CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 16/11/2015 Scarica PDF

La "nuova finanza" nella fase introduttiva del concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione dei debiti

Alessandro Farolfi, Giudice nel Tribunale di Ravenna


Sommario: 1. Il problema ed i primi interventi del legislatore in tema di finanza interinale; 2. Le modifiche in materia operate nel 2012; 3. La finanza interinale prevista dal comma 1 dell’art. 182 quinquies l.f.; 4. La riforma del 2015: profili intertemporali e modifiche introdotte in tema di finanziamenti; 5. I nuovi finanziamenti interinali urgenti; 6. Conclusioni.

 

 

1. Il problema ed i primi interventi del legislatore in tema di finanza interinale

Costituisce un rilievo diffuso quello secondo cui la riuscita di qualunque efficace programma di ristrutturazione del debito e di risanamento aziendale necessita di risorse finanziarie adeguate e, conseguentemente, dell’appoggio di finanziatori in grado di immettere liquidità (c.d. fresh money) nelle spesso esauste casse dell’impresa in crisi.

Del pari, costituisce una annotazione altrettanto ricorrente che, proprio in questa fase delicatissima – nella quale spesso si “giocano” le sorti dell’impresa e la scelta fra un piano puramente dismissivo/liquidatorio ed uno con continuità aziendale (con tutto quello che ciò comporta in termini di difesa di posti di lavoro, mantenimento degli intangibles aziendali, evitata svalutazione dell’avviamento e di altre utilità) – l’ “autodenuncia” della situazione di crisi può addirittura rappresentare un boomerang tale da determinare, all’opposto, una stretta creditizia e la prematura chiusura di rapporti di finanziamento, aperture di credito, linee di smobilizzo dei crediti.

Da qui un crescente interesse del legislatore e della dottrina per l’individuazione di misure per così dire “incentivanti”, capaci cioè di conferire “sicurezza” al soggetto finanziatore – quasi sempre bancario – in ordine alle possibilità di restituzione del prestito, soprattutto nel caso di “fallimento” del programma di risanamento.

Questa esigenza, volta a rendere in qualche modo “appetibile” la concessione del finanziamento all’impresa sull’orlo della crisi, è stata perseguita attraverso alcune disposizioni che, per restare all’oggetto della relazione assegnata, si individuano fondamentalmente negli artt. 182 quater e 182 quinquies l.f.

La prima disposizione appena ricordata è stata introdotta sin dal 2010 ed è stata incentrata soprattutto sulle esigenze finanziarie relative all’esecuzione del piano di concordato o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (al 1° comma) ed ai finanziamenti c.d. “in funzione” dell’accesso ad una di queste procedure (ai commi successivi).

Mentre il primo tipo di finanziamenti è in questa sede meno rilevante, essendo destinati ad operare dopo la chiusura della fase giudiziale della ristrutturazione (appunto dopo l’intervento del decreto di omologazione della proposta concordataria o dell’accordo di cui all’art. 182 bis l.f.) ed in quanto necessitano esclusivamente dell’inserimento espresso nel piano positivamente accolto dai creditori e la successiva omologazione, il secondo tipo di finanziamento riveste una certa importanza proprio nella fase prodromica o “introduttiva” del piano concordatario o dell’accordo.

Anche in questo caso – come per i finanziamenti “in esecuzione” – lo strumento incentivante scelto è costituito dal riconoscimento del beneficio della prededuzione, sia pure con una formula ormai ricorrente in questo tipo di disposizioni, che letteralmente si rivolge soltanto alla eventuale procedura concorsuale fallimentare che dovesse seguire – ma anche qui senza particolari indicazioni – quella nella quale si situa od in funzione della quale il finanziamento risulta erogato. La norma infatti, aspetto sul quale si ritornerà alla fine di queste considerazioni, parla letteralmente di finanziamenti “prededucibili ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111” disposizione che, per l’appunto, presuppone per operare che il programma di risanamento abbia subito un “tracollo” o sia rimasto a tal punto ineseguito da determinare il fallimento del medesimo imprenditore.

Il secondo comma dell’art. 182 quater l.f. poi, affrontando i finanziamenti “in funzione” (o secondo altra terminologia “finanziamenti “ponte”), non aiuta l’interprete se non in modo indiretto, affermando che questi ultimi “sono parificati” a quelli “in esecuzione” contemplati dal capoverso precedente. Deve pertanto ritenersi che anche questi fruiscano del beneficio della prededuzione ma alla triplice condizione che:

a) siano erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della presentazione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti;

b) siano previsti nel piano di risanamento (concordatario o di ristrutturazione del debito);

c) la prededuzione sia espressamente accordata dal provvedimento giudiziale che dispone l’ammissione alla procedura concordataria o sopraggiunga la omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei crediti (posto che in questo caso non vi è un provvedimento iniziale ammissivo ed il procedimento, pur con qualche avvicinamento, continua ad essere considerato tale da non integrare una procedura concorsuale vera e propria).

