggio 1981, in Società, 1982, 422; Trib. Milano 21 dicembre 1988, in Società, 1989, 610; Trib. Milano 30 marzo 1988, id, 1988, 857; Trib. Milano 19 febbraio 1999, id., 1999, 972; v. anche App. Torino 23 aprile 1952, in Foro pad., 1954, I, 281; App. Milano 21 dicembre 1953, id., 1954, I, 280; App. Brescia 1 dicembre 1965, in Giust. civ., 1966, 1208.

[77]Contra Trib. Como (decr.) 13 novembre 1999, in Società, 2000, 731, con commento di M. Tassi, Sequestro giudiziario di quote di s.r.l. e legittimazione alla denuncia ex art 2409 c.c.

[78] Cass. civ. 18 giugno 2005, n. 13169, cit.; Trib. S.M. Capua Vetere 7 dicembre 2004, ined.; Trib. Milano 19 febbraio 1999, cit; Trib. Milano 30 marzo 1988, cit.; contra Trib. Como 13 novembre 1999, cit.

[79]A. Ruggiero, Amministrazione dei beni sequestrati o confiscati, cit., 47; A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1292 s.

[80]Si sono pronunciati per l’inapplicabilità dell’art. 2409 c.c. alla s.r.l., ex multis Cass. civ., 13 gennaio 2010, n. 403, in Giur. it., 2010, 595, con nota di R. Weigmann; Trib. Messina, 14 aprile 2004, in Dir. fall., 2004, II, 489; Trib. Roma, 16 gennaio 2008, in Riv. not., 2009, 668, con nota di Torroni; Trib. Firenze (ord.), 25 ottobre 2011, in Società, 2012, 5, con commento critico di V. Salafia, nel provvedimento il collegio affronta ex professo l’inapplicabilità analogica dell’art. 2409 c.c. alle s.r.l.; Trib. Macerata (ord.), 27 febbraio 2006, in Società, 2007, 58, con commento di G. Cappelletti; Trib. Roma, 31 marzo 2004, in Riv. not., 2005, 768; Trib. Roma, 30 luglio 2004, in Giur. it., 2005, 309, con nota di O. Cagnasso, Diritto di controllo dei soci e revoca dell’amministratore per gravi irregolarità: primi provvedimenti in sede cautelare relativi alla “nuova” società a responsabilità limitata; Trib. Catania, 14 ottobre 2004, in Vita not., 2005, 1001; App. Trieste, 13 ottobre 2004, ivi, 2005, 1021; App. Trieste, 5 novembre 2004, in Società, 2005, 355; Trib. Palermo, 16 aprile 2004, id., 2005, 70, con commento di V. Tripaldi; Trib. Napoli, 4 giugno 2004, ivi, 2004, 69; Trib. Isernia, 7 maggio 2004, in Dir. fall., 2004, II, 822, con nota di A. Penta; Trib. Lecce, 16 luglio 2004, in Società, 2005, 358; Trib. Bologna, 21 ottobre 2004, ivi, 2005, 357. In dottrina cfr. G. Arieta – F. De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 578; C. Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003, 134; F. Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 306; N. Abriani, Diritto delle società – Manuale breve, Milano, 2004, 314; O. Cagnasso, Diritto di controllo dei soci e revoca dell’amministratore per gravi irregolarità: primi provvedimenti in sede cautelare relativi alla “nuova” società a responsabilità limitata, in Giur. it., 2005, 316; R. Rordorf, I sistemi di amministrazione e di controllo nella nuova S.r.l., in Società, 2003, 672; G. Racugno, L’amministrazione della S.r.l. e il controllo legale dei conti, ivi, 2004, 16; R. Ambrosini, La responsabilità degli amministratori nella nuova S.r.l., ivi, 2004, 293; Id., Il problema del controllo giudiziario nella S.r.l., tra tentazioni correttrici degli interpreti e dubbi di costituzionalità, in Giur. comm., 2005, I, 378; C. Ruggiero, La revoca dell’amministratore nella nuova S.r.l., in Società, 2004, 1090; R. Weigmann, La revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, P. Abbadessa – G.B. Portale (diretto da), vol. III, Torino, 2007, 543 ss. A dirimere la controversia sorta è intervenuta la Corte Costituzionale (Corte Cost., 29 dicembre 2005, n. 481 in Giur. it., 2006, 2077, con nota di E. Desana) che ha respinto i dubbi sull’incostituzionalità della mancata previsione del rimedio di cui all’art. 2409 c.c. per le S.r.l. Parte della dottrina ritiene che l’esercizio del diritto ex art 2409 c.c. debba essere riconosciuto quantomeno al collegio sindacale se costituito, in tal senso v. P. Benazzo, I controlli nelle società a responsabilità limitata: singolarità del tipo od omogeneità della funzione, in Riv. soc., 2010, 39; G.C.M. Rivolta, Profilo della nuova disciplina della società a responsabilità limitata, cit., 691 s.; Trib. Roma, 6 luglio 2004, in Foro it., 2005, I, 868; Trib. Napoli, 14 maggio 2008, in Società, 2009, 1019, con nota di De Angelis; Trib. Milano, 26 marzo 2010, in Giur. merito, 2010, 3025. In senso conforme sembrerebbe essersi pronunciata anche la Corte Costituzione intervenuta successivamente sulla questione di costituzionalità, respingendola nuovamente, v. Corte Cost. (ord.) 7 maggio 2014, n. 116, in Notariato, 2014, 393 con nota di R. Ranucci, La Corte Costituzionale difende nuovamente l’art. 2409 c.c.

