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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/12/2015 Scarica PDF

Il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. nel concordato preventivo

Mauro Martinelli, Giudice


1. Premessa; 2. Natura giuridica del vincolo di destinazione; 3. Meritevolezza degli interessi del vincolo nel concordato preventivo; 4. Vincolo autodestinato; 5. Vincolo eterodestinato; 6. La revocabilità del vincolo di destinazione; 7. Figure affini: il trust e l’ipoteca volontaria a favore dei creditori concordatari.


     

1. Premessa

L’art. 2645 ter c.c. - introdotto nel codice civile dal decreto legge 30 dicembre 2005 n. 273, convertito dalla Legge 23 febbraio 2006 n. 51 - consente la destinazione vincolata di una massa patrimoniale che, pur restando nella titolarità giuridica del conferente, rimane - per la durata stabilita - separata rispetto al suo patrimonio, in virtù del vincolo di destinazione impresso, reso opponibile ai terzi con la trascrizione. Ne consegue che i beni vincolati sono aggredibili solo in virtù di ragioni di credito sorte in funzione dello scopo di destinazione programmato.

Questo contributo vuole essere spunto per riflettere sulla possibilità di ricorrere a tale istituto come rimedio alla crisi d'impresa, valutando in particolare la sua compatibilità con il concordato preventivo. Infatti, è sempre più frequente l’utilizzo di atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c. da parte di imprese in crisi, al fine di consentire il buon esito delle procedure concorsuali alternative al fallimento.

L’atto di destinazione può essere costituito direttamente da parte dell’impresa in crisi sui propri beni - prima del deposito della domanda concordataria - al fine di destinarli al soddisfacimento delle ragioni creditorie (c.d. autodestinazione), oppure ad opera di terzi – i quali evidentemente hanno interesse al buon esito della procedura - per offrire nuova finanza ovvero garanzie in supporto alla proposta del debitore concordatario (c.d eterodestinazione).

In merito alla struttura, la dottrina distingue altresì tra destinazione statica e dinamica. Nel primo caso, i beni - separati dal restante patrimonio - rimangono nella titolarità del conferente, sia esso lo stesso imprenditore in crisi ovvero un terzo. Il vincolo si risolve dunque nell'amministrazione dei beni destinati in vista della realizzazione dello scopo - e nella loro espropriabilità solo per crediti sorti in funzione di esso - senza comportare il trasferimento al beneficiario della massa destinata[1].

La destinazione è dinamica, invece, quando all’effetto di destinazione si accompagna l’effetto traslativo del diritto dalla sfera giuridica del soggetto destinante a quella del destinatario dell’attribuzione[2]. In tal caso, il trasferimento non è dotato di causa autonoma, ma deve essere strumentale alla realizzazione dello scopo di destinazione e, come tale, meritevole di tutela.

Non v'è dubbio che l'effetto di questi vincoli sia, in concreto, la sottrazione dei beni al ceto creditorio particolare del disponente, bloccando le azioni individuali dei creditori.

L’utilizzo di tale istituto potrebbe rivelare, pertanto, finalità fraudolente volte a sottrarre la garanzia costituita dal patrimonio ex art 2740 c.c.

A fronte di un uso distorto del vincolo di destinazione nel concordato ci si chiede se sia esperibile l’azione revocatoria ordinaria ex 2901 c.c., ovvero l’inopponibilità ex art. 2929 bis c.c. ai creditori pregiudicati già muniti di titolo esecutivo, nonché l’inefficacia ex art. 64 l.f. e se, in queste ipotesi, il concordato possa venire meno a causa di una sopravvenuta infattibilità, portando alla sua inammissibilità, revoca ex art. 173 l.f., non omologazione o risoluzione per inadempimento ex art. 186 l.f., a seconda della fase in cui si trova la procedura.

   

2. Natura giuridica del vincolo di destinazione

Ci si è innanzitutto chiesto se l’art. 2645 ter c.c. sia una norma sulla fattispecie ovvero una norma sugli effetti, ossiaabbia o meno natura sostanziale.

Secondo la teoria della norma sugli effetti - avvalorata dal Tribunale di Reggio Emilia con provvedimento del 7 giugno 2012 e confermata dallo stesso con Decreto del 27 gennaio 2014 -   l’art.  2645   ter  c.c. non avrebbe introdotto nel nostro ordinamento, in termini generali e astratti, la figura del negozio di destinazione[3] ; esso disciplinerebbe un peculiare tipo di effetto negoziale - la destinazione - necessariamente accessorio rispetto agli altri effetti del negozio cui esso deve immancabilmente accompagnarsi. La sua collocazione - capo I del Titolo I del Libro VI - confermerebbe la tesi, così come l’approssimazione e scarsa chiarezza del testo legislativo, riducendosi invero la norma a sole prescrizioni di forma e di durata della trascrizione e difettando di qualsiasi elemento sostanziale.

Ne consegue che l’atto destinatorio dovrebbe accedere - per la sua validità - ad altro negozio traslativo dotato di causa negoziale autonoma.

Tuttavia è nettamente prevalente la tesi che ricostruisce l'art. 2645 ter come una norma sostanziale, sebbene lacunosa e di impropria collocazione[4]: una norma sulla fattispecie.

Il dato sarebbe dimostrato dalle specifiche previsioni in tema di durata del vincolo, di forma solenne, di azioni a tutela del beneficiario e di meritevolezza dell’interesse disciplinati nell’art.  2645   ter  cod. civ., aspetti tutti che certamente non riguardano i meccanismi della pubblicità.[5]

Inoltre, la possibilità di destinare anche beni mobili iscritti in pubblici registri sarebbe del tutto incompatibile con la collocazione della disposizione nell'ambito della disciplina della trascrizione immobiliare, se realmente essa dovesse intendersi quale norma "sugli effetti".[6]

Dalla qualificazione dell'art. 2645 ter c.c. come norma sulla fattispecie deriva poi che i suoi  connotati tipici - ovvero la presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, la forma dell'atto pubblico e la necessità di porre a fondamento della destinazione un interesse meritevole di tutela - attengono necessariamente al piano della validità del negozio e non solo a quello della pubblicità. In difetto di tali elementi, perciò, l'atto di destinazione dovrà essere ritenuto invalido.

Si ritiene dunque che la norma de qua abbia reso finalmente configurabili ipotesi atipiche di destinazione patrimoniale, purché meritevoli[7], non mancando però di sancirne gli aspetti effettuali, legati alla pubblicità ed alla sua opponibilità ai terzi.

Il richiamo operato dal legislatore all’art. 1322, secondo comma, c.c.  consente invero di affidare all’autonomia privata la costituzione di rapporti giuridici patrimoniali a carattere obbligatorio, anche qualora si traducano nell’imposizione del dovere di destinare un proprio bene per un determinato periodo a beneficio della controparte.

Ne discende che il disponente si vincolerà a destinare al beneficiario i propri beni per un certo periodo di tempo, per uno scopo meritevole di tutela, senza che il bene gli venga materialmente trasferito. 

Invero, non sarebbe possibile concludere contratti atipici ex art. 1322 c.c. con effetti reali, posto lo stretto regime di tipicità dei diritti reali, circoscritti in un numerus clausus. La norma in esame poi è totalmente indeterminata quanto al contenuto, estensione del diritto e modalità del suo esercizio, quindi in ogni caso non potrebbe mai essere costitutiva di un nuovo diritto reale[8].

L’ammissibilità di tali atti si legherà poi all’esito proficuo del giudizio di meritevolezza che sarà condotto sulla causa della destinazione impressa al singolo atto.

Spetta dunque al giudice l’onere di valutare caso per caso l’idoneità dell’interesse in concreto protetto dal vincolo di destinazione, confermando anche il definitivo recepimento della teoria della causa concreta, poiché è nel singolo atto che si troverà la causa della destinazione perseguita dalle parti.

   

3. Meritevolezza degli interessi del vincolo nel concordato preventivo

L’art. 2645 ter c.c., così come ricostruito, subordina dunque l’ ammissibilità del negozio destinatorio alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela - specificati come “riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma” – i quali assolverebbero il compito di regolare il profilo causale del negozio.