Il comma ancora successivo – in deroga alle disposizioni sulla postergazione dei finanziamenti effettuati dai soci - concede siffatto beneficio ai finanziamenti effettuati da questi soggetti, strumentalmente rispetto all’accesso a questo tipo di procedure, ma nei limiti dell’80% di quanto erogato a favore dell’impresa in crisi. Tale limite scompare nel caso in cui la qualità di socio venga acquisita dal soggetto finanziatore soltanto in esecuzione del piano medesimo (in tal caso appare infatti giustificato non prevedere alcuna limitazione al beneficio in quanto si tratta di un soggetto che non era socio nel momento in cui l’indebitamento si è formato – e quindi neppure indirettamente può essergli ascritta qualunque responsabilità in proposito -  ed inoltre dimostra di credere talmente tanto nella prospettiva del risanamento da erogare non solo il finanziamento in fase iniziale, ma dimostrare un sostegno “strutturale” all’impresa in crisi, di cui diventa socio in esecuzione del concordato).

Ovviamente il piano deve contemplare anche questo tipo di finanziamenti.

   

2. Le modifiche in materia operate nel 2012

Probabilmente a fronte di un certo insuccesso applicativo di queste disposizioni, il legislatore del 2012 è intervenuto nuovamente e, accanto alle certamente più note riforme del voto nel concordato (divenuto anche favorevolmente tacito, salvo il recentissimo ripensamento sul punto operato in sede di conversione del d.l. 83/2015) ed alla introduzione del concordato “in bianco” di cui all’art. 161 co. 6 l.f., per quanto in questa sede rileva ha:

a) abrogato il quarto comma dell’art. 182 quater l.f. che tante diatribe aveva determinato in quanto, a fronte del riconoscimento espresso della prededuzione a favore del credito maturato dal professionista asseveratore, si era immediatamente discusso circa il valore “tassativo” di tale previsione o del suo indice meramente “esemplificativo”;

b) eliminata la previsione che circoscriveva solo alle banche ed agli intermediari finanziari specializzati l’erogabilità dei finanziamenti “in funzione” suscettibili di aspirare al rango della prededucibilità (ed infatti oggi la prassi conosce frequenti casi in cui il finanziamento funzionale – ad esempio a consentire il deposito relativo alle spese di giustizia in caso di ammissione al concordato – viene erogato da soggetti terzi diversi da istituti di credito, senza che tale circostanza possa rappresentare un ostacolo al riconoscimento della prededuzione, che continua a dover essere disposta nel citato provvedimento ex art. 163 l.f.);

c) ristretto il campo dell’esclusione dal voto disposta dall’ultimo comma dell’art. 182 quater l.f., che resta perciò operativa per i finanziatori “in funzione” in generale e per i soci di cui al comma 3, ma questi ultimi soltanto nei limiti della parte prededuttiva, potendo invece votare per il restante 20% dell’importo finanziato;

d) soprattutto, inserito un nuovo art. 182 quinquies lf. dedicato alla categoria innovativa dei finanziamenti “interinali” cioè destinati ad operare fra fase introduttiva ed omologazione del concordato o dell’accordo.

   

3. La finanza interinale prevista dal comma 1 dell’art. 182 quinquies l.f.

La norma di cui all’art. 182 quinquies l.f. rappresenta, dal punto di vista dell’approvvigionamento di finanziamenti nella fase introduttiva del concordato o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, la vera novità e al tempo stesso la “scommessa” che il legislatore del 2012 ha inteso “giocare” per incentivare l’adozione di processi di ristrutturazione del debito alternativi al fallimento.

Si deve iniziare dal primo comma della disposizione appena richiamata, la quale prevede che il debitore possa ottenere in questa fase iniziale dei finanziamenti – detti appunto “interinali” - previa autorizzazione del tribunale, se un professionista asseveratore in possesso dei requisiti di indipendenza e professionalità di cui all’art. 67 co. 3 lett. d) l.f. “verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori”.

Questa tipologia di finanziamenti può quindi essere ottenuta nelle seguenti tre ipotesi:

i. dal debitore che presenta una domanda, anche ai sensi dell’art. 161 co. 6 l.f., di ammissione al concordato preventivo;

ii. dal debitore che presenta una richiesta di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti;

iii. dal debitore che formula ai creditori una proposta di accordo tendente ad ottenere l’inibitoria dalle azioni esecutive e cautelari di cui all’art. 182 bis co. 6 l.f.

Come ben si comprende, l’ipotesi sub i. riguarda espressamente anche il deposito della domanda di pre-concordato o “prenotativa” e, per chiunque abbia dimestichezza con le aule giudiziarie, può concretamente constatare come questa forma di ricorso prenotativo ad effetti “protettivi” abbia, per la semplicità del corredo documentale e delle forme richieste, del tutto soppiantato lo strumento più specifico dell’inibitoria di cui all’art. 182 bis co. 6 l.f., di cui la giurisprudenza di merito ha via via richiesto requisiti sempre più stringenti sino a renderla di assai difficile esperimento (si è detto infatti che la relativa attestazione doveva riguardare anche la veridicità dei dati aziendali, poi che la proposta di accordo doveva a tal punto essere in fase avanzata di elaborazione da potersi ritenere definitiva, ossia tale che se accettata avrebbe già determinato la conclusione dell’accordo vero e proprio, infine che dovevano essere forniti elementi concreti di prova in ordine alla “serietà” delle trattative in essere con il 60% almeno dei creditori).

Di fatto, pertanto, il ricorso di cui all’art. 181 quinquies co. 1 l.f. viene concretamente esperito soltanto nei primi due casi appena accennati, con un riferimento espresso anche all’ipotesi del concordato non solo “pieno” ma anche, semplicemente, prenotativo o “in bianco”.