[81] Recentemente Trib. Bologna 4 febbraio 2015, in red. giuffré, secondo cui «il controllo giudiziario di cui all'art. 2409 c.c. deve ritenersi ammissibile anche per le s.r.l., in caso di proposizione del ricorso da parte del collegio sindacale di nomina obbligatoria ex art. 2477 c.c. Non si deve ritenere, infatti, che la nuova disciplina delle s.r.l. di cui al d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6 sia incompatibile, in virtù dell'estensione dei poteri di controllo dei soci prevista dai commi 2 e 3 dell'art. 2476 c.c., con la previsione di forme di intervento del giudice, quale il controllo ex art. 2409 c.c.»; v. anche nt. precedente.

[82] Trib. S.M. Capua Vetere, 8 maggio 2007, in Società, 2009, 1146; Trib. Siracusa 31 gennaio 2007, in Vita not., 2007, 753; Trib. Agrigento 1 agosto 2006, in Dir. fall., 2007, II, 299; Trib. Treviso 7 febbraio 2005, in Giur. it., 2005, 2107; in dottrina v. G. Arieta – F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 412; M.G. Paolucci, La revoca cautelare dell’amministratore di s.r.l., in Giur. comm., 2009, I, 1182; M. Comastri – F. Valerini, Natura conservativa e funzione inibitoria della revoca cautelare dell’amministratore di S.r.l., in Riv. dir. civ., 2007, II, 451.

[83] G.F. Campobasso, Diritto commerciale, t. II, cit., 592.

[84] Sul punto cfr. O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, vol. V, t. I, Padova, 2007, 261 s.; in giurisprudenza v. Trib. S.M. Capua Vetere, 15 novembre 2004, in Società, 2005, 477, con nota di M. Sandulli, Azione di responsabilità e di revoca verso gli amministratori di S.r.l.; Trib. Roma, 30 luglio 2004, cit.; Trib. Milano, 30 agosto 2006, in Corr. merito, 2007, 170. Secondo altro orientamento la revoca giudiziale e l’azione di responsabilità sarebbero avvinti da un nesso di strumentalità necessaria, cfr. G.U. Tedeschi, Responsabilità e revoca degli amministratori di S.r.l., in Contr. impr., 2008, 1269 ss.; in giurisprudenza v. Trib. Torino, 20 maggio 2010, in Società, 2010, 1381.

[85] In dottrina v. R. Weigmann, La revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata, cit., 545; R. Teti, La responsabilità degli amministratori di S.r.l., in P. Abbadessa – G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, vol. III, Torino, 2007, 652 ss.; R. Rordorf, La revoca cautelare dell’amministratore di S.r.l., in Società, 2009, 19 ss.; F. Briolini, La responsabilità degli amministratori di S.r.l., in Riv. dir. comm., 2008, I, 748; G. Scognamiglio, La revoca giudiziale degli amministratori, in A.A. Dolmetta – G. Presti (a cura di) S.r.l.: Commentario dedicato a G.B. Portale, Milano, 2011, 675; in giurisprudenza v. Trib Salerno, 4 luglio 2006, in Corr. giur., 2007, 703, con nota di Pellegrini; Trib. Lucca, 13 settembre 2007, in Giur. comm., 2009, II, 216; Trib. Napoli, 5 maggio 2008, in Società, 2009, 1525; Trib. Pavia, 25 agosto 2008, in Giur. comm., 2009, II, 1218; Trib. S.M. Capua Vetere, 15 novembre 2004, cit.; Trib. Milano, 30 agosto 2006, cit.

[86]G.F. Campobasso, Diritto commerciale, t. II, cit., 592.

