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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/02/2016 Scarica PDF

Proposte concorrenti, rinuncia alla domanda e revoca della proposta di concordato preventivo

Ettore Maria Negro, Avvocato in Milano


Sommario: 1. Le proposte concorrenti nella disciplina del concordato preventivo. – 2. Domanda, proposta e piano: le ragioni di un rigore terminologico. - 3. Domanda e proposta alla luce della natura del concordato. – 4. La rinuncia alla domanda di concordato come rinuncia agli atti del giudizio. – 5. La rinuncia all’azione. – 6. La revoca della proposta. – 7. La dichiarazione di inammissibilità prevista dall’art. 162, secondo comma, e la revoca dell’ammissione al concordato ai sensi dell’art. 173, R.D. n. 267/1942.


     

1. Le proposte concorrenti nella disciplina del concordato preventivo

L’istituto delle proposte concorrenti è stato introdotto in materia di concordato preventivo dal D.L. n. 83/2015, convertito in L. n. 132/2015.

A tale istituto sono dedicati i commi 4 e segg. del novellato art. 163, R.D. n. 267/1942, secondo cui uno o più creditori, che rappresentino almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore con il ricorso, possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori. La legittimazione spetta anche ai creditori che siano titolari di crediti rappresentanti la soglia percentuale minima anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato, restando tuttavia esclusi - ai fini del computo della percentuale – i crediti vantati dalla società che controlla la società debitrice, quelli delle società da questa controllate e delle società sottoposte a comune controllo.

Dal quarto comma, ultima parte, dell’art. 163 si desume che anche alle proposte concorrenti deve essere allegata una relazione ai sensi dell’art. 161, terzo comma: ma essa può essere limitata alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale: per quegli aspetti, dunque, che si discostino dal piano inerente alla proposta del debitore[1].

L’art. 163 prevede poi che le proposte concorrenti non siano ammissibili se il professionista designato ai sensi dell’art. 161, terzo comma, attesti che la proposta del debitore assicuri il pagamento di almeno il quaranta per cento dei crediti chirografari (o del trenta per cento nel caso di concordato con continuità aziendale).

Al fine di consentire la presentazione di proposte concorrenti, l’art. 165, terzo comma, prevede che i soggetti interessati possano ricevere dal commissario giudiziale tutte le informazioni utili e rilevanti, a fronte dell’assunzione di obblighi di riservatezza e previa valutazione – da parte del commissario – della congruità delle richieste.

Ai sensi dell’art. 172, primo comma, il commissario giudiziale deve illustrare nella propria relazione le proposte di concordato (comprese, quindi, eventuali proposte concorrenti). La relazione va depositata in cancelleria e comunicata ai creditori almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza. Tuttavia, le proposte concorrenti possono essere presentate fino a trenta giorni prima dell’adunanza, e il secondo comma dell’art. 172 prevede che le proposte di concordato, compresa quella del debitore, possano essere modificate fino a quindici giorni prima dell’adunanza.

Sempre all’art. 172, secondo comma, si prevede quindi che il commissario comunichi ai creditori, almeno dieci giorni prima dell’adunanza, una relazione integrativa sulle proposte concorrenti, contenente una particolareggiata comparazione fra tutte le proposte depositate.

Le norme in commento mirano, evidentemente, a consentire che il debitore, avuta cognizione delle proposte concorrenti, possa modificare in senso migliorativo la propria proposta nell’ambito di una procedura competitiva finalizzata a massimizzare la soddisfazione dei creditori concordatari.

L’art. 175 prevede poi che nel corso dell’adunanza ciascun creditore possa esporre le ragioni per cui non ritiene ammissibili o convenienti le proposte (di conseguenza, i creditori che abbiano presentato una proposta concorrente possono interloquire su tutte le altre proposte) e il debitore può esercitare il suo diritto al contraddittorio sulle proposte concorrenti, esponendo le ragioni per le quali non le ritiene ammissibili o fattibili.

L’art. 177, infine, disciplina le modalità per l’esercizio del voto riguardo alle proposte e per l’approvazione del concordato.