Questa ultima possibilità, in uno con l’esigenza di valutare la correttezza dell’attestazione “speciale” richiesta in ordine alla funzionalità del finanziamento rispetto al migliore interesse dei creditori ha, peraltro, immediatamente posto l’esigenza pratica di avere maggiori informazioni dal debitore rispetto a quelle (ben poche) che normalmente si ritrovano nel ricorso prenotativo. Si tratta di un fenomeno che è stato efficacemente descritto come il tentativo da parte del tribunale di ottenere dati e notizie tali da “colorare” l’iniziale concordato “in bianco” facendolo divenire almeno “grigio” (cfr LAMANNA, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziaria” n. 83/2015, parte III, in www.ilfallimentarista.it ed anche ne La legge fallimentare dopo la miniriforma del d.l. n. 83/2015, Giuffrè ed.).

Il punto non è tanto la correttezza o meno di simili richieste di informazioni (su cui in linea di principio può anche convenirsi) quanto la totale mancanza di parametri normativi tali da predeterminare il tipo e le modalità di informazioni richiedibili. Ciò ha determinato prassi difformi nei diversi uffici giudiziari, tali da rendere in una certa misura imprevedibili le possibilità di accoglimento o meno dell’istanza in parola.

Sotto altro profilo, come pure giustamente si è osservato, i finanziamenti “interinali” di cui al primo comma dell’art. 182 quinquies l.f. possono essere richiesti tanto in una prospettiva di concordato con continuità aziendale tanto in un’ottica puramente liquidatoria (purchè ovviamente ciò corrisponda sempre al “migliore interesse dei creditori”). Infatti in sede di conversione della legge di riforma del 2012 è stato espunto il riferimento alle esigenze dell’attività di impresa (aspetto che invece, come si vedrà fra poco, caratterizza la finanza interinale “urgente” appena introdotta dal d.l. 83/2015).

Ci si deve perciò chiedere che cosa sia questo “best interest” dei creditori cui deve essere strumentalmente rivolta la richiesta di finanziamento in esame.

Una recente decisione di merito ha tentato di offrirne una definizione, distinguendo opportunamente il caso in cui la richiesta sia rivolta alla prossima omologa di un accordo di ristrutturazione (nel quale il piano e l’accordo risultano già normalmente completi e depositati unitamente alla richiesta di autorizzazione a contrarre il finanziamento), dalla diversa fattispecie in cui la richiesta si collochi in un alveo concordatario (pur se alcuni adattamenti devono ovviamente essere compiuti nel caso di preconcordato, giacchè in tale fase potrebbe non essere ancora sicuro l’approdo concorsuale o quello contrattuale).

L’autorevole precedente (Trib. Bergamo, 26 giugno 2014, in www.ilcaso.it) ha infatti ritenuto che “in tema di finanziamenti prededucibili di cui all’art. 182-quinquies L.F., è necessario distinguere il caso in cui l’attestazione viene resa nella prospettiva o in presenza di un piano concordatario da quella in cui si tratti di attestare la funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis L.F.”. Per poi proseguire ritenendo che, nel primo caso (ottica concordataria) “l’attestazione di cui al primo comma dell’articolo citato dovrà avere ad oggetto la convenienza per i creditori, in termini di concrete prospettive di soddisfacimento, della dilatazione dell’esposizione debitoria della società in crisi conseguente alla contrazione di debiti prededucibili…tale convenienza non può che derivare dall’entità degli utili derivanti dalla prosecuzione dell’impresa (consentita dai finanziamenti) o dall’accrescimento del valore dei beni che possono essere ultimati soltanto grazie alla finanza nuova. Allo scopo di garantire i creditori da una possibile violazione della loro garanzia patrimoniale, la convenienza dovrà, pertanto, risolversi in una prospettiva di soddisfacimento secondo percentuali più favorevoli”. Invece, nel caso di procedimento di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis l.f., “poiché gli accordi di ristrutturazione sono uno strumento di natura negoziale-privatistica, implicante la conclusione di un accordo da parte del singolo creditore aderente ed il diritto all’integrale pagamento per chi non aderisca e resti pertanto estraneo, nella redazione dell’attestazione non si porrà il problema del rispetto della garanzia patrimoniale dei creditori, in quanto ogni creditore è libero di firmare l’accordo che gli viene proposto rinunciando a parte del proprio credito o a parte della propria garanzia patrimoniale, o di restare estraneo, con la conseguente possibilità di pretendere il pagamento integrale. In tali casi, sarà, pertanto, necessario riferire il concetto di funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori ad un generico rafforzamento delle possibilità di riuscita del piano sottostante agli accordi”.

Deve ancora notarsi come la richiesta di finanziamenti interinali in commento debba essere accompagnata da un’attestazione che – oltre a rimarcare l’interesse dei creditori – prenda in esame il fabbisogno finanziario dell’impresa “sino alla omologazione”, con ciò compiendo un riferimento (e correlativamente richiedendo un maggiore sforzo analitico al professionista) ad un arco temporale che può essere assai lungo (anche di molti mesi se non un anno nella procedure più complesse, dove si possono sommare i 120 giorni iniziali e la proroga di 60 giorni per un totale di 180 giorni di preconcordato, oltre ai mesi necessari a consentire l’espletamento vero e proprio del procedimento di voto e di successiva omologazione della proposta di concordato preventivo).