[87]Cfr. G.U. Tedeschi, Responsabilità e revoca degli amministratori di S.r.l., cit., 1280; Trib. Roma, 30 giugno 2004, in Giur. it, 2005, 309; Trib. Macerata, 27 febbraio 2006, cit.

[88]Cfr. Trib. Napoli (ord.), 28 dicembre 2009, n. 529, cit.; Trib. Napoli, II Uff. G.i.p., 11 maggio 2009, cit.

[89] Sul ruolo del collegio sindacale in pendenza delle procedure concorsuali si veda, F. Cossu, Collegio sindacale ed obblighi di garanzia nelle s.r.l., Milano, 2013, 263 ss.

[90]A. Burzo, Il concorso di norme civili, penali e tributarie nella gestione di società di capitali sottoposte a sequestro preventivo antimafia, in A. Bargi – A. Cisterna (a cura di), La giustizia patrimoniale penale, t. II, Torino, 2011, 1219; in giurisprudenza v. Cass. pen., 8 novembre 1993, Chamonal e altro, in Riv. pen. econ., 1995, 77.

[91]R. Sacchi, L’intervento e il voto nell’assemblea delle S.p.A. – Profili procedimentali, in G.E. Colombo – G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, vol. III, t. I, Torino, 1994, 446.

[92]Trib. Napoli 6 agosto 2009, cit.

[93] Il riferimento più proprio è al sequestro antimafia, ma le stesse considerazioni si devono ritenere valide per il sequestro preventivo disciplinato dall’art. 321 c.p.c.

[94] Così F. Fimmanò, L’impresa in crisi come oggetto “proprio” della tutela cautelare, cit., 40.

[95]Cfr. G. Palmieri, Scissione di società e circolazione dell’azienda, Torino, 1999, 373; in giurisprudenza v. Cass. pen., 30 gennaio 2009, n. 17988, Baratta e altri, Ced Cass. pen., rv. 244802, secondo cui la confisca «di un complesso aziendale non può essere disposta, in ragione del carattere unitario del bene che ne è oggetto, con limitazione alle componenti di provenienza illecita, specie nel caso in cui l'intera attività d'impresa sia stata agevolata dalle cointeressenze con organizzazioni criminali di tipo mafioso».

[96] In giurisprudenza v. Cass. pen. 18 dicembre 2014, n. 18777, in red. giuffré; Cass. pen., 6 ottobre 2010, n. 35801, in Ced Cass. pen., rv. 248556 (s.m.); in dottrina cfr. F. Volpe, Sequestro preventivo antimafia, esercizio del diritto di voto e omologazione di delibere assembleari: le competenze d’intervento giudiziale e gli interessi economici, cit., 27 ss.; G. Fidelbo, La nuova normativa sulla gestione dei beni sequestrati e sulla destinazione dei patrimoni confiscati (L. 7 marzo 1996, n. 109), in Legislaz. pen. , 1997, 848 s.; F. Cassano, Il fallimento dell’imprenditore mafioso: effettività della prevenzione patrimoniale e garanzia dei diritti dei terzi di buona fede, in Fallimento, 1999, 1359; Id., Misure di prevenzione patrimoniali e amministrazione dei beni. Questioni e materiali di dottrina e giurisprudenza, cit., 88; A. Ruggiero, Amministrazione dei beni sequestrati o confiscati, cit., 59; M. Lorenzetti, Sui poteri dell’amministratore giudiziario di aziende sottoposte a sequestro, nominato dal Tribunale delle misure di prevenzione, in Nuovo dir., 1998, II, 620. L’unica ipotesi, peraltro puramente teorica, in cui si potrebbe ritenere sufficiente la custodia dell’azienda è il caso in cui il possessore dell’azienda ne abbia dismesso l’esercizio per la sua oggettiva antieconomicità. Sul punto cfr. G. Palmieri, Scissione di società e circolazione dell’azienda, cit. 373; D. Pettiti, Il trasferimento volontario di azienda, Napoli, 1975, 155 ss.

[97]A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1281 ss.

[98]In dottrina v. G. Palmieri, Scissione di società e circolazione dell’azienda, cit., 374 ss.; recentemente in giurisprudenza Trib. Napoli, II Uff. G.i.p., 11 maggio 2009, cit. Per rassegna sulle problematiche inerenti il sequestro antimafia di azienda cfr. A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1281 ss.

[99]Ad avviso di Cass. pen., 20 giugno 2001, n. 29797, Paterna, in Cass. pen., 2002, 3174, «oggetto del sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) può essere qualsiasi bene – a chiunque appartenente e, quindi anche a persona estranea al reato – purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione del- le conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. Ne consegue che è legittimo il sequestro di una intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando che l’azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali».