Della locuzione e dei vari diversi centri di riferimento degli interessi che essa prevede è stato rilevato il carattere confuso, eterogeneo e discutibile anche sotto il profilo terminologico[9]. Permane dunque il compito dell'interprete di ricercare l'esatto significato da attribuire alla disposizione de qua, interrogandosi sui parametri necessari ad espletare la selezione di tali interessi.

Secondo un primo orientamento, gli scopi per il cui perseguimento è ammessa la costituzione di vincoli destinatori sembrerebbero contemplati - sul piano strettamente testuale - con riferimento a talune categorie delimitate di beneficiari, come gli enti o le amministrazioni che perseguono istituzionalmente la cura d'interessi di "persone con disabilità".  Stante la specificazione iniziale contenuta nell'art. 2645 ter c.c., infatti, gli interessi di "solidarietà sociale" potrebbero rappresentare il limite interpretativo alla indiscriminata costituzione di patrimoni destinati atipici: il sacrificio imposto ai creditori dal ricorso alla destinazione negoziale sarebbe così sostenibile solo se la dimensione dell'interesse non sia lasciata al libero gioco di particolari desideri, anche futili e mutevoli, ma si saldi a esigenze di  pubblica utilità.

Tuttavia, tale ricostruzione comporterebbe una interpretazione parziale della disposizione, la quale è completata dalla successiva locuzione “o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322 comma II”, la quale di fatto amplia in modo indefinito lo spettro degli interessi idonei a giustificare l’opponibilità del vincolo de quo.

Secondo altra interpretazione, inoltre, non è rilevante se l'interesse sia generale o individuale - ben potrebbe essere utilizzato anche per il perseguimento di interessi prettamente patrimoniali e per finalità lucrativo-speculative - ma se esso sia o meno attuativo di valori fondamentali costituzionalmente protetti (salute, famiglia, impresa, lavoro, dignità e personalità umana, risparmio). Ciò che rileva è in sintesi la intrinseca liceità dell’interesse, intesa come non contrarietà ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, e non il suo assolvere finalità sociali. Ne consegue che la meritevolezza viene a coincidere con la mera liceità dell’interesse, ed è valutata in sé, senza alcun giudizio comparativo. Essa incide sulla causa del contratto ed è, dunque, sua condizione di validità ed efficacia.

Parte della dottrina ritiene[10], in base a ciò, che l'interesse meritevole di tutela ex art. 2645 ter c.c. sussista in re ipsa nel concordato: è il legislatore della recente riforma fallimentare che, al fine di evitare l’estinzione dell'impresa – considerata la sua tutela un valore costituzionalmente riconosciuto - incentiva il salvataggio tramite l’avvio di procedure concorsuali alternative, relegando il fallimento ad extrema ratio.

In senso conforme si è espressa parte della giurisprudenza di merito, la quale ha contestato la tesi di chi ha ritenuto di far coincidere la meritevolezza dell’interesse con la pubblica utilità.

Il Tribunale di Lecco, con sentenza del 26 aprile 2012, ha affermato che la finalità di assicurare un soddisfacimento proporzionale ai creditori non assistiti da prelazione viene ritenuta degna di riconoscimento e dunque meritevole di tutela (“considerato quindi senza limiti il rinvio alla meritevolezza ex art. 1322 comma 2 cod. civ. ed evitando di addentrarsi nel dibattito sulla definizione di tale ultima nozione, questo Collegio nota che senza dubbio la finalità perseguita nel caso di specie, che consiste nell’assicurare una soddisfazione proporzionale ai creditori non ancora muniti di cause di prelazione, deve reputarsi degna di riconoscimento dall’Ordinamento”)[11]; il Tribunale di Prato - con sentenza n. 942/2015 del 12 agosto 2015 - ha ritenuto[12] non legittimo delimitare gli interessi che i privati possano perseguire costituendo tale vincolo, osservando che la soddisfazione dei creditori concordatari deve reputarsi degno di riconoscimento e di tutela da parte dell’ordinamento, sia secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 1322 c.c., sia in adesione all’orientamento della Corte di Cassazione in merito alla coincidenza della immeritevolezza con l’illiceità dell’interesse perseguito, ovvero la sua contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume[13]; ribadendo come una ricostruzione di tipo restrittivo della meritevolezza degli interessi ex art. 1322 c.c. sarebbe incompatibile con altri istituti di matrice internazionale, quali, in primis, il trust.

Tuttavia, sebbene tale ricostruzione non sia priva di pregio - e pur condividendo che la meritevolezza non possa identificarsi unicamente con esigenze connesse alla pubblica utilità dato l’esplicito richiamo operato all’art. 1322, secondo comma, c.c. - si ritiene di condividere quell’orientamento che conferisce al giudizio di meritevolezza un rilievo per così dire “relazionale”[14], nel senso di realizzare una valutazione comparativa tra l’interesse sacrificato e l’interesse di volta in volta realizzato con l’atto di destinazione, valorizzando il fatto che una diversa lettura potrebbe portare a ritenere che ogni interesse non contrario all’ordinamento giustifichi una separazione patrimoniale - senza alcun vaglio di ragionevolezza del vincolo apposto - introducendo dunque uno strumento di deroga all’art. 2740 c.c. irragionevole e indeterminato.

In realtà il legislatore, muovendo da una concezione più liberale dell’ordinamento giuridico maturata negli ultimi anni, ha soltanto delegato all’interprete - attraverso il richiamo all’articolo 1322 del codice civile - l’onere di valutare caso per caso l’idoneità dell’interesse in concreto protetto dal vincolo di destinazione a giustificare la limitazione di responsabilità che dal vincolo medesimo consegue.

In quest’ottica, la mera liceità del fine di destinazione sembra da sola insufficiente ad esprimere una compiuta valutazione di meritevolezza, occorrendo anche il quid pluris della legittima prevalenza dell’interesse realizzato rispetto all’interesse sacrificato dei creditori del disponente estranei al vincolo.[15]

Nel caso del vincolo di destinazione posto all’interno di una procedura concordataria, in particolare, la meritevolezza dell’interesse sottostante al vincolo non può essere valutata ex se solamente per il suo accedere ad una procedura concordataria – che si tradurrebbe in una valutazione tautologica - ma deve essere valutata in relazione agli altri interessi, leciti, configgenti del caso concreto.

Per tale ragione la segregazione patrimoniale con l’unico scopo di consentire l’accesso allo strumento concordatario, potrebbe essere ritenuta meritevole di tutela a danno dell'interesse del singolo creditore del disponente, se, avuto considerazione delle modalità concrete in cui opera, si riveli l’unico modo di garantire ragionevolmente il buon esito della procedura. Tale prevalenza è evidente, peraltro, se il creditore particolare del disponente non si opponga all’omologa del concordato ancorché proponga azione revocatoria successivamente[16].

Tale ragionamento ha portato parte della dottrina a ritenere che l'interesse al buon esito del concordato possa prevalere sul diritto particolare del creditore verso il terzo conferente, se le passività personali di questi derivino proprio dall'esposizione dell'impresa in crisi di cui egli sia garante.[17]

Naturalmente l’atto di destinazione non dovrà imporre alcun limite rispetto all’accesso dei creditori alla proposta concordataria, come ad esempio avverrebbe allorché l’atto fosse destinato solo ai soggetti “che vi aderiranno”, pattuizione che tra l’altro potrebbe anche condizionare l’autenticità e genuinità del voto. [18]

   

4. Vincolo autodestinato

L’atto di destinazione ex art. 2645 ter cod. civ. può provenire direttamente dal debitore prima del deposito della domanda di concordato preventivo, e può essere costituito sui propri beni al fine di tutelare le ragioni dei creditori che parteciperanno a tale procedura.

In tal caso il debitore compie un atto di “pura destinazione”, tramite il quale imprime un vincolo di scopo su determinati beni (dei quali conserva la piena titolarità) e che a tal fine separa dalla restante parte del suo patrimonio[19].

Si discute sulla legittimità o meno di un vincolo autoimposto, in quanto atto di destinazione unilaterale non conseguente al trasferimento del diritto reale a favore di un terzo, bensì apposto dal costituente su beni che sono e rimangono di sua proprietà.

Parte della giurisprudenza di merito[20] sembra ritiene inammissibile l’autodestinazione sulla base di un’esegesi testuale dell’art. 2645 ter c.c.[21].