Sicuramente più breve il periodo di tempo da analizzare quando l’istanza si collochi nella fase introdotta dalla domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, pur se anche in questo caso le esigenze di cui il finanziamento interinale può offrire soddisfazione appaiono non meno importanti. Sia consentito, esemplificativamente, compiere un riferimento al caso trattato dal decreto di omologazione Tribunale di Ravenna del 10 ottobre 2013 (consultabile in www.ilcaso.it). Con detto provvedimento si è affrontato il caso della ristrutturazione dei debiti della società di gestione di un porto turistico, il cui piano industriale era rappresentato dalla prosecuzione diretta di un ramo d’azienda e dalla dismissione di un imponente numero di posti barca (rispetto ai quali si sarebbe poi proseguita l’attività di assistenza ed erogazione di servizi) oltre che di un certo numero di unità immobiliari in proprietà superficiaria. Il presupposto del piano, in buona misura tale da condizionarne la stessa fattibilità giuridica, era appunto costituito dalla possibilità di disporre giuridicamente degli assets appena ricordati, possibilità che era invece messa a repentaglio dall’apertura del procedimento di decadenza amministrativa dalla concessione demaniale relativa all’arenile turistico su cui le proprietà insistevano, verificatasi a causa della crisi di liquidità cui la società era incorsa. Pertanto, nella fase introduttiva della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione concluso dalla società con tutte le banche creditrici, si è assistito alla presentazione di un ricorso ex art. 182 quinquies l.f. – contemporaneamente ai sensi del comma 1 e 4 - volto ad ottenere l’autorizzazione alla fruizione di un finanziamento prededucibile con il quale, fondamentalmente, saldare il canone demaniale impagato. L’interesse per i creditori della società era in un caso del genere assolutamente evidente, posto che la decadenza dalla concessione avrebbe sostanzialmente “azzerato” le possibilità di alienazione e quindi di soddisfacimento del ceto creditorio, e l’autorizzazione è stata pertanto concessa consentendo alla società ricorrente di onorare il debito verso l’ente portuale ed ottenere un provvedimento di archiviazione del procedimento di decadenza che è stato richiesto dal tribunale e quindi prodotto all’udienza fissata per la omologazione al fine di verificare la effettiva fattibilità giuridica del piano sotteso all’accordo di ristrutturazione.

Molti altri sarebbero certamente gli esempi applicativi nei quali la finanza interinale può giocare un ruolo certamente positivo nella fase iniziale in cui si procede alla costruzione di un piano di “salvataggio” dell’azienda o di un efficiente programma di liquidazione dei beni; al tempo stesso è evidente che questa fase ha necessità di essere affrontata in tempi brevissimi, molto spesso ulteriormente compressi dal ritardo con il quale l’imprenditore debitore matura consapevolezza della propria “crisi” e decide di affrontarla in modo idoneo. D’altra parte, la necessità del controllo giudiziale appare comunque indispensabile al fine di evitare che iniziative avventate, l’assunzione di finanziamenti non funzionali alla soluzione della crisi, una sorta di “accanimento terapeutico” che l’imprenditore può spesso essere portato a perseguire anche “negando l’evidenza”, si risolvano in eventi che producono effetti negativi sia verso il soggetto finanziatore che nei confronti dei creditori anteriori.

E tuttavia, come si è cercato di evidenziare, una prassi interpretativa non certo favorevole all’istituto nella fase del pre concordato e soprattutto l’assenza di indicazioni normative circa le informazioni ulteriori che l’organo giudiziario può richiedere oltre all’attestazione specifica prevista dalla norma ha indotto atteggiamenti quantomeno prudenti da parte degli operatori, soprattutto bancari, per il rischio che la prosecuzione dell’attività metta a repentaglio le possibilità di restituzione del prestito o che ex post l’intervenuto fallimento dell’impresa possa consentire una revisione del giudizio di funzionalità in sede di formazione dello stato passivo, con una inizialmente non pronosticabile degradazione della prededuzione in chirografo (critica questa possibilità GALLETTI, La prededuzione nel concordato preventivo: equivoci legati ad una formulazione ellittica?, in www.ilfallimentarista.it, ritenendo che la prededuzione costituisca ormai un requisito sostanziale del credito dispensato dalle norme che espressamente la prevedono).

   

4. La riforma del 2015: profili intertemporali e modifiche introdotte in tema di finanziamenti

Nel tentativo di correggere alcuni difetti applicativi della disposizione contenuta nel comma 1 appena citato e con il palesato intento di favorire ulteriormente le possibilità di accesso “sicuro” al credito da parte dell’impresa in crisi, è da ultimo intervenuto il legislatore della ennesima riforma estiva, attraverso la conversione in legge, con molteplici modificazioni, del d.l. 27 giugno 2015, n. 83 ad opera della legge 6 agosto 2015, n. 132.

Si può anzi dire che questa finalità è stata talmente presente che – differentemente da molte altre disposizioni, letteralmente “stravolte” in sede di conversione – l’art. 1 del d.l. 83/2015 è rimasto sostanzialmente inalterato nel passaggio alle camere e che, ulteriormente, la complessa norma transitoria di cui all’art. 23 ha ribadito che detta disposizione può applicarsi anche ai procedimenti in corso.