   

2. Domanda, proposta e piano: le ragioni di un rigore terminologico

Il dibattito dottrinale che ha fatto seguito all’adozione del D.L. n. 83/2015 ed alla promulgazione della legge di conversione ha avuto ad oggetto diversi aspetti della disciplina delle proposte concorrenti: ci si è chiesti, ad esempio, se l’istituto possa rappresentare un esproprio ai danni del debitore, con la conseguente valutazione della legittimità costituzionale della nuova normativa[2]; se le proposte debbano essere sottoposte al vaglio del Tribunale quanto alla loro fattibilità giuridica, in assenza di un’espressa disposizione in tal senso se non limitatamente alla proposta concorrente che preveda diverse classi di creditori[3]; se la legittimazione spetti anche a chi si sia reso cessionario di un credito dopo il deposito della domanda di concordato[4]; se e in che misura si ponga un problema di conflitto di interessi del creditore, legittimato ad esprimere il voto sulla propria proposta[5]; se le proposte concorrenti debbano essere omogenee rispetto alla proposta del debitore[6]; quali rimedi possano trovare applicazione a fronte di una condotta ostruzionistica del debitore[7].

Tra le tante problematiche evidenziate, un interrogativo specifico è stato posto riguardo alla sorte delle proposte concorrenti nel caso in cui quella del debitore venga a mancare a causa di una condotta del medesimo, che può anche essere frutto di un atteggiamento volto ad evitare di competere con i creditori proponenti; oppure per un provvedimento del tribunale che dichiari inammissibile la proposta ai sensi dell’art. 162, o ancora revochi l’ammissione al concordato, secondo quanto dispone l’art. 173.

Tra le due soluzioni che in astratto si possono configurare, la maggior parte degli interpreti sembra orientata a sostenere che le proposte concorrenti rimangano comunque efficaci[8], piuttosto che affermare che esse seguano la sorte di quella del debitore. Le tesi che giungono a tale conclusione seguono diversi percorsi logici (ma a volte appaiono apodittiche): anche se la conclusione appare condivisibile, le ragioni che ne determinano l’adozione – quando siano espresse - non sembrano però pienamente convincenti.

Sussiste, invero, una certa confusione concettuale nell’uso della terminologia, che porta a volte a considerare sinonimi la domanda e la proposta e finisce con il rendere discordante e incongrua l’applicazione dei princìpi processuali generali. Lo stesso si può dire dei termini revoca e rinuncia, nonché riguardo ad espressioni neutre ma prive di accezione specifica[9], il cui uso contribuisce ad ingenerare maggiore confusione.

Nel tentativo di fornire un apporto utile a consentire agli interpreti di fare chiarezza, si cercherà nel presente scritto di fornire un’analisi delle diverse fattispecie con cui confrontarsi, azzardando anche qualche conclusione.

   

3. Domanda e proposta alla luce della natura del concordato

Il punto di partenza non può che coincidere con il considerare che la disciplina del concordato preventivo pone una distinzione fra domanda, proposta e piano[10]. L’art. 161, rubricato domanda di concordato, dispone al primo comma che “la domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso (…) al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale”. E se al secondo comma, lett. e), è previsto che al ricorso debba essere allegato “un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”, la disposizione del sesto comma, così riformata già nel 2012, dispone che l’imprenditore “può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato (…) riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice (…)”.

Bisogna constatare quindi che, se anche l’art. 160 nel dettare i presupposti per l’ammissione alla procedura fa riferimento soltanto alla proposta e al piano, la possibilità di presentare un ricorso (contenente la domanda) prima di depositare proposta e piano permette di superare molti dubbi, posto che il legislatore ha previsto tre diverse fattispecie.

Ora, qualsiasi interpretazione si adotti riguardo alla natura di concordato – e il tema è troppo imponente per costituire oggetto di queste note[11] – non si può negare che la domanda costituisca l’atto di avvio di un procedimento[12]. Procedimento che è basato su “una serie di regole processuali inderogabili”, come ha affermato la Suprema Corte in una ormai celebre sentenza[13]. La circostanza che “tutti gli atti che compongono il procedimento (…) sono compiuti sotto l’egida e comunque assumono tutti a referente l’attento controllo dell’organo giudiziario[14] conferma che il procedimento è evidentemente formato da una serie di atti che compongono una sequenza processuale: un processo, dunque, rispetto al quale la domanda di concordato contiene gli elementi morfologici della domanda giudiziale e consta della vera e propria editio actionis[15].

Nel processo di concordato si innesta la proposta, come atto strumentale a raggiungere la composizione della crisi sacrificando – in misura più o meno accentuata - le ragioni dei creditori. Sulla convenienza e in ordine alla fattibilità economica della proposta e del piano (che ne prevede) le modalità attuative, sono chiamati ad esprimersi i creditori con il loro voto. Il che non pare propriamente essere espressione di autonomia negoziale, ma la circostanza che il debitore possa proporre il concordato ai creditori (art. 160) e che a questi, dunque, sia diretto l’atto che la legge definisce proposta, evoca indubbiamente suggestioni di stampo contrattuale.