[100]Cfr. F. Menditto, Proposte essenziali di modifica ai Libri I, II, IV, e V dello schema di decreto legislativo del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione presentato dal Governo il 15 giugno 2011, 72, in www.penalecontemporaneo.it; A. Balsamo – C. Maltese, Codice Antimafia, cit., 61.

[101] Fenomeno rilevato da ibidem.

[102] Trib. Napoli (ord.), 28 dicembre 2009, n. 529, cit.; Cass. pen., 10 aprile 1995, n. 2038 in Ced Cass. pen., rv. 201658.

[103] In realtà, in tale ipotesi potrebbe trovare applicazione anche  l’istituto dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche disciplinato attualmente dall’art. 34 del codice antimafia, sul punto v. nt 66; sui presupposti per l’estensione del sequestro all’azienda sociale, recentemente, cfr. Cass. pen. 20 gennaio 2014 n. 6766, in Foro it. Rep. 2014, voce Ordine pubblico (reati), n. 56 «ai fini del sequestro funzionale alla confisca del patrimonio di un'azienda amministrata da un soggetto indagato del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, occorre dimostrare una correlazione, specifica e concreta, tra la gestione dell'impresa alla quale appartengono i beni da sequestrare e le attività riconducibili all'ipotizzato sodalizio criminale, non essendo sufficiente, di per sé, il riferimento alla sola circostanza che il soggetto eserciti le funzioni di amministrazione della società»; Cass. pen. 24 ottobre 2013 n. 47080, in id., Rep. 2014,voce cit., n. 79 «ai fini del sequestro funzionale alla confisca dei beni di un'azienda amministrata da un soggetto indagato del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, occorre dimostrare una correlazione tra i cespiti e l'ipotizzata attività illecita del soggetto agente»; conf. in dottrina taluni autori (G. Bongiorno, Tecniche di tutela dei creditori nel sistema delle leggi antimafia, in Riv. dir. proc., 1988, 445, nt. 5; A. Gialanella, Genesi dell’amministrazione giudiziaria dei beni: oggetto ed esecuzione del sequestro, cit., 205; F. Cassano, Misure di prevenzione patrimoniali e amministrazione dei beni. Questioni e materiali di dottrina e giurisprudenza, Milano, 1998, 89) pur rilevando opportunamente come il sequestro delle partecipazioni non comporti il sequestro dell’azienda, ha però precisato che il sequestro dell’azienda sociale resta possibile, non solo quando tutti i soci siano indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa e sottoposti al relativo procedimento di prevenzione, ma anche quando risulti la disponibilità in capo all’unico proposto di tutte quante le quote o azioni della società (si pensi al caso della società a responsabilità limitata unipersonale oppure alle società di comodo, nelle quali i sottoscrittori delle azioni e delle quote siano dei semplici prestanomi dell’effettivo unico titolare del capitale sociale), nonché nelle ipotesi del c.d. socio tiranno, che, secondo la nota definizione bigiaviana (W. Bigiavi, Responsabilità illimitata del “socio tiranno”, in Foro it., 1960, I, 1180) «usi la società come cosa propria», degradandola a mero strumento, trascurando le regole del diritto societario e quindi confondendo il patrimonio sociale con quello personale; A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1291, ha però evidenziato come un sequestro che cada direttamente sui beni e sul patrimonio della società, perché ritenuti, di fatto, nella disponibilità dell’indiziato, rischia di determinare non facili problemi di coordinamento con le norme ed i principi che regolano la vita e l’attività della società-persona giuridica ed i suoi rapporti con i terzi.

[104]App. Firenze, 12 gennaio 1979, in Giur. comm., II, 1980, 243.

[105]Cass. civ., 24 maggio 2012, n. 8238, in Foro it., Rep. 2012, voce Fallimento, n. 216; Cass. pen., 12 dicembre 1997, n. 5115, Greco, in Giust. pen., 1999, III, 125 (s.m.); in dottrina v. G. Bongiorno, Tecniche di tutela dei creditori nel sistema delle leggi antimafia, cit., 445; F. Cassano, Misure di prevenzione patrimoniali e amministrazione dei beni. Questioni e materiali di dottrina e giurisprudenza, cit., 89 ss.