Pertanto, mentre le maggiori innovazioni in tema di concordato (in particolare l’introduzione della “soglia minima” del 20% per il concordato liquidatorio ed il voto favorevole dei creditori necessariamente palese) si applicheranno soltanto ai procedimenti di concordato “introdotti” dopo l’entrata in vigore della legge di conversione, l’art. 1 rubricato “finanza interinale” e contenente modifiche all’art. 182 quinquies l.f. può dispiegare i propri effetti anche rispetto alle procedure anteriori.

Ancora un accenno sia consentito al tema dell’ambito di applicazione temporale della riforma, per la sua centralità in questa fase iniziale. L’espressione “procedimenti di concordato” utilizzata dall’art. 23 appare in effetti sufficientemente generica da ricomprendere anche il preconcordato, che rappresenta pur sempre una fase della procedura concordataria che inizia con ricorso e comporta l’emissione di un provvedimento del tribunale con possibilità di nomina immediata del Commissario giudiziale. Del pari, il verbo “introdotti” - utilizzato dal legislatore in modo distonico rispetto ad altre disposizioni (ove si parla di ammissione o di pubblicazione della domanda) - sembra lasciare trasparire la sufficienza del semplice “deposito” del ricorso da parte dell’imprenditore, non volendosi addossare allo stesso eventuali ritardi da parte dell’ufficio giudiziario, soprattutto considerando il periodo estivo in cui la riforma è intervenuta. Può perciò ritenersi che le nuove norme si applicheranno totalmente ai procedimenti iniziati anche soltanto con ricorso ex art. 161 co. 6 l.f. depositato a partire dal 21 agosto scorso, mentre i ricorsi precedenti avranno un effetto per così dire “prenotativo” non soltanto ai fini della tendenziale cristallizzazione dell’attivo e del passivo concordatario, ma anche della stessa disciplina applicabile alla procedura (in questi termini anche AMBROSINI, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in www.ilcaso.it).

Ma, come si è detto, non è questo il caso della finanza interinale modificata o introdotta dall’art. 1 del d.l. 83/2015 che è, infatti, espressamente prevista come applicabile anche ai procedimenti in corso (anche soltanto nella fase “in bianco” o prenotativa per quanto riguarda il concordato) al 27 giugno scorso.

Le modifiche introdotte dalla riforma estiva, con riguardo al tema assegnato, sono di tre tipi:

a) in primo luogo nel comma 1 del già più volte citato art. 182 quinquies l.f. si introduce l’espressione “anche prima del deposito della documentazione di cui all’art. 161, comma secondo e terzo”; tale disposizione può sicuramente ritenersi in linea di principio pleonastica (come è stato notato dai primi commentatori) visto che il testo in cui si inserisce afferma esplicitamente che il finanziamento interinale prededucibile, “attestato” come rispondente al migliore interesse dei creditori, può essere richiesto anche semplicemente dopo il deposito di un ricorso ex art. 161 co. 6 l.f.  Tuttavia, proprio il fatto che il legislatore abbia inteso ribadire in modo espresso la possibilità di accedere all’istituto dei finanziamenti interinali nella fase del preconcordato, ma con un’accentuazione fraseologica dal punto di vista del corredo documentale in quel momento utilizzabile dal Tribunale, acquista un doppio significato, ad avviso di chi scrive: - che in un senso più minimale la fase in “bianco” non è di per sé motivo di rigetto dell’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione in parola; - secondo una portata più ampia, imposta da un’interpretazione “conservativa” della norma (secondo cui alla stessa va dato il senso cui corrisponde un qualche effetto e non l’assenza di effetti in quanto totalmente già previsti da disposizioni precedenti), la nuova disposizione  sta inoltre a significare che non è possibile condizionare la concessione o meno dell’autorizzazione alla produzione degli stessi documenti – dal punto di vista sostanziale – di quelli previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 161 l.f. e, quindi, ad esempio, ferma la natura “aggravata” dell’attestazione circa la rispondenza al migliore interesse dei creditori dell’erogando finanziamento, non si potrà però pretendere che la stessa abbracci il piano nella sua integralità od abbia quel grado di approfondimento che invece dovrà avere l’attestazione “definitiva” di cui all’art. 161 co. 3 l.f.;

b) al divenuto comma 4 dello stesso art. 182 quinquies l.f. si è poi prevista – oltre alla possibilità già consentita di autorizzazione a concedere pegno od ipoteca a garanzia della restituzione del prestito prededucibile – l’opportunità di offrire un tipo ulteriore di garanzia, rappresentata dalla cessione di crediti; poco v’è da aggiungere al riguardo in questa sede, se non annotare l’evidente intenzione del legislatore di favorire il ricorso virtuoso a questo tipo di finanziamenti, consentendo il rilascio di una forma di garanzia non reale ma basata sullo stesso credito commerciale dell’azienda o di terzi (non è infatti posta alcuna limitazione pur se si deve ritenere che la cessione di crediti da parte di terzi, a rigore, non debba neppure essere autorizzata) considerato che in una situazione di crisi prodromica all’ingresso in procedura i crediti verso terzi rappresentano in alcuni casi gli unici assets “liberi” su cui l’imprenditore può contare (ed il soggetto finanziatore può aspirare a veder costituiti in garanzia);

c) la riforma introduce, poi, un nuovo comma 3 nella stessa disposizione, così da disciplinare un ulteriore tipo di finanza interinale, caratterizzata dall’urgenza e dalla sua funzionalità rispetto alle esigenze dell’attività aziendale. Per la sua importanza, questa innovazione necessita di alcune considerazioni più approfondite.