Non a caso la Suprema Corte, facendo riferimento alla revoca di una proposta concordataria, ha richiamato espressamente l’art. 1328 cod. civ., ravvisando il momento dell’accettazione nell’approvazione del concordato da parte dei creditori[16].

Secondo le Sezioni Unite, quindi, due anime permeano la disciplina del concordato: che è basato sulla previsione di un accordo fra debitore e creditori “raggiungibile attraverso la prospettazione di una proposta, ma trovando attuazione il detto accordo nell'ambito di una procedura che valga ad assicurare la puntuale indicazione dei dati da parte del debitore, la corretta manifestazione di volontà da parte dei creditori, l'assenza di atti di frode o comunque illecitamente posti in essere dall'imprenditore[17].

D’altro canto, prescindendo da tesi contrattualistiche estreme[18] che non sembra possano giustificare la presenza ed il ruolo del giudice nel procedimento, l’accenno alla natura ancipite del concordato contenuta nella sentenza della Suprema Corte trova riscontro in quella dottrina che ha sottolineato come il concordato sia un fenomeno complesso, suscettibile di una lettura caleidoscopica, in cui convivono le regole del diritto civile con le regole processuali[19].

La domanda, in quanto atto processuale, è quindi soggetta a rinuncia: occorre tuttavia distinguere, a riguardo, tra rinuncia alla domanda intesa come rinuncia agli atti del giudizio, e rinuncia all’azione, intesa come diritto a richiedere l’omologazione del concordato[20].

La proposta, evocando suggestioni contrattualistiche[21], sembra invece soggetta a revoca.

 

4. La rinuncia alla domanda di concordato come rinuncia agli atti del giudizio

La prima fattispecie da prendere in esame è quella della rinuncia alla domanda di concordato in presenza di proposte concorrenti.

La domanda, si ribadisce, è un vero e proprio atto processuale, lo “strumento (…) tramite il quale l’imprenditore attiva un articolato procedimento destinato alla raccolta del consenso dei creditori[22].

Se il debitore si limiti a rinunciare alla domanda senza rinunciare all’azione, al fine di formulare una ulteriore domanda di concordato, è inevitabile fare riferimento alla disciplina della rinuncia agli atti del giudizio dettata dall’art. 306 c.p.c., secondo cui “il processo si estingue” quando la rinuncia “è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione”. Nel vigore della previgente disciplina del concordato, alcune pronunce[23], avallate da una parte della dottrina[24], hanno sostenuto che in presenza di un’istanza di fallimento formulata da un creditore (da considerarsi dunque parte costituita) la rinuncia non abbia effetto qualora non sia accettata, considerato l’interesse del creditore alla prosecuzione del procedimento al fine di ottenere la dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato e la conseguente dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 162, secondo comma, R.D. n. 267/1942 (o anche, si potrebbe sostenere, ad ottenere che sia pronunciata la revoca dell’ammissione al concordato ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 173).

Tale tesi, tuttavia, non regge se si consideri che l’interesse dei creditori che hanno proposto istanza di fallimento è in realtà contrario al permanere di un procedimento di concordato, come è stato notato in dottrina[25]: essi, infatti non ricaverebbero dal procedimento di concordato “la possibilità di conseguire un’utilità maggiore di quella che conseguirebbe all’estinzione del processo[26]. Di conseguenza, non sembra che la rinuncia alla domanda richieda un’accettazione, non sussistendo un interesse delle altre parti alla prosecuzione del procedimento[27].

Non osta a tale conclusione la considerazione che una nuova domanda di concordato (strumentale ad una nuova proposta) in pendenza di istanze di fallimento imporrebbe al giudice di prenderla in esame, istaurandosi un rapporto di continenza con il procedimento per dichiarazione di fallimento[28]: il tribunale può sempre dichiarare inammissibile la nuova proposta se frutto di un abuso del debitore funzionale ad evitare la dichiarazione di fallimento[29], o anche in base all’accertamento di carenza di fattibilità giuridica di una proposta meramente reiterativa di una precedente già destinata ad essere dichiarata inammissibile.

Il quadro muta radicalmente in presenza di proposte concorrenti. In tal caso appare evidente che sussiste un interesse di tutti i creditori che abbiano presentato le proposte concorrenti (e probabilmente un sopravvenuto interesse dei creditori che abbiano proposto istanza di fallimento) alla prosecuzione della procedura di concordato. Pertanto, l’applicazione dell’art. 306 c.p.c. conduce a ritenere inefficace la rinuncia alla domanda che non sia accettata[30].