L’utilizzo del verbo "conferire" – dal latino cum-ferre – si afferma presupporre una alterità soggettiva, ovvero la necessità di un atto traslativo a monte compiuto da soggetti distinti, cui segue l'apposizione del vincolo di destinazione, caratterizzato - a pena di nullità - dall'esistenza di un interesse meritevole di tutela. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza che il legislatore, nell'indicare coloro che possono agire per la realizzazione degli interessi perseguiti, individua il “conferente” con la conseguente necessità che la proprietà sui beni venga trasferita[22].

Non potrebbe, pertanto, esistere un atto di destinazione unilaterale non seguito da un trasferimento dei beni sui quali venga impresso il vincolo, perché è lo stesso dettato di legge che in modo chiaro ed esaustivo così prevede.[23]

Parte della dottrina, valorizzando l’etimologia del verbo conferire nel significato di "portare insieme", ovvero "riunire in un luogo", ed osservando come la necessità di trasferimento del bene da un individuo ad un altro avrebbe implicato l'utilizzo del verbo trasferire (dal latino trans-ferre), ritiene[24] che l'alterità soggettiva non presupponga un trasferimento da un soggetto conferente ad altro individuo.

L’adesione alla prima tesi determina in radice l’incompatibilità dell’istituto de quo con il concordato.

Nell’ipotesi in cui si aderisse alla seconda tesi, invece, occorrerebbe valutare la legittimità o meno di tale strumento, esaminando le diverse ipotesi che concretamente potrebbero verificarsi, distinguendo, in particolare, tra atto di destinazione posto in essere dal socio illimitatamente responsabile, dal socio di società di capitali e dal socio garante.

Il fallimento della società di persone determina, ex art. 147 l.f., il fallimento anche del socio illimitatamente responsabile.

Tuttavia, l’articolo 184, secondo comma, l.f, estende ai soci illimitatamente responsabili l’efficacia del concordato preventivo. L’interpretazione prevalente di tale norma[25] comporta l’estensione a favore dei soci degli effetti esdebitatori o comunque modificativi dei rapporti obbligatori sociali, di modo che per le obbligazioni sociali non solo la società, ma anche i soci illimitatamente responsabili siano tenuti nei limiti del trattamento satisfattorio previsto dal piano. Ne consegue dunque che l’esecuzione di quest’ultimo liberi, in relazione alle obbligazioni sociali, anche i soci illimitatamente responsabili.

Questi ultimi, però, restano integralmente responsabili per i debiti personali contratti nei confronti dei propri creditori particolari, che sono liberi - in corso di procedura e dopo l’omologazione del concordato preventivo - di aggredire esecutivamente i loro beni personali.

Pertanto, il socio conserva un interesse all’omologazione del concordato poiché se fallisse risponderebbe con tutti i propri beni dei debiti sociali. Per questo può destinare solo alcuni dei suoi beni per salvare gli altri, contando sull’effetto esdebitativo del concordato.

Così facendo si pregiudicano tuttavia le ragioni dei creditori personali di tali soci - diminuendo la garanzia rappresentata ex art. 2740 c.c. dal loro patrimonio - legittimandoli ad esperire azioni volte alla loro tutela, come si vedrà poi.

Viceversa, non si riscontrano problemi se l’autodestinazione posta in essere dal socio di una società di capitali, in quanto, non rispondendo con i propri beni in caso di inadempimento dell’impresa, l’eventuale conferimento di questi ultimi a beneficio della società sarebbe configurabile come etero destinazione, agendo egli come terzo estraneo.

Nell’ipotesi in cui il vincolo apposto dal socio illimitatamente responsabile su beni sui quali abbia prestato garanzia per i debiti sociali, vi è un problema di compatibilità logica- giuridica tra la disciplina prevista dal comma 1 e 2 dell’art.184.

Secondo un orientamento, la specialità della responsabilità derivante dalla prestazione di garanzia rispetto a quella generale derivante dalla partecipazione sociale, determinerebbe la prevalenza del comma 1, con la conseguenza che i creditori conservano impregiudicati i propri diritti nei confronti del socio, in quanto garante, nonostante a questi si estendano, in quanto socio, gli effetti esdebitatori del concordato preventivo[26].

Secondo un altro orientamento, invece, rilevando che la responsabilità dei soci illimitatamente responsabili per i debiti sociali è assorbente rispetto ad ogni altra fonte obbligatoria, vi sarebbe la prevalenza dell’effetto liberatorio sancito dal comma 2 dell’art. 184, sicché anche i soci garanti non risponderebbero oltre i limiti della falcidia concordataria.

Il contrasto è stato risolto a favore di tale ultimo orientamento dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 24 agosto 1989, n. 3749, successivamente consolidata dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 febbraio 2015, n. 3022.

In sostanza, si ritiene oggi che l’effetto esdebitatorio in favore del socio illimitatamente responsabile – ex art. 184, comma 2, l.f. - renda irrilevante ogni diversa fonte di responsabilità del medesimo per i debiti sociali, ancorché, per tali debiti, il socio abbia prestato fideiussione o altra garanzia. Invero, il comma 1 dell’art. 184 l.f., nello stabilire che i creditori in quanto soggetti all’obbligatorietà del concordato conservano impregiudicati i diritti contro i fideiussori (nonché i coobbligati e gli obbligati in via di regresso), si riferisce ai terzi diversi dai soci. Ne consegue che ogni fonte di responsabilità diversa per i medesimi debiti sociali rimane assorbita nella qualità di socio, prevalendo dunque il secondo comma dell’art. 184 l.f. sul primo comma, ultimo periodo, in caso di soci illimitatamente responsabili che siano anche garanti.

Sussiste dunque la possibilità che il socio garante tenda a favorire in ogni modo il successo del concordato preventivo, ivi concedendo beni propri in soddisfazione dei creditori concordatari, anche se gravati da propria fidejussione o ipoteca, poiché l’effetto esdebitatorio lo garantirebbe dalla perdita di tutto il resto dei propri beni.

Tuttavia rimarrebbe, come detto, un problema di compatibilità di tale destinazione con le esigenze dei creditori personali del socio illimitatamente responsabile, in quanto non potrebbero più soddisfarsi sul suo patrimonio personale.

Ci si è chiesto anche se la costituzione del vincolo di destinazione possa andare a beneficio dei soli creditori anteriori all’atto destinatorio, pregiudicando eventualmente le ragioni di coloro che acquisiscano il diritto tra la trascrizione del vincolo e l’effettiva presentazione della domanda di concordato.

A tal proposito si ricorda che il Tribunale di Verona[27] si é confrontato con il tema dei vincoli di destinazione stipulati al fine di proteggere il patrimonio sociale per il tempo occorrente alla predisposizione del piano concordatario  - in attesa della presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato preventivo- con la finalità di anticipare gli effetti di cui all’art. 168 l. fall., ritenendo lo strumento utilizzato illegittimo per la violazione della par condicio creditorum.

Ciò posto, si ritiene che il giudizio di meritevolezza - alla luce del suo significato “relazionale”-   sia elemento essenziale per valutare l’ammissibilità di un atto di destinazione caratterizzato dall’assenza di una modificazione della titolarità del bene.

In tal senso, non si comprende la ragione per cui non risulterebbe meritevole di tutela la scelta di un debitore si preoccupi di creare una situazione di pariteticità fra tutti i propri creditori[28], tenendo anche conto che la regola fondamentale – ex art. 2741 c.c. - è che “i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore”.

Parte della dottrina[29] non ha mancato di osservare che, diversamente, si giungerebbe al paradosso che l’atto di destinazione potrebbe essere considerato meritevole di tutela in caso di piano attestato ex art. 67 lett. d) l. fall. (cioè in una fattispecie che l’ordinamento non privilegia, sotto più angoli visuali, rispetto al concordato preventivo o al “182-bis”), non essendo appunto applicabile a tale istituto la disciplina dell’art. 168 l. fall.

Resta, tuttavia, il fatto che l’effetto de quo deriva dall’uso di uno strumento tipico introdotto con la novella del 2012: il VI comma dell’art. 161 l. fall. sicché, a ben vedere, l’anticipazione della tutela è già assicurata normativamente, senza lasciare spazio all’utilizzo dell’istituto in esame.