[106]Cfr. F. Fimmanò, Liquidazione programmata, salvaguardia dei valori aziendali e gestione riallocativa dell’impresa fallita, cit., 484; nello stesso senso C. Cavallini, sub art. 15, in Commentario alla legge fallimentare, in C. Cavallini (diretto da), vol. I, Milano, 2010, 331; I. Pagni, Nuovi spazi per le misure cautelari nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fallimento, 2011, 862; M. Fabiani, Tutela cautelare e rapporti fra imprenditore e amministratore giudiziario dell’impresa, in www.ilcaso.it; contra S. Pacchi, Provvedimenti cautelari e conservativi su richiesta del debitore in attesa di un accordo di ristrutturazione, in Dir. fall., 2011, II, 348.

[107]Contra Cass. pen., 22 ottobre 2009, n. 44906, in Ced. Cass. pen. , rv 245249; Cass. pen., 2 marzo 2000, n. 1032, Frascati, cit.

[108] Trib. Bologna (ord.), 3 agosto 1999, cit.; v. anche Trib. Benevento, 24 settembre 1991, in Dir. giur., 1993, 343, secondo cui «è inammissibile il sequestro giudiziario della titolarità delle quote di partecipazione di una società in accomandita semplice, in modo da realizzare surrettiziamente il sequestro dell'azienda sociale».

[109]Cass. pen., 9 febbraio 2012, n. 19219, cit., la corte ha ritenuto lecita la vendita di un ramo di azienda di una società le cui partecipazioni sociali erano sottoposte a sequestro conservativo civile; Pret. Torino, 31 maggio 1997, n. 1252, in Nuovo dir., 1998, II, 614, con nota di M. Lorenzetti, Sui poteri dell’amministratore giudiziario di aziende sottoposte a sequestro, nominato dal tribunale delle misure di prevenzione, secondo il giudice, l’amministratore giudiziario in sede di sequestro antimafia ha il compito di conservare l’azienda in vista della successiva confisca.

[110]L. Ponti, Cessione di partecipazioni sociali e di aziende. Analogie e differenze, in Società, 1993, 332 ss.

[111]F. Vassalli, Responsabilità d’impresa e potere di amministrazione nelle società personali, Milano, 1973, 80, nt. 5, il quale distingue «fra un’attività di amministrazione in senso proprio ed un’attività, anch’essa espressione dei poteri direttivi sull’impresa, ma che non possa considerarsi come attività di governo di un patrimonio o, comunque, a tale governo collegata»; v. anche V. Calandra Bonaura, Gestione dell’impresa e competenze dell’assemblea della società per azioni, Milano, 1985, 112, l’A., seppur in termini dubitativi, traccia un confine tra attività della società e attività dell’impresa sociale; F. Fimmanò, L’impresa in crisi come oggetto “proprio” della tutela cautelare, cit., 60.

[112] Così G. Palmieri, Scissione di società e circolazione dell’azienda, cit., 374.

[113]Ibidem, 373; v. anche D. Pettiti, Il trasferimento volontario d’azienda, cit., 156 ss.

[114] Parla di spossessamento in caso di sequestro antimafia di azienda, Trib. Napoli, 24 aprile 2015, cit.

[115]F. Cassano, Misure di prevenzione patrimoniali e amministrazione dei beni, cit., 252.

[116]A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1282.

[117]Cass. pen. 2 luglio 2010, n. 35801, cit.

[118] In dottrina, si permetta di rimandare a F. Fimmanò, L’impresa in crisi come oggetto “proprio” della tutela cautelare, cit., 60 ss.; in giurisprudenza, Cass. civ. 4 novembre 2014 n. 23461, in Giust. civ. Mass. 2014, «Il sequestro preventivo penale dei beni di una società di capitali non rende il custode giudiziario di tali beni contraddittore necessario nel procedimento per dichiarazione di fallimento, per la validità del quale è sufficiente la convocazione dell'amministratore della medesima società, che resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio. D'altronde, la stessa dichiarazione di fallimento non comporta l'estinzione della società, ma solo la liquidazione dei beni, con conseguente legittimazione processuale dell'organo di rappresentanza a difendere gli interessi dell'ente nell'ambito della procedura fallimentare, né reca alcun pregiudizio alla procedura di prevenzione patrimoniale diretta alla confisca dei beni aziendali (sia quando il fallimento sia stato pronunciato prima del sequestro preventivo, sia quando sia stato dichiarato successivamente), dovendo essere privilegiato l'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto all'interesse meramente privatistico della “par condicio creditorum” perseguito dalla normativa fallimentare»; conf.  Cass. civ., 30 maggio 2000, n. 7147, in Giust. civ. 2001, I, 215; contra Cass. civ. 3 novembre 2011 n. 22800, in red. giuffré «l'amministratore giudiziario, nominato in sede di sequestro assunto ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p., è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della società i cui beni siano stati affidati dal provvedimento di sequestro alla sua gestione».

[119]Id., Liquidazione programmata, salvaguardia dei valori aziendali, cit., 487.