   

5. I nuovi finanziamenti interinali urgenti

I finanziamenti disciplinati dal nuovo comma 3 dell’art. 182 quinquies l.f., così come introdotto dal d.l. 83/2015, appaiono caratterizzati dalla urgenza e dalla loro funzionalità rispetto alle esigenze dell’attività di impresa.

Da questo punto di vista la norma appare sufficientemente chiara e consente di individuare i seguenti elementi di differenziazione rispetto ai finanziamenti interinali di cui al primo comma:

a) il nuovo finanziamento si caratterizza in primo luogo per l’urgenza del fabbisogno che è rivolto a soddisfare; non si può certo escludere che anche gli apporti di liquidità consentiti dal comma 1 possano soddisfare urgenti necessità aziendali e, tuttavia, la marcata urgenza che caratterizza la “nuova finanza” disciplinata dalla disposizione appena introdotta appare caratterizzata da esigenze talmente pressanti che portano a poter fare a meno della relazione di attestazione specifica ed “appesantita” richiesta invece dal primo comma dell’art. 182 quinquies l.f.;

b) mentre i finanziamenti autorizzati di cui al primo comma dell’art. 182 quinquies l.f. possono essere concessi sia ad un’impresa in continuità che ad un soggetto economico che abbia ormai abbracciato un’ottica puramente liquidatoria (si veda l’annotazione critica di LAMANNA, cit., p. 8, in ordine al fatto che in sede di conversione del d.l. 83/2012 scomparve il riferimento all’attività aziendale), l’immissione urgente di nuova finanza consentita dall’addendum del 2015 - in quanto funzionalmente rivolta a soddisfare le urgenti necessità di un’attività aziendale in corso – non può trovare spazio ove tale attività si sia arrestata o sia cessata, ovvero sia già stata adottata una prospettiva di soddisfacimento dei creditori affidata alla semplice liquidazione dei beni aziendali: da questo punto di vista, pertanto, al pari del comma 5 dello stesso art. 182 quinquies l.f. relativo al pagamento dei creditori “strategici”, l’area di applicabilità dei nuovi finanziamenti interinali presuppone una soluzione concordataria in continuità (anche in una versione provvisoria preconcordataria) o affidata ad un accordo di ristrutturazione dei debiti. Può farsi l’esempio di un finanziamento prededucibile che consenta di portare urgentemente a termine i semilavorati necessari ad onorare una commessa in corso, spuntando in questo modo un prezzo di realizzo maggiore ed evitando al contempo l’applicazione di penali, richieste risarcitorie, rischio di invenduto, ecc..; può ancora farsi l’esempio di un finanziamento necessario al pagamento di utenze per crediti maturati dopo il deposito del ricorso ex art. 161 co. 6 l.f., quando l’inadempienza possa comportare il blocco degli impianti e causare danni a volte anche notevoli (si pensi alla interruzione del “ciclo del freddo” nel settore agroalimentare o ad altre attività caratteristiche che richiedano la costante erogazione di energia); ancora è possibile ipotizzare situazioni nelle quali il finanziamento urgente consenta di evitare la risoluzione di un rapporto di leasing in corso ed orami prossimo al riscatto, risultando in qual caso conveniente per l’imprenditore in crisi portare a termine il rapporto ed acquisire con una spesa contenuta un asset di valore molto superiore da destinare ai creditori. Gli esempi ipotizzabili sono senza dubbio molteplici, ma con riferimento al comma 3 appena introdotto, sempre presuppongono l’esercizio di un’attività di impresa in continuità, differentemente – come già sottolineato – dall’ipotesi di finanziamento prededucibile attestato di cui al precedente comma 1 della stessa disposizione normativa;

c) in terzo luogo, poi, l’orizzonte temporale di intervento della nuova disposizione è sicuramente più limitato: mentre, infatti, i già esistenti finanziamenti interinali presuppongono una valutazione del fabbisogno finanziario del debitore sino alla omologazione, nella nuova disposizione, coerentemente alla natura urgente del finanziamento, è sufficiente considerare (ma questo è anche un limite di autorizzabilità) la scadenza del termine di cui all’art. 161 co. 6 l.f. o l’udienza fissata per la omologazione dell’accordo di cui all’art. 182 bis l.f.; si può pertanto ritenere che dopo l’ammissione alla procedura di concordato non sia possibile ricorrere al nuovo strumento di finanziamento, dovendosi invece necessariamente richiedere eventuali autorizzazioni alla contrazione di finanziamenti prededuttivi post ammissione in base al combinato disposto dell’art. 182 quinquies co. 1 e 167 l.f.

Urgenza tale da escludere la necessità dell’attestazione, stretto nesso di funzionalità con le esigenze dell’attività aziendale in corso e ambito temporale di intervento più limitato, appaiono pertanto gli elementi volti a differenziare i nuovi finanziamenti introdotti dalla riforma del 2015 rispetto a quelli già consentiti dalle disposizioni precedenti.