 

5. Vincolo eterodestinato

La domanda di concordato può altresì prevedere che dei terzi destinino uno o più beni a vantaggio di tutti i creditori concordatari, al fine di assicurare il buon esito della procedura. Si tratta di un’ipotesi di nuova finanza - spesso determinante per il buon esito della procedura – conferita da soggetti terzi, evidentemente interessati all’omologazione del concordato.

L’articolo 8, comma secondo, della legge 3/2012 impone l’apporto di terzi a sostegno della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, nel caso in cui i beni e redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore.[30] Questo dimostra sicuramente un favor da parte dell’ordinamento per l’intervento legittimo dei terzi interessati al buon esito della procedura di composizione della crisi. Nessuna ragione sembrerebbe dunque ostare ad una applicazione analogica di tale principio anche al concordato preventivo, rimanendo solamente da vagliare la legittimità di tale conferimento in base allo scopo perseguito.

Il conferimento del terzo può essere infatti determinato dalle ragioni più diverse (anche non aventi natura giuridica o economica), purché meritevoli di tutela ex art. 1322, 2 comma, c.c.

Nell’ipotesi in cui i terzi siano soci che godono del beneficio della responsabilità limitata ma che hanno prestato garanzie per i debiti sociali, ovvero, in generale, soggetti formalmente non responsabili dei debiti dell'impresa in crisi, ma che in caso di fallimento possono subire azioni di responsabilità per mala gestio o per inosservanza dei doveri di controllo, ovvero, inoltre, terzi che sono diventati titolari di beni ceduti dall'imprenditore, sottraendoli alla garanzia dei propri creditori, che temono conseguenze giuridiche sul piano sia civile, sia penale, occorre vagliare con maggiore attenzione la legittimità dei conferimenti[31].

Tuttavia, minori problemi si pongono in tal caso, dato che il blocco delle azioni individuali previsto dall’art. 168 l.fall. non è applicabile ai terzi conferenti, riguardando unicamente i beni dell'impresa in crisi. Pertanto, la destinazione non potrebbe qui essere considerata strumento illegittimamente atto a bloccare le esecuzioni individuali del terzo già dal momento del deposito della domanda di concordato (anche in bianco) da parte del debitore.

La illegittimità dell’atto dispositivo potrebbe essere eccepita solamente dai creditori particolari del terzo conferente che vantino un credito sorto anteriormente alla trascrizione del vincolo, dati i suoi effetti preclusivi. Invero, la tempestiva trascrizione del vincolo rende la destinazione validamente opponibile alle iscrizioni successive, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c.[32].

In senso contrario si è espresso invece il Tribunale di Vicenza, asserendo che la trascrizione di cui all'art. 2645 ter c.c. non sia opponibile nemmeno alle iscrizioni ipotecarie successive, poiché “gli interessi dei creditori di una società insolvente non sono in alcun modo meritevoli di tutela ex art. 2645 ter c.c., considerato che un negozio unilaterale non potrebbe in alcun modo derogare al regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale di cui agli artt. 2740 ss. c.c.” [33].

Controverso è, dunque, il rapporto tra la fattispecie di cui l'art. 2645 ter c.c. e quella di cui l’art. 2740 c.c.

A favore della prima tesi si può evidenziare come la limitazione di responsabilità del vincolo de quo potrebbe rientrare nel novero delle eccezioni alla regola generale ammesse dall'art. 2740, 2 comma, c.c., secondo il quale “le limitazioni di responsabilità non sono ammesse se non nei casi previsti dalla legge.

Tuttavia, la peculiarità dell’istituto in esameè data non tanto dall’effetto segregativo o limitativo ex se, bensì dalla circostanza che lo scopo per il quale la limitazione di responsabilità è concessa non viene selezionato a priori dal legislatore, ma dall’autonomia privata.[34]

Potrebbe quindi profilarsi il legittimo dubbio che l’istituto esaminato sovverta il regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.

Sembra invero che il legislatore abbia scelto di intraprendere un processo di disgregazione del principio di necessaria unità ed indivisibilità del patrimonio del soggetto e con esso dell’idea che ad un soggetto corrisponda un solo patrimonio e una sola responsabilità[35], così formalmente canonizzato nel codice civile.

L’art. 2645 ter c.c., pertanto, può offrire una nuova lettura dell’art. 2740 c.c., più attenta ai concreti interessi meritevoli di tutela, essendo idoneo ad imporre la tutela delle ragioni dei creditori contro gli atti fraudolenti dei debitori, senza più limitare prodromicamente l’autonomia privata, anzi mostrandosi a questa complementare.

La relazione tra l’art. 2740 c.c. e l’ art. 2645 ter c.c. – in quest’ottica - non deve essere costruita aprioristicamente come un rapporto tra regola ed eccezione: alla c.d. universalità della responsabilità patrimoniale del debitore si sostituisce la c.d. specializzazione della stessa ogni volta che la ricorrenza di interessi meritevoli di tutela giustifichi la creazione - tra i beni del debitore - di un patrimonio di destinazione.

Resta implicitamente confermato che i crediti garantiti attraverso trascrizioni antecedenti la costituzione del vincolo di destinazione prevarranno e i creditori potranno agire esecutivamente sui beni oggetto del vincolo, stante l’inapplicabilità dell’art. 168 l. fall.

E’ altresì evidente che nell’ipotesi di esecuzione sui beni oggetto del vincolo da parte dei creditori individuali del terzo conferente potrebbe essere vanificata la garanzia prestata a favore dei creditori concordatari, determinando l’inammissibilità, la revoca o la risoluzione del concordato. Qualora, infatti, non vi fosse eccedenza del valore di alienazione del bene rispetto al complessivo importo dei debiti maturati a carico del terzo conferente, la possibile aggressione del bene stesso – nelle forme indirette dell’azione revocatoria o dirette di cui all’art. 2929 bis c.c. come meglio esplicato in seguito – renderebbe di fatto nullo l’apporto di finanza esterna con evidenti ricadute in termini economici sul piano concordatario.

   

6. La revocabilità del vincolo di destinazione

Come già detto, l'effetto segregativo proprio del vincolo di cui all’art. 2645 ter c.c. - sia nel caso di autodestinazione che di eterodestinazione – può venire meno nell’ipotesi di  esercizio dell’azione revocatoria ordinaria da parte dei creditori particolari dei soggetti conferenti, volta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di inefficacia relativadegli atti di disposizione patrimoniale pregiudizievoli.[36]

L’atto di destinazione, nella sua funzione fisiologica, non è preordinato a sottrarre beni ai creditori, bensì a metterli a loro disposizione; può tuttavia essere patologicamente e abusivamente utilizzato per sottrarre i beni ai creditori del conferente, violando la garanzia patrimoniale di cui all’ art. 2740 c.c.

In queste ipotesi non sussistono ragioni per escludere che l’azione revocatoria ordinaria possa essere utilizzata dal creditore, nei confronti di negozi di destinazione ex art. 2645 ter c.c., anche quando abbiano superato preliminarmente il vaglio di meritevolezza[37].

La giurisprudenza ha, infatti, ricondotto all’art. 2901 c.c. qualsiasi atto di disposizione che sia idoneo ad incidere sul patrimonio del debitore, sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo, pregiudicando in tutto o in parte la garanzia del credito e quindi la soddisfazione delle ragioni del creditore;[38] coerentemente, la dottrina ha ritenuto che l’azione revocatoria ordinaria sia l’unico rimedio esperibile al fine di eliminare l'effetto segregativo proprio del trust.[39]

Nell’ottica dell’azione revocatoria rileva la valutazione della natura giuridica dell’atto di destinazione, ovvero determinare se siano atti a titolo gratuito ovvero a titolo oneroso[40]. E’ infatti noto come nell’ipotesi di atto a titolo gratuito si verifichi una facilitazione probatoria, bastando la sola dimostrazione della consapevolezza del disponente di arrecare pregiudizi o agli interessi dei creditori (c.d. scientia damni) [41] e diventando irrilevante lo stato soggettivo del terzo[42].