[120] Ibidem, 489; in senso difformeL. Mandrioli, sub art. 104 l.f. in A. Nigro – M. Sandulli – V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1337, descrive l’istituto quale forma di risanamento oggettivo dell’impresa, capace di prescindere dal risanamento del soggetto economico assoggettato ad esecuzione collettiva.

[121] Cfr. art. 35, 5° comma codice antimafia a tenore del quale: «L'amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Egli ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell'intero procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi».

[122] Sul punto si veda recentemente Trib. Napoli Uff. Gip 5 ottobre 2015 – est. Dott.ssa Livia De Gennaro, in www.ilcaso.it seppur con riferimento al sequestro di azienda ex art. 321 c.p.p. a cui si applicherebbe la disciplina del codice antimafia.

[123] Si deve, peraltro, evidenziare come la prosecuzione dell’attività possa essere piuttosto difficile poiché all’azienda viene meno il sostegno derivante dal suo collegamento con l’associazione mafiosa e, quindi, non può più beneficiare di liquidità di provenienza illecita, né avvalersi del potere d’intimidazione del proposto per condizionare il mercato o ad altri fini, in termini v. A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit., 1293; A. Stea, Le misure di prevenzione patrimoniali. L’esperienza applicativa, in AA.VV. Le misure di prevenzione patrimoniali. Teoria e prassi applicativa, Bari, 1998, 315.

[124] Trib. Napoli Uff. Gip 5 ottobre 2015 – est. Dott.ssa Livia De Gennaro, cit.

[125] Nell’ambito dell’esercizio provvisorio ex art. 104 l.f. v. F. Fimmanò, Prove tecniche di esercizio provvisorio riformato, in Giur. comm., I, 2007, 779; E. Stasi, L’esercizio provvisorio, in Fallimento, 2007, 856.

[126] Cfr. Trib. Napoli, II Uff. G.i.p., 11 maggio 2009, cit., «in ogni caso di sequestro di azienda (intero patrimonio aziendale), sia essa gestita sotto forma di ditta individuale, di società di persone o di capitali, ovvero in diversa forma di ente collettivo, grava quindi sul custode/amministratore giudiziario nominato, l’onere della continuazione dell’attività dell’azienda»; Cass. pen., 2 luglio 2010, n. 35801, cit., in cui si da atto di un sequestro di azienda appartenente a S.p.A. in cui il custode è stato autorizzato alla gestione dell’azienda per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale.

[127] Recentemente Trib. Napoli, 24 aprile 2015, cit., “il richiamo del secondo comma dell’art.40, DLGS 159/11, alla figura del fallito, evidenzia come l’originario amministratore legale (proposto, indagato o meno) di una società, i cui beni aziendali sono totalmente attinti da un provvedimento di cautela reale, è parificabile ad un “fallito temporaneo”, la cui “massa attiva”è disponibile solo dall’amministratore giudiziario/curatore fino alla confisca definitiva o alla restituzione e delle cui situazioni” passive”  non può né deve rispondere: tanto da doverlo ritenere “sospeso” da poteri e doveri, per tutto il tempo dell’amministrazione temporanea. Con la conseguenza della automatica cessazione di tale sospensione nel caso di dissequestro ovvero di confisca definitiva che comporti l’eventuale subentro di una nuova proprietà”; P. Liccardo, Sequestro di azienda e custodia giudiziaria: profili ricostruttivi, in Quaderni del CSM, Milano, 1996, 4; in giurisprudenza v. Cass. civ. 21 maggio 1984, n. 3127, in Giust. civ. Mass. 1984; Cass. civ. 20 luglio 1979, n. 4348, in Giust. civ. Mass. 1979.

[128] Seppur in ambito fallimento si permetta di rinviare F. Fimmanò, L’impresa in crisi come oggetto “proprio” della tutela cautelare, cit., 61; F. Guerrera – M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, in Riv. soc., 2008, 33

[129] Così Circolare Ministeriale del 7 luglio 2000, n. 156/E.

[130]Sul punto, seppur con riferimento al sequestro di partecipazioni sociali v. F. Briolini, Pegno, usufrutto e sequestro di azioni, in P. Abbadessa – G.B. Portale (diretto da), in Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum G.F. Campobasso, vol. I, Torino, 2006, 677; U. Morera, sub art. 2352 c.c., cit., 316; G. Partesotti, Le operazioni sulle azioni, in G.E. Colombo  G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azoni, Vol. II, t. II, Torino, 1994, 322; S. Poli, Il pegno di azioni, Milano, 2000, 449; F. Platania, Poteri del socio e del custode nel sequestro di azioni, in Società, 2003, 990; R. Sacchi, L’intervento e il voto nell’assemblea della S.p.A. – Profili procedimentali, cit., 375.