Dal punto di vista dei requisiti della domanda, tuttavia, la norma appare assai meno nitida: si è già rilevato che la richiesta di autorizzazione alla concessione urgente di nuova finanza non richiede alcuna attestazione (diversamente dal co. 1 cit.). Tuttavia il ricorrente dovrà allegare (deve ritenersi in modo specifico e non del tutto generico ed avulso dalla propria realtà organizzativa e produttiva):

i. la destinazione che il finanziamento richiesto riceverà (è infatti intuitivo che senza questa indicazione non sarebbe neppure possibile un controllo giudiziale in ordine alla inerenza dell’apporto finanziario rispetto alle esigenze dell’impresa);

ii. che il debitore non è in grado di reperire altrimenti tali finanziamenti;

iii. che in assenza del finanziamento richiesto “deriverebbe un pregiudizio imminente ed irreparabile all’azienda” (aspetto che rafforza la funzionalità alle esigenze aziendali dell’apporto urgente di finanza).

 

Dal punto di vista processuale ci si trova di fronte ad un ricorso rivolto al Tribunale che deciderà necessariamente in forma collegiale, visto l’ambito temporale in cui tale istanza può collocarsi, ex art. 161 co. 7 l.f. o in virtù dello stesso art. 182 bis l.f.

Il collegio decide in camera di consiglio “entro dieci giorni dal deposito dell’istanza di autorizzazione” con un decreto che appare reclamabile ai sensi dell’art. 26 l.f. ma non ricorribile per Cassazione, se si andrà consolidando quanto recentemente affermato dal S.C. con riguardo alla materia delle istanze di scioglimento dai rapporti contrattuali pendenti, di cui all’art. 169 bis l.f. Anche in quel caso, infatti, la reiterabilità della richiesta in caso di rigetto e l’assenza di un effetto di giudicato ha condotto i giudici di legittimità ad affermare che: “il ricorso straordinario per cassazione a norma dell'articolo 111 Cost. è proponibile esclusivamente avverso provvedimenti definitivi, non revocabili, che decidono su richieste non reiterarli; detto strumento di impugnazione non è quindi esperibile nei confronti dei provvedimenti assunti a norma dell'articolo 169-bis L.F. sulla richiesta del debitore di essere autorizzato alla sospensione o allo scioglimento dei contratti in corso” (Cass. 3 settembre 2015, n. 17520).

E’ previsto che il tribunale possa assumere “sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione”. Trattasi evidentemente di prescrizione che viene in rilievo nella fase del concordato c.d. “in bianco”, posto che dopo il deposito del ricorso per l’omologazione dell’accordo o nei rari casi in cui ci si trovasse in pendenza del termine di inibitoria dalle azioni esecutive o cautelari di cui all’art. 182 bis co. 6 l.f. il piano sarebbe già compiutamente prefigurato.

Il Commissario giudiziale, se già nominato, deve essere necessariamente sentito – stante la formulazione della norma – mentre vi è la mera facoltà per il Tribunale e non l’obbligo di “sentire” i maggiori creditori, senza particolari formalità. Di fatto, appare verosimile ritenere che quando qualche informazione da terzi debba essere richiesta l’organo giudiziario potrà, stante l’urgenza di questo tipo di istanze, utilizzare la longa manus del commissario giudiziale, che riporterà nel proprio parere scritto le notizie o le informazioni rilevanti comunque acquisite, appunto “senza formalità”.

Il termine di 10 giorni previsto dalla norma appare un termine ordinatorio e non perentorio, anche in ragione del possibile approfondimento istruttorio necessario a decidere sull’istanza.

Discutibile appare il riferimento al “pregiudizio imminente ed irreparabile” che senza il finanziamento richiesto l’azienda potrebbe subire. Da un lato, infatti, a seconda che tale espressione si interpreti come richiedente una sorta di “autocertificazione” del ricorrente piuttosto che come presupposto di cui fornire una prova specifica ulteriore, appare evidente che lo spazio applicativo della nuova disposizione – contrariamente alle sue finalità – può essere assai ristretto se non annullato. Dall'altro, trattasi di una duplicazione in negativo di un presupposto positivo che l’istanza deve invece – questo sì – puntualmente indicare ed almeno presuntivamente dimostrare: la funzionalità della nuova finanza rispetto a “urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendali” (così nella prima parte del nuovo co. 3 che si commenta). In un terzo ordine di ragioni, sul piano processuale, il riferimento al danno “imminente ed irreparabile” evoca un concetto proprio del ricorso ex art. 700 c.p.c. (ed in questo senso infatti sembra andare il commento di BOTTAI, Speciale decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/20915: i finanziamenti interinali, in www.ilfallimentarista). Tuttavia, mentre nel caso del ricorso ex art. 700 c.p.c. si è di fronte ad una tutela cautelare atipica ed innominata, strumentale ad assicurare la fruttuosità di un futuro (seppure solo eventuale) giudizio di merito, nel caso di specie non sembra che questo tipo di istanza abbia alcunchè di strumentale rispetto a quella di cui al comma 1. Benchè si sia dubitato del contrario (ed anche alla luce di un passo della relazione di accompagnamento) non sembra infatti necessario che una volta ottenuta l’autorizzazione al finanziamento urgente di cui all’art. 182 quinquies co. 3 occorra poi far seguire una più ampia ed attestata richiesta di autorizzazione ai sensi del comma 1 della stessa disposizione. In ogni caso, come sopra si è cercato di dimostrare, i presupposti applicativi sono diversi ed almeno in parte non coincidenti.