In generale può affermarsi che un atto è gratuito quando è compiuto senza corrispettivo, sicché nel patrimonio del soggetto si verifica una modifica quantitativa o qualitativa (ad es. prestando una fideiussione) che non è compensata in alcun modo; un atto è, invece, oneroso quando, a fronte del suo compimento, il disponente riceve in cambio una controprestazione: la diminuzione patrimoniale è dunque correlata all'assunzione di un corrispondente vantaggio, anche non strettamente economico.

Per valutare la sussistenza o meno della gratuità dell’atto di etero disposizione ex art. 2645 ter c.c. è sicuramente necessaria una verifica in concreto del contenuto del negozio e del suo scopo. Invero, si dovrà far riferimento all'intero assetto degli interessi in gioco, valutando i rapporti sottostanti tra disponente e beneficiario, a prescindere dalla qualificazione formale dei rapporti.[43]

Pertanto, la natura liberale o solutoria dell’atto di destinazione andrà appurata sulla base delle intenzioni del disponente e sulla scorta degli obblighi nei confronti dei beneficiari.[44]

Si propende comunque per la natura tendenzialmente gratuita dell’atto di separazione ex art. 2645 ter c.c., senza con ciò voler operare una presunzione assoluta. Invero, il vincolo viene apposto sul patrimonio in assenza di controprestazione, bensì principalmente per assicurare il buon esito del concordato. Tale motivo influenza la causa dell’atto, impregnandola di gratuità.

Parte della dottrina[45], inoltre, ritiene che il principio della revocabilità degli atti a titolo gratuito sia applicabile anche alla norma de qua, desumendolo dal fatto che anche gli atti giudiziali omologati possono - per la parte relativa al trasferimento del bene - essere oggetto di revocatoria.

Tuttavia, la notevole agevolazione probatoria in tema di elemento soggettivo potrebbe portare in questi casi a ritenere sempre revocabile l’atto di destinazione. Invero, la Cassazione, in tema di revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale, ha recentemente stabilito che è sufficiente, ai fini della cd. scientia damni, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass. civ., 30 giugno 2015, n. 13343).

Ciò potrebbe nuocere al buon esito del concordato, portando alla sua invalidità qualora si fondasse interamente sul conferimento oggetto del vincolo poi revocato.

Aderendo alla tesi della gratuità degli atti costitutivi del vincolo di destinazione, potrebbe delinearsi l’applicabilità di altri due rimedi a tutela dei creditori particolari del disponente.

Se il terzo che ha destinato i propri beni al buon esito del concordato sia successivamente dichiarato fallito, tutti gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni precedenti - e dunque anche i beni conferiti nel concordato tramite il vincolo de quo - potrebbero essere dichiarati inefficaci ex art. 64 l.f.

Nel caso di atti gratuiti compiuti in frode ai creditori fallimentari, l’art. 64 l.f. invero consentirebbe al curatore maggior facilità d’azione rispetto la revocatoria, poiché dovrebbe solo dimostrare la gratuità dell’atto impugnato ed il suo compimento nel periodo sospetto, presumendosi in via assoluta il pregiudizio per la massa dei creditori.

Inoltre, l’azione di inefficacia ex art. 64 l.f. non è soggetta a prescrizione, mentre lo è -cinque anni dalla data dell’atto- la revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2903 c.c.

Inoltre sarebbe applicabile la nuova disciplina dell’art. 2929 bis c.c.

Come noto, ai sensi del nuovo art. 2929 bis c.c., il creditore che ritiene di essere pregiudicato dal compimento da parte del suo debitore di un atto di alienazione a titolo gratuito o costitutivo di vincolo di indisponibilità successivo al sorgere del credito può pignorare il bene senza dover prima esperire vittoriosamente l'azione revocatoria. Tale strumento offre dunque ai creditori un ulteriore mezzo per opporsi all’abuso perpetrato dal loro debitore - se ricorrono i requisiti temporali indicati dall’art, 2929 bis c.c. e gli stessi siano muniti di titolo esecutivo – ponendo quindi un ostacolo agli atti gratuiti stipulati al fine di sottrarre beni e ridurre la garanzia patrimoniale.

Indubbiamente, il riferimento operato dalla norma agli atti di "costituzione di vincolo di indisponibilità" porta ad applicare l'istituto di cui all'art. 2929 bis c.c. anche al vincolo di destinazione di cui all'art. 2645 ter c.c., sciogliendo la riserva sulla sua natura gratuita od onerosa.

I primi commentatori ritengono altresì che tale norma deroghi alla disciplina prevista dall’art. 2915 c.c - per il quale tra il beneficiario del vincolo di indisponibilità ed il creditore pignorante prevale colui che trascrive per primo - prevedendo che, in presenza dei presupposti richiesti dalla norma, il creditore particolare munito di titolo esecutivo possa agire esecutivamente sui beni vincolati, indipendentemente dall'ordine delle trascrizioni.[46] Invero, il creditore particolare del conferente può procedere ad esecuzione forzata nonostante l’avvenuta trascrizione del vincolo de quo, purché abbia trascritto il pignoramento entro un anno dalla suddetta.

Viene così a mancare quella tutela dei creditori concordatari garantita dal principio della priorità delle trascrizioni, aumentando le probabilità di inficiare la validità del concordato preventivo, portando alla sua inammissibilità, revoca, non omologazione o risoluzione per inadempimento, a seconda della fase in cui si trova la procedura.

Le conseguenze sul concordato preventivo - nonché l’onere della prova - cambiano dunque sensibilmente a seconda che si esperisca la revocatoria ordinaria ovvero si opti per l’ inopponibilità ex art. 2929 bis c.c., soprattutto per gli effetti delineati in tema di trascrizione. L’istituto ex art. 2929 bis c.c. tutela sicuramente in modo maggiore i creditori particolari, aumentando però il rischio di danneggiare quelli concordatari e di inficiare la procedura.

L’inefficacia ex art. 64 l.f. resta invece circoscritta all’ipotesi di fallimento del soggetto disponente.

 

7. FIGURE AFFINI: il trust e l’ipoteca volontaria a favore dei creditori concordatari

Delineati i tratti del vincolo di destinazione ex art. 2645ter c.c., non rimane che riflettere sugli istituti che permetterebbero di conseguire risultati analoghi all’interno della procedura concordataria, posto che la libertà di forme concessa dall'art. 160 l.fall. ammette di inserire nella costruzione del piano e nella formulazione della proposta qualsiasi soluzione, purché lecita ed effettivamente finalizzata al miglior soddisfo dei creditori, ai quali soli spetterà poi il sindacato di convenienza e fattibilità economica.

Data la complessità del tema ci si limiterà a brevi considerazioni.

L’utilizzo del trust nel nostro ordinamento, come noto, è stato reso possibile dalla ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985, avvenuta con L. 16 ottobre 1989, n. 364. E’ pertanto oggi configurabile sia il trust internazionale – costituito all’estero – sia il trust interno, i cui elementi essenziali sono radicati nel territorio italiano[47].

L’effetto principale connaturato a tale istituto - come previsto in via generale nell’art. 11 della Convenzione[48] - è la segregazione patrimoniale, ovvero la separazione dei beni conferiti sia nei confronti del patrimonio del disponente che del patrimonio del terzo gestore (trustee), con la conseguenza che non potranno essere oggetto di azioni esecutive o cautelari dei loro creditori personali.

Rilevanti risultano altresì l’art. 18 della Convenzione[49] - che detta il principio secondo il quale si può negare legittimità ad un trust qualora il ricorso all’istituto risulti manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico dell’ordinamento in cui il trust deve operare - e l’art. 15[50], il quale fa comunque salvi i principi inderogabili di diritto interno – tra cui la protezione dei creditori in caso di insolvibilità – eventualmente contrastanti con le disposizioni istitutive del trust.

Alla luce di tale normativa, particolare rilievo assume dunque lo scopo impresso al trust interno, che consente di valutare la corrispondenza dell’istituto de quo alle regole e principi del nostro ordinamento ex art. 15 della Convenzione. Ne consegue, pertanto, che il trust istituito da un imprenditore in stato di insolvenza è illecito ab origine, e quindi nullo, se istituito al fine di eludere l’applicazione delle norme sulla garanzia patrimoniale, e dunque la migliore soddisfazione dei creditori ex art. 2740 c.c. 