[131]Cfr. Cass. civ., 17 luglio 1963, n. 1958, in Foro it.Rep.1963, voce Sequestro, n.ri 21 - 22; Cass. civ. 24 maggio 1997, n. 4635, in Foro it.Rep. 1997, voce Sequestro, n. 13.

[132] Cfr. Cass. civ. 15 giugno 2005, n. 13169, cit.; Cass. civ. 22 settembre 2005, n. 21858, cit.; Cass. civ. 19 agosto 1996, n. 7614, cit.; Cass. civ. 10 marzo 1999, n. 2053, in Notariato, 2000, 242; v. anche R. Cogliandro, Il sequestro di quote di s.r.l. tra vecchi problemi e soluzioni della “riforma”, in Riv. not., 2003, 529.

[133] A. Silvestrini, La gestione giudiziale dell’azienda oggetto di sequestro antimafia, cit. 1289.

[134] Pret. Torino, 31 maggio 1997, n. 1252, in Nuovo dir., 1998, 614.

[135] In questo senso, v. Cass. civ., Sez. I, 28 agosto 1997, n. 8146, in Foro it. Rep., 1997, voce Sequestro conservativo, 17; Cass. 8 aprile 2013, n. 8483, in Giust. civ. Mass. 2013.

[136] Trib. Napoli, 24 aprile 2015, cit.

[137] Cfr. Trib. Napoli, 24 aprile 2015, cit.; Trib. Novara, 29 aprile 2011, in www.ilcaso.it, secondo il giudice di merito «nell’ambito dei provvedimenti cautelari o conservativi previsti dall’art. 15, comma, legge fallimentare, il Tribunale può disporre il sequestro giudiziario dell’azienda, nominare il custode giudiziario e conferire altresì a quest’ultimo il potere di compiere gli atti di gestione che spettano all’organo amministrativo; il provvedimento di nomina del custode con la descrizione dei poteri a lui conferiti dovrà essere iscritto nel registro delle imprese».

[138] Sul tema si permetta di rimandare a F. Fimmanò – R. Ranucci, La pubblicità commerciale e il sindacato del Conservatore del Registro delle Imprese, in Notariato  2014, 479 ss.

[139] Cfr. V. Donativi, I poteri di controllo dell’ufficio del registro delle imprese, Napoli, 1999, 44 ss., 62, 116 s.; M. Irrera, Il controllo da parte degli organi dell’ufficio del registro delle imprese sugli atti sottoposti ad iscrizione, in Giur. comm., 1985, II, 255; contra V. Buonocore, Le società. Disposizioni generali, in P. Schlesinger (diretto da ), Il codice civile. Commentario, Milano, 2000, 180; A. Pavone La Rosa, Il controllo degli atti societari per l’iscrizione nel registro delle imprese, in Riv. dir. civ., 2001, II, 186; Trib. Taranto 21 settembre 2009, in Riv. notariato 2009, 1575.

[140] G. Zagra, Iscrizione di domanda giudiziale di accertamento della proprietà di partecipazioni di s.r.l., in Società, 2013, 30; però vedi anche V. Salafia, Deposito nel Registro Imprese della citazione per accertamento trasferimento di quote sociali, id., 2010, 831; Giud. Reg. Impr. Trib. Avellino 16 settembre 2011 (decr.), id. 2013, 659 con commento di T. Marena, Sull’iscrizione della domanda giudiziale di simulazione del trasferimento di quote di s.r.l.

[141] Già l’art. 2556, comma 3, c.c., prevedeva, prima della novella, per le imprese soggette a registrazione, e cioè per imprenditori commerciali non piccoli e società, l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese dei contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda. Tuttavia la norma era tamquam non esset, stante la mancata attuazione del registro delle imprese con tutte le conseguenze e le distorsioni del caso. Ad esempio, nel caso di affitto ovvero di usufrutto di azienda, l’assenza di pubblicità collegata all’obbligo del nuovo titolare di esercitarla sotto la ditta del dante causa, per ragioni di conservazione dell’avviamento, aveva addirittura portato una certa giurisprudenza a ritenere che il proprietario dell’azienda fosse responsabile per le obbligazioni assunte dall’affittuario o dall’usufruttuario – v. Trib. Napoli 9 luglio 1953, in Riv. dir. comm., 1954, II, 351, con nota di A. Pavone La Rosa, Affitto di azienda e responsabilità per le obbligazioni contratte dall’affittuario nell’esercizio dell’impresa.