Se questa formulazione della nuova norma, quindi, non sembra aiutare particolarmente l’interprete, l’ultima parte del comma 3 raggiunge un risultato addirittura paradossale. Affermando infatti che “la richiesta può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda” la nuova disposizione rischia di capovolgere un risultato sufficientemente consolidato nella giurisprudenza di merito in ordine alla distinzione fra atti di ordinaria amministrazione (che nella fase di pre concordato non necessitano di autorizzazione) ed atti di straordinaria amministrazione, che un assenso giudiziale richiedono per poter essere opponibili agli altri creditori e produrre gli effetti legalmente previsti, fra cui in particolare il beneficio della prededuzione.

La prima giurisprudenza formatasi in tema di art. 161 co. 7 l.f. sembrava aver raggiunto una certa stabilità sul fatto che la prosecuzione degli affidamenti e delle linee di credito autoliquidanti già antecedentemente operative non fosse atto di straordinaria amministrazione – a differenza della concessione di nuovo credito – trattandosi pur sempre di variazioni interne ad una provvista già concessa (cfr. Trib. Milano, 30/5/2013, che ha ritenuto atto di ordinaria amministrazione la “prosecuzione di contratti di affidamento se gli stessi permangono negli stessi limiti di fido e alle stesse condizioni già applicate anteriormente al deposito della domanda”; nello stesso senso Trib. Terni, 12/10/2012).

La parte finale della nuova prescrizione sembrerebbe invece, letteralmente, rimettere in discussione simile approdo. Tale conclusione dovrebbe scongiurarsi, ove si consideri la formulazione esemplificativa e non precettiva della norma, non accompagnata da sanzione, ed ove si tenga ben presente, in chiave teleologica, che l’intento del legislatore è stato quello di ampliare il “catalogo” dei finanziamenti richiedibili dall’imprenditore in crisi e non certamente quello di rendergli “le cose ancora più difficili”. Una interpretazione “estensiva” del ricorso all’autorizzazione giudiziale a casi pacificamente rientranti fra gli atti di ordinaria amministrazione, pertanto, si porrebbe apertamente in senso contrario alla ratio legis che ha ispirato la riforma. E tuttavia un simile approdo interpretativo non può escludersi a fronte di un dato testuale quantomeno equivoco.

   

6. Conclusioni

In un recente commento alla “miniriforma” 2015 (BOTTAI, cit.) si compie un interessante riferimento ad un saggio di IRTI, dal titolo “Il diritto incalcolabile” che mette in luce come una analisi economica di norme dal contenuto equivoco, testualmente interpretabili in senso contrario alle finalità perseguite, consenta di evidenziare un serio problema per gli operatori derivante dalla non prevedibilità della risposta giudiziaria e delle possibili applicazioni delle nuove disposizioni. A dispetto, pertanto, della finalità volta a volta perseguita, istituti giuridici introdotti con una tecnica normativa contenente aporie e dal significato incerto producono un solo risultato significativo: quello di allontanare gli operatori dal loro utilizzo concreto, in barba – per restare al tema assegnato - alla presunta finalità di rendere sicuri ed appetibili i finanziamenti nella fase introduttiva dei programmi di ristrutturazione del debito.

Da questo punto di vista, e pure se il tema meriterebbe ben altro approfondimento rispetto allo spazio consentito, la stessa formulazione “ellittica” dell’attribuzione della prededuzione (per riprendere l’espressione utilizzata in un recente saggio già citato di GALLETTI), con i rischi e i risultati imprevedibili per gli operatori che questo può comportare a seconda delle interpretazioni volta a volta condotte “ai sensi dell’art. 111 l.f.” (ad esempio ove si intenda tale espressione come allusiva ad una procedura fallimentare necessariamente in consecuzione e non ad altra che pur relativa ad una medesima insolvenza giunga a distanza di tempo non irrilevante) rende probabilmente maturi i tempi per una distinzione concettuale fra prededuzioni “deboli” - ossia collegate ad un crisma di mera legalità fattuale dell’atto generatore del credito, che dovrà evidentemente essere dimostrata e verificata in sede di formazione dello stato passivo – e prededuzioni “forti”. In questa seconda categoria, caratterizzata dal fatto che la prededucibilità del credito risulta inscindibilmente collegata ad un provvedimento giudiziale autorizzativo o di omologazione, normalmente collegiale, dovrebbe necessariamente concludersi per l’impossibilità di rimettere in discussione tale qualità del credito (appunto già riconosciuta ope judicis). In questo modo proprio la tematica dei finanziamenti all’impresa in crisi potrebbe ritrovare una sua coerenza, tale da propiziarne la concessione da parte di soggetti bancari o finanziatori terzi con la sicurezza che – una volta superato il vaglio giudiziale di autorizzazione volta a volta richiesto perché funzionale o utile all’impresa o comunque concesso nel migliore interesse dei creditori – non vi sarà spazio per una ridiscussione di quella qualità, con tutti i rischi e le incognite che ciò può comportare e che, in ultima istanza, produce soltanto una maggiore imprevedibilità delle soluzioni volta a volta adottate ed una più complessiva inefficienza del sistema.



[1] Schema scritto della relazione tenuta il 16 ottobre 2015 al convegno “La riforma delle procedure concorsuali e delle esecuzioni individuali” in Rimini.


Scarica Articolo PDF