In tema di concordato preventivo, l’utilizzo del trust è ritenuto generalmente ammissibile  purché la segregazione, conseguente alla destinazione, persegua l’ intento di facilitare la procedura di concordato.[51]

Tale strumento si rivela particolarmente utile infatti nel caso sia predisposto da terzi garanti dell’adempimento del concordato, mediante la messa a disposizione del loro patrimonio. Invero, essendo soggetti diversi dall’imprenditore, non sono destinatari dei vincoli previsti dall’art. 168 l. fall. e, nelle more della procedura, potrebbero essere soggetti alle pretese dei propri creditori su detti beni, vanificando la garanzia prestata a favore dei creditori concordatari.

In tal senso, la costituzione di un trust nel quale far confluire i beni offerti in garanzia per l’adempimento della proposta di concordato preventivo sarebbe assolutamente congruo rispetto al fine perseguito, poiché consentirebbe di separare i suddetti beni dalle iniziative personali dei creditori del disponente o del trustee, fatta salva la possibilità di questi ultimi di esperire l’azione revocatoria per gli atti costituiti ad hoc per ledere i loro diritti[52].

Tuttavia, affinché il trust sia idoneo a garantire che l'apporto sia mantenuto alla finalità a cui il piano lo destina, parte della giurisprudenza ritiene che trustee debba essere il commissario giudiziale o comunque una persona di fiducia degli organi fallimentari[53].

Quanto alle possibili differenze rispetto al vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., il trust potrebbe rivelarsi per certi versi strumento più snello, posto i minori problemi che pone in tema di meritevolezza degli interessi, qui coincidenti con la mera liceità degli stessi, ovvero la non contrarietà alle norme e ai principi imperativi che lo regolano, ai sensi dell’art. 18 della Convenzione.

In alternativa - con una scelta di taglio pratico - nulla vieta di perseguire il medesimo obiettivo destinatorio con la stipula di atti traslativi a beneficio di soggetti creati per l'occasione. Si pensi alla creazione di una newco interamente partecipata dalla società in crisi, le cui quote vengano poi correttamente offerte ai creditori nell'ambito della proposta concordataria.

La differenza rispetto al trust sta in ciò: nel caso che ai creditori siano attribuite partecipazioni in una società appositamente costituita, questi divengono titolari di capitale di rischio, con la conseguente assunzione sia dell’onere di esercitare i diritti amministrativi dei soci nell’assemblea, quanto del pericolo che la newco non riesca a perseguire il progetto programmato o, addirittura, vada essa stessa a sua volta in crisi.

Nel caso in cui il progetto imprenditoriale, che dovrebbe essere perseguito dalla newco, sia invece affidato ad un trust di cui i creditori sono costituiti beneficiari, essi conseguono ulteriori risultati utili: non si accollano oneri gestionali o amministrativi; non devono preoccuparsi delle scelte strategiche o aziendali; non assumono la qualità di soci e non partecipano al capitale di rischio; al momento in cui il trust, esaurita la sua funzione, procederà alla liquidazione dei beneficiari, conseguiranno il pagamento del loro credito anziché la partecipazione agli utili (meramente eventuali) dell’impresa. Inoltre essi sono garantiti dal trustee- commissario giudiziale circa l’effettivo raggiungimento delle finalità del trust.

In alternativa agli istituti sopra descritti, si evidenzia altresì la prassi di costituire ipoteche volontarie a beneficio dei creditori concordatari.

L’ipoteca in tal caso viene accesa dal terzo su di un proprio bene immobile, destinandolo poi come finanza esterna al concordato; lo stesso potrà eventualmente agire in regresso nei confronti del debitore ai sensi dell’art. 2871 c.c., una volta soddisfatti i creditori concordatari.

Presupposto indispensabile di questa operazione è la costituzione di un titolo che giustifichi l’atto di concessione, il quale potrebbe ben ravvisarsi nell’accollo esterno cumulativo del debito originario da parte del terzo.

Si stipula dunque un contratto a favore dei creditori concordatari, immediatamente efficace nei loro confronti - salvo espressa riserva o rifiuto, in qual caso l’accollo avrebbe effetto meramente interno -  costituendo una solidarietà passiva tra accollato e accollante. Il consenso dei creditori all’operazione sarebbe volto solo a rendere irrevocabile l’accollo e l’obbligazione del debitore originario meramente sussidiaria. Viceversa, se l’accollo fosse liberatorio e non cumulativo, il consenso dei creditori si renderebbe necessario, al fine di rinunciare alla garanzia offerta dal patrimonio del debitore originario.

La causa dell’accollo si fonda sul rapporto di provvista, intercorrente tra accollante e accollato[54]; in tal senso, l’accollo potrebbe essere sorretto da una causa solvendi – ad esempio l’accollante estingue, con una datio in solutum, un proprio debito nei confronti dell’accollato – o donandi ex art. 769 c.c., o da un finanziamento con obbligo restitutorio. Tuttavia, potrebbe giustificarsi altresì sul mero interesse del terzo al buon esito del concordato – senza finalità patrimoniali - come ad esempio il congiunto dell’imprenditore in crisi che sia preoccupato del suo eventuale fallimento, per ripararlo dalle annesse conseguenze penali.[55]

Di fronte ad una siffatta ipotesi, si pone il problema della tutela dei creditori personali del terzo datore di ipoteca. Invero, in virtù dell’accollo cumulativo del debito dell’impresa in crisi - e della connessa solidarietà con il debitore originario - il terzo risponderà anche con i propri beni, ex art. 2740 c.c., dell’obbligazione assunta, spogliando i suoi creditori della garanzia offerta dal proprio patrimonio.

La revocatoria non potrebbe essere esperita, data l’assenza di traslazione di diritti, nei confronti dell’accollo, ma contro l’atto di concessione dell’ipoteca. La Cassazione infatti ammette pacificamente l’impugnazione dell’atto di concessione, ritenendo che, ai fini dell'azione pauliana, le prestazioni di garanzia - anche per debiti altrui - sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al sorgere del credito garantito[56].



* Il presente contributo è destinato al volume collettaneo Il diritto della crisi d’impresa dopo la riforma del 2015, a cura di S. Ambrosini, in corso di pubblicazione presso la casa editrice Zanichelli.

[1] Cfr. Barbara Mastropietro, L'atto di destinazione tra codice civile italiano e modelli europei di articolazione del patrimonio, in Riv. notariato, fasc.2, 2012, p. 319

[2] Cfr. Francesco Galluzzo, Autodestinazione e destinazione c.d. dinamica: l’art. 2645  ter cod. civ. come norma di matrice sostanziale, in Nuova Giur. Civ., 2014, 2, p. 128.

[3] Secondo il Tribunale emiliano, reperibile in www.notit.info, Giappichelli editore, l’art. 2645 ter c.c. costituisce «norma sugli effetti e non sugli atti», perché disciplinerebbe «esclusivamente gli effetti, complementari rispetto a quelli traslativi ed obbligatori, delle singole figure negoziali a cui accede il vincolo di destinazione», ma non varrebbe invece a configurare un «negozio destinatorio puro». Tale disposizione avrebbe pertanto «disciplinato soltanto l’effetto, riferibile ad una pluralità di negozi tipici o atipici, caratterizzato da un vincolo di scopo opponibile ai terzi e, in particolare, ai creditori estranei».

[4] In tal senso, il Tribunale di Saluzzo, con decreto del 19 luglio 2012, in www.notit.info G. Giappichelli editore, ha optato per la natura sostanziale dell’art. 2645 ter cod. civ., aggiungendo che lo stesso autorizzerebbe anche negozi di destinazione che non presuppongono, contestualmente, il necessario trasferimento del diritto da sottoporre a vincolo, argomentando che «il legislatore ha inteso rendere opponibile la funzionalizzazione di scopo di un bene senza attribuzioni patrimoniali», e concludendo dunque che l’atto di destinazione non determina né richiede «(in quanto tale) trasferimento di diritti».

[5] Alessandro Alessandrini Calisti, L'atto di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ. non esiste? Brevi considerazioni a margine della pronuncia del tribunale di Trieste in data 7 aprile 2006, in Notariato, 2006, 5, p. 539.