[142] Trib. Livorno 9 giugno 1997, in Notariato, 1998, 247.

[143] Sul punto Circolare Notai L. 12 agosto 1993, n. 310, in Riv. dir. comm., 1994, 383 ss. e in particolare, 400 «per accertare quale sia l’effetto dell’iscrizione nel registro delle imprese per la cessione di azienda, occorre rifarsi alle regole generali previste dall’art. 2193 c.c., che traccia una duplice regola così sintetizzabile: l’atto iscritto è opponibile ai terzi senza possibilità di eccezioni (presunzione iuris et de iure); l’atto non iscritto non può essere opposto ai terzi a meno che non si provi che ne abbiano avuto conoscenza (presunzione iuris tantum)».

[144] Trib. Milano 20 ottobre 2011, in red. giuffré, secondo cui «La cancellazione della società dal registro delle imprese ha effetti costitutivi dell’irreversibile estinzione della società e non può essere paragonata alla trasformazione o fusione dell’ente, né alla scissione o cessione di azienda poiché le prime due presuppongono una prosecuzione del soggetto giuridico sotto una diversa forma giuridica e le altre una vicenda modificativa dell’ente che estende le responsabilità per le obbligazioni nascenti dalla sentenza di condanna al cessionario d’ azienda, anche nell’ipotesi che quest’ultimo sia un soggetto estraneo alle vicende che hanno determinato la contestazione dell’illecito in capo alla società».

[145] Cass. 28 agosto 2006, n. 18618, in Fallimento, 2007, 294 (s.m.), con nota di Zanichelli, ha ritenuto sintomatico della cessazione dell’esercizio dell’attività di impresa l’atto traslativo dell’azienda , data da cui è stato fatto decorrere l’anno ai fini dell’applicazione dell’art. 10 l.f.

[146] G. Palmieri, Scissione di società e circolazione dell’azienda, cit., 374 s.

[147] Un dato normativo in tal senso è rappresentato dall’art. 104, 1° comma, lett. c, disp. att. c.p.p.

[148] Cass. pen. 5 maggio 2011, n. 28274, in Corr. trib., 2011, 3292, con nota di A. Tomassini; Cass. pen. 27 gennaio 2011, n. 6890, in Arch. nuova proc. pen., rv. 248488; Cass. pen. 25 maggio 2010, n. 22569, in Arch. giur. circol. sinistri, 2010, 1011.

[149] Cass. pen. 29 settembre 2010, n. 37842, Caneva, in Ced Cass. pen., rv. 248488; Cass. pen. 25 maggio 2010, n. 22569, cit. 

[150] Così Trib. Verona 1 aprile 2012 (decr.), id., 2013, 30, con commento di G. Zagra, Iscrizione di domanda giudiziale di accertamento della proprietà di partecipazioni di s.r.l.

[151] Trib. Milano 18 ottobre 1999, in Giur. comm., 2001, II, 495, con nota di R. Guidotti, Ancora sul deposito di cui al quarto comma dell’art. 2479.

[152] Cfr. E. Bocchini, La pubblicità nelle società commerciali, Napoli, 1979, 184; A. Graziani, L’impresa e l’imprenditore, Napoli, 1959, 118; in giurisprudenza v. nt. precedente e Cass. 21 novembre 1972, in Foro it., Rep. 1972, voce Società, 292.; Trib. Cassino 13 aprile 1992, id., 1993, I, 260.

[153] G. Ferri, Imprese soggette a registrazione, in Scialoja – Branca (a cura di), Commentario, Bologna - Roma, 1972, 8.

[154] In tema diffusamente: F. Fimmanò – R. Ranucci, La pubblicità commerciale e il sindacato del Conservatore del Registro delle Imprese, in Notariato, 2014, 487 s.; il principio di completezza delle iscrizione è divenuto diritto vivente, infatti, in un parere del Ministero dello Sviluppo Economico (prot. n. 019258 – 18.09.2012) si legge «questa amministrazione […] ha in più occasioni espresso il convincimento che il principio di tassatività delle iscrizioni […] possa cedere il passo al principio di completezza ed organicità della pubblicità (art. 8, 6° comma, l. n. 580/1993) con conseguente possibilità di iscrizione di atti o fatti per i quali la stessa non è espressamente prevista».

[155]Cass. civ., 30 maggio 2000, n. 7147, cit.; Cass. civ., 19 marzo 1984, n. 1877, in Mass. Giust. civ., 1984; conf. Cass. civ., 4 luglio 1991, n. 7354, ivi, 1991; Cass. civ., 28 agosto 1997, n. 8146, ivi, 1997, 1544.


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