[6] Federico Occelli, Atti di destinazione ex art. 2645 ter: natura giuridica, effetti ed ipotesi applicative, in Giur. It., 2014, 11, p. 2494.

[7] Salvatore Leuzzi, Riflessioni sull’art. 2645-ter c.c. nel quadro dei limiti interposti dalla giurisprudenza, in Trusts, 2015, 1, p. 7 e F. Pascucci, Vincoli fiduciari di destinazione, Cedam 2012, p. 6

[8] Cfr. Federico Occelli, cit.

[9] Cfr. Andrea Ghironi, cit.

[10] Cfr. Lorenzo Salvatore, Atto di destinazione e crisi d'impresa: strumento a tutela o contro le procedure concorsuali?, in Riv. notariato, fasc.5, 2012, p. 1085.

[11] Cfr. in senso contrario Tribunale Verona, 13 marzo 2012 in www.ilcaso.it, e Tribunale Vicenza, 31 marzo 2011 in Il Fallimento, 2011, 12, p. 1461.

[12] Conforme il Tribunale di Prato n.215/2015 del 15 febbraio 2015, in www.ilcaso.it.

[13] Sul punto si veda Luca Vitale, Vincoli di destinazione ed interessi meritevoli: dieci anni di confronto ed una soluzione ancora lontana, in www.ilcaso.it.

[14] Cfr. Perlingieri Giovanni, Il controllo di "meritevolezza" degli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in Notariato, 2014, 1, p. 11.

[15] Cfr. sul punto Alessandro Re,Limiti al negozio destinatorio ex art. 2645 - ter del codice civile, in Immobili e proprietà, 2014, 7, p.455.

[16] Cfr. Tribunale di Prato cit.

[17] Cfr. Paolo Bosticco, Invalidità del vincolo di destinazione e conseguenze sull'ammissibilità del concordato, in Fallimento, 2014, 8-9, p. 907.

[18] Cfr. Tribunale di Verona, 13 marzo 2012, in www.ilcaso.it, ove il debitore destinante aveva posto dei limiti di dubbia liceità in proposito: “nell’atto costitutivo del vincolo oggetto del presente procedimento si afferma infatti espressamente che i beni immobili saranno destinati al soddisfacimento dei crediti dei soggetti “che vi aderiranno”.

[19] Risulta in tal caso un’evidente assonanza con quanto accade nel trust “autodichiarato”, nel quale, mancando un atto di trasferimento ad un diverso soggetto, si riduce ad un atto di destinazione all’interno del patrimonio del disponente, il quale assume la veste anche di trustee.

[20] Sono intervenute sul punto le seguenti pronunce: Trib. Reggio Emilia, ordinanza 23 marzo 2007; Trib. Reggio Emilia, decr. 22 giugno 2012, Trib. Reggio Emilia, decr. 26 novembre 2012, in www.ilcaso.it, che hanno affermato l'inammissibilità dell'autodestinazione unilaterale, sebbene le fattispecie concrete portate alla loro attenzione e gli interessi coinvolti siano molto diversi.

[21] Cfr.Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza 28 novembre 2013, e Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 27 gennaio 2014, in www.ilcaso.it.

[22] Si lega a questa ricostruzione la nozione prima illustrata che riconduce la necessità di una regolamentazione sottostante alla mancanza di causa negoziale autonoma di questo istituto.

[23] Cfr. in tal senso Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ord. 28 novembre 2013, in www.ilcaso.it, nella quale emerge che non si può "svilire il dato testuale della disposizione di legge e degradarsi il richiamo al soggetto "conferente" a mero lapsus del legislatore (il quale avrebbe in realtà inteso riferirsi più correttamente al "disponente"). Se è vero infatti che la tecnica di redazione legislativa degli atti risulta di frequente non del tutto adeguata, è altrettanto vero che una tale impostazione finisce in realtà per presupporre proprio quel risultato (l'autodestinazione unilaterale) che sarebbe invece da verificarsi alla luce del dato di legge."

[24] Cfr. Risso, Separazione dei coniugi: una lettura dell'art. 2645-ter c.c. luci ed ombre, in Trust, 2013, 22 e ss.. e Clara Sgobbo, Il negozio di destinazione e l'inammissibilità dell'autodestinazione unilaterale, in Corriere Giur., 2014, 11, p. 1365.

[25] Cfr. Cass. civ., 30 agosto 2001, n. 11343; Cass. civ., 1 luglio 1992 n. 8097; Cass. civ., 3 aprile 1987, n. 3229; Tribunale di Terni 30 dicembre 2008, Tribunale di Firenze 20 maggio 2010, Corte di Appello di Genova 23 dicembre 2011, in www.ilcaso.it, Tribunale di Como 03 marzo 2015 in www.eclegal.it, le quali hanno negato che il concordato preventivo della società si estenda ai soci illimitatamente responsabili e coinvolga anche il patrimonio personale di questi.

[26] Cass. civ., 8 novembre 1984, n. 5642, la quale statuisce che “Le società di persone, pur essendo sfornite di personalità giuridica, sono caratterizzate da una propria autonomia patrimoniale che determina la separazione del patrimonio dei soci da quello della società, per cui le due sfere giuridiche restano separate consentendo rapporti giuridici distinti sia della società, come centro della loro imputazione, nei confronti dei terzi, sia della società stessa nei confronti dei soci e di questi ultimi, separatamente, nei confronti dei terzi. Di conseguenza, in caso di concordato preventivo di una società di persone, pur avendo questo efficacia anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i creditori sociali, poiché conservano impregiudicati i loro diritti contro i fideiussori del debitore, possono agire autonomamente nei confronti dei soci che abbiano prestato fideiussione alla società, l'obbligo di questi ultimi derivando da un titolo distinto rispetto a quello che si ricollega alla loro qualità di soci.”

[27] Tribunale di Verona, 13 marzo 2012, in www.ilcaso.it

[28] Cfr. Antonio Pezzano e Gaia Cipriani, L’atto di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ. “preventivo” del debitore, di “supporto” del terzo ed il concordato... preventivo, in Dir. Fall., 2013, 3-4, 440, ove si legge:sembra indubbio che la finalità perseguita da un tale atto di destinazione, e tesa a presentare indenne il patrimonio del debitore verso la procedura di concordato, sia meritevole di tutela. Infatti con la trascrizione si rende conoscibile la crisi, si salvaguardia il patrimonio da atti di distrazione, e si evita finanche che alcuni creditori (segnatamente gli istituti di credito), possano avvantaggiarsi rispetto ad altri, grazie alle informazioni facilmente acquisibili dagli stessi nell’ambito della propria attività professionale.”

[29] L. Salvatore, op. cit.

[30] Art. 8, comma secondo, L. 27 gennaio 2012, n. 3, recante Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra indebitamento, GU n.24 del 30-1-2012 : “Nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell'accordo o del piano del consumatore, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l'attuabilità”.

[31] Se invece il terzo conferente fosse una società, si può ritenere che la destinazione del bene - in quanto atto gratuito - possa comunque essere compatibile con lo scopo sociale lucrativo, il quale può essere perseguito indirettamente, in base ad un preciso interesse patrimoniale sottostante. In caso contrario, rimane comunque ferma la responsabilità degli amministratori che non dimostrino un interesse patrimoniale nemmeno indiretto alla destinazione; tale sanzione tuttavia non incide sulla validità dell’atto compiuto.

[32] Trib. Reggio Emilia, 18 dicembre 2013, in www.ilcaso.it: “ Ai fini della proposta di concordato preventivo, la trascrizione di un vincolo di destinazione ai sensi dell'art. 2645-ter c.c., eseguita a favore dei creditori dell'imprenditore in crisi, è opponibile ai creditori iscritti successivamente, e ciò in quanto gli interessi meritevoli di tutela previsti da tale norma non attengono rigorosamente alla sfera della solidarietà sociale, ma sono ascrivibili, oltre alle persone con disabilità ed alle pubbliche amministrazioni, anche ad "altri enti o persone fisiche" e, di conseguenza, ben possono essere riferiti ad una simile generalità di soggetti.” Tribunale di Lecco, 26 aprile 2012, in www.ilcaso.it: “può ritenersi fattibile il concordato preventivo laddove venga presentata una proposta concordataria che esclude l’opponibilità, all’impresa che presenta la domanda, delle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione degli atti di destinazione posti in essere anteriormente al ricorso alla procedura ai sensi dell’art. 2645-ter cod. civ., al fine di assicurare la par condicio creditorum nel futuro concordato”.

[33] Cfr. Federico Casa, Vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e fattibilità del piano nel concordato preventivo, in Fallimento, 2011, 12, p. 1461, commento a Tribunale di Vicenza, decreto 31 marzo 2011.

[34] Cfr. F. Pascucci, cit. p. 43

[35] Tra gli esempi più significativi del proliferare delle situazioni di separazione patrimoniale si ricordano il fondo patrimoniale (art. 167 c.c.), i fondi comuni di investimento (artt. 1, comma 1 lett j e 36 ss t.u.i.f.), i fondi speciali per la previdenza ed assistenza (art. 2117 c.c.), i fondi pensione )d. lgs. 5 dicembre 2005, n. 252), nonché i patrimoni separati facenti capo alle società per la cartolarizzazione dei crediti (art. 3, comma 2, l. 30 aprile 1999, n. 130).

[36] Cfr. L. Salvatore, op. cit., il quale prospetta il rischio che il creditore, il quale medio tempore abbia iscritto ipoteca giudiziale, possa esercitare l'azione revocatoria, il cui “probabile” successo renderebbe vano e inutile il concordato preventivo.

[37] Si ritiene, infatti, che l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. non possa essere “neutralizzata” dal giudizio di meritevolezza dell’atto di destinazione, salvato così dall’interprete dal giudizio di invalidità.

[38] Si veda in tal senso App. Roma, sentenza del 5 maggio 2007, in www.ilcaso.it: “L’atto di disposizione del patrimonio pregiudizievole per il creditore, nel senso indicato dal primo comma dell’art. 2901 c.c., è individuato dalla giurisprudenza in qualsiasi atto, anche non riconducibile alla alienazione o al trasferimento in senso stretto, che attui o modifichi la situazione patrimoniale del debitore, pregiudicando o semplicemente rendendo più difficoltoso il soddisfacimento del credito; insomma in qualsiasi atto che incida sulla consistenza del patrimonio del debitore, anche solo in senso qualitativo, convertendolo ad esempio in beni facilmente occultabili, e così riduca o annulli la garanzia del credito.”; inoltre, Cass. Civ., 9 febbraio 2012, n. 1893: “L'art. 2901 cod. civ. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. Ne consegue che anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore (nella specie, atto di concessione di ipoteca volontaria).”

[39] Ranucci Roberto, I difficili rapporti tra il Trust liquidatorio e le procedure concorsuali, in Fallimento, 2014, 5, 567, con commento a Trib. Cremona, 08 ottobre 2013.

[40] Cfr. U. Patroni, Le azioni revocatorie: la disciplina, il processo, UTET giuridica, 2014 p. 26.

[41] Cfr. sul punto R. Clarinzia, Garanzie reali e personali, CEDAM, 2011, p. 760 nonché U. Patroni, Le azioni revocatorie: la disciplina, il processo, cit. e Salvatore Leuzzi, Riflessioni sull’art. 2645-ter c.c. nel quadro dei limiti interposti dalla giurisprudenza, cit.

[42] Cit. R. Clarinzia, Responsabilità civile e garanzie reali e personali, cit., p. 779.

[43] La Cassazione - in tema di dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo gratuito ai sensi dell’art. 64 l.f. - ha invero statuito che la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull’esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto (Cass. civ., 12 marzo 2008, n. 6739). Sono atti a titolo gratuito non solo dunque gli atti posti in essere per spirito di liberalità, ma anche quelli caratterizzati semplicemente da una prestazione in assenza di corrispettivo (Cass. civ., 24 giugno 2015, n. 13087).

[44] In quest’ottica, di rilievo si mostra una recente pronuncia del Tribunale di Nola, 24 ottobre 2013, in www.ilcaso.it, la quale ha dichiarato che il trasferimento immobiliare posto in essere dal fideiussore di una società - per mezzo del quale egli si spogli di tutti i propri beni segregandoli in un fondo gestito da un’altra società - è revocabile ex art. 2901 c.c. qualora non sia desumibile il collegamento tra il depauperamento subito dal trasferimento di tutti gli immobili e il guadagno di tipo assistenziale e previdenziale garantito, poiché l’atto di apporto patrimoniale non può che essere considerato a titolo gratuito e diretto a sottrarre beni alla garanzia patrimoniale dei creditori di cui all’art. 2740 c.c.

[45] Antonio Pezzano e Gaia Cipriani, cit.

[46] Cfr. sull’argomento Elisabetta Smaniotto, L'art. 2929 bis c.c. espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito, in Immobili e proprietà, 2015, 10, p. 584.

[47] Come noto, il trust è un atto dispositivo con cui il soggetto disponente (settlor) affida tutti i suoi beni – ovvero una parte di essi – ad un terzo (trustee), il quale avrà il dovere di amministrarli e gestirli nell’interesse di un beneficiario (beneficiary) o al fine del raggiungimento di un determinato scopo (purpose). A questi due soggetti può poi aggiungersi il c.d. guardian, incaricato di vigilare sulla realizzazione dello scopo.

[48] Art. 11 Convenzione Aja 01 luglio 1985, come recepita dalla legge 364/1989, GU n.261 del 8-11-1989 - Suppl. Ordinario n. 84 : “Un trust costituito in conformità alla legge specificata al precedente capitolo dovrà essere riconosciuto come trust. Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia le capacità di agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti a un notaio o altra persona che rappresenti un'autorità pubblica. Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare: a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust; b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest'ultimo o di sua bancarotta; c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee; che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro.” In www.normattiva.it.

[49] Art 18, cit: “Le disposizioni della Convenzione potranno essere non osservate qualora la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico.”

[50] Art. 15 cit.:La Convenzione non ostacolerà l'applicazione delle disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del foro, allorchè non si possa derogare a dette disposizioni mediante una manifestazione della volontà, in particolare nelle seguenti materie: a) la protezione di minori e di incapaci; b) gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio; c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima; d) il trasferimento di proprietà e le garanzie reali; e) la protezione di creditori in casi di insolvibilità; f) la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede. Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici.”

[51] La giurisprudenza di merito ha recentemente avallato nel concordato preventivo l’uso del trust di scopo: Cfr. Tribunale di Ravenna 4 aprile 2013 e Trib. Ravenna, 22 maggio 2014, in www.ilcaso.it, in merito al trust di scopo su partecipazioni societarie; Luca Andretto, Concordato preventivo, gruppi di imprese, omologazione, questioni varie, in Fallimento, 2015, 2, p. 203 (nota a sentenza); nonché del trust autodichiarato, ove non sussiste alcun trasferimento di beni dal disponente al trustee: Cfr. Tribunale di Trib. Forlì, Sez. II, 05 febbraio 2015 in Contratti, 2015, 5, p. 437 nota di Indolfi.

[52] Tuttavia, in tal caso, l’oggetto della revocatoria non sarebbe l’istituzione del trust in sé, ma l’atto o gli atti di disposizione patrimoniale che ne conseguono, in quanto solo questi ultimi potrebbero essere lesivi della garanzia patrimoniale e dunque potenzialmente pregiudizievoli per i diritti degli eventuali creditori del disponente.

[53] Tribunale di Reggio Emilia, 14 maggio 2007, in Giur. mer., 2008, p. 707; Tribunale di Parma, 3 marzo 2005, in Trust, 2005, p. 409, Tribunale di Ravenna 4 aprile 2013 in www.ilcaso.it

[54] Cfr. Umberto Stefini, La solidarietà nella delegazione, nell'espromissione e nell'accollo cumulativi, in Contratto e Impr., 2014, 3, p. 674.

[55] Tuttavia l’ipoteca presentata in tali termini potrebbe essere viziata da indeterminatezza. Sicuramente lo sarà se presentata con la domanda di concordato in bianco, la quale, in assenza della documentazione ex art. 161, secondo e terzo comma, l.f., potrebbe non fornire una indicazione precisa di tutti i creditori e le passività della società.

[56] Cass. civ., 04 febbraio 2010, n. 2610.


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