V’è da chiedersi come potrebbero concretamente atteggiarsi le dichiarazioni di rinuncia ed accettazione. L’art. 306, secondo comma, dispone che “le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte (…) con atti sottoscritti e notificati alle altre parti”. Sarebbe onere del debitore, quindi, notificare la dichiarazione di rinuncia a tutti i creditori “costituiti” (dovendosi intendere per tali, si ribadisce, i creditori che abbiano presentato proposte concorrenti o abbiano depositato istanza di fallimento): operazione non particolarmente onerosa, considerato che già l’art. 171, R.D. n. 267/1942 impone al commissario giudiziale di comunicare a mezzo posta elettronica certificata un avviso a tutti i creditori. Sembrerebbe poi opportuno che la dichiarazione di rinuncia preveda anche un termine per l’accettazione: in mancanza, il procedimento di concordato dovrebbe comunque proseguire finché tutti i creditori interessati non abbiamo accettato la rinuncia, con la conseguenza che il concordato potrebbe chiudersi (con il decreto di omologazione o con il decreto ai sensi dell’art. 173) senza che la rinuncia, per mancanza di accettazione, sia divenuta efficace.

Poiché l’art. 306, secondo comma, c.p.c., prevede anche che la dichiarazione di rinuncia possa essere formulata “dalle parti o da loro procuratori speciali, verbalmente all’udienza” sembrerebbe che il debitore possa dichiarare di rinunciare alla domanda sia nel corso dell’adunanza dei creditori, sia in occasione dell’udienza fissata per l’omologazione ai sensi dell’art. 180, primo comma, R.D. n. 267/1942.

Il problema, in tal caso, consiste nella circostanza che bisognerebbe considerare “costituiti” tutti i creditori che hanno partecipato all’adunanza, a meno che non si ritenga di considerare che il solo interesse concreto che giustifichi la prosecuzione della procedura sia quello dei creditori che abbiano formulato proposte concorrenti, senza quindi considerare l’interesse meramente eventuale (o addirittura ipotetico) degli altri creditori a pronunciarsi su tali proposte. Anche in tal caso, se alcuni creditori non dichiarano di accettare la rinuncia, l’iter concordatario dovrebbe probabilmente proseguire finché non pervengano in tempo utile tutte le accettazioni necessarie, salvo che il giudice delegato o il tribunale non ritengano opportuno fissare un apposito termine.

   

5. La rinuncia all’azione

Il debitore potrebbe non limitarsi a rinunciare alla domanda, ma rinunciare anche all’azione e quindi al diritto di proporre il concordato e di chiederne l’omologazione.

La rinuncia all’azione non richiede, secondo la giurisprudenza, un’accettazione[31]. In tal caso, non sussistendo una legittimazione autonoma del creditore proponente a formulare la domanda di concordato[32], la procedura sarebbe soggetta ad estinzione. Di conseguenza, il tribunale dovrebbe procedere sulla base delle eventuali istanze di fallimento, non essendo possibile per il debitore – in seguito alla rinuncia all’azione - proporre un nuovo concordato.

   

6. La revoca della proposta

Diversa è la fattispecie della revoca della proposta di concordato.

Va premesso che, se non sono state presentate proposte concorrenti, qualora la proposta sia oggetto di revoca da parte del debitore la domanda di concordato dovrebbe essere dichiarata improcedibile per impossibilità di conseguire il risultato utile dell’azione[33], posto che verrebbero a mancare i presupposti di cui ai commi primo e secondo dell’art. 160, R.D. n. 267/1942 per fatto successivo al deposito imputabile al debitore[34].

Se la revoca della proposta ha luogo dopo l’ammissione al concordato, del pari la domanda dovrà essere dichiarata improcedibile.

Non a caso, l’art. 161, sesto comma, R.D. n. 267/1942, dispone che, qualora il tribunale accerti che il debitore abbia posto in essere una delle condotte previste dall’art. 173 prima del decorso del termine per il deposito della proposta, può con decreto “dichiarare improcedibile la domanda”. Del pari, pur in mancanza di un’espressa previsione legislativa, si deve ritenere che il mancato deposito della proposta nel termine stabilito dal tribunale comporti l’improcedibilità della domanda[35].

Va peraltro ribadito che secondo la giurisprudenza[36] la proposta non può essere revocata dal debitore una volta che il concordato sia stato approvato dai creditori, posto che l’approvazione equivarrebbe ad accettazione, secondo quanto previsto dall’art. 1328, primo comma, c.c.

Ora, se sussistono proposte concorrenti formulate dai creditori pare evidente che anche in seguito alla revoca della proposta principale la procedura di concordato resterebbe pur sempre pendente per effetto della domanda formulata dal debitore, che non potrà essere dichiarata improcedibile, proprio perché la domanda costituirà esercizio di un’azione il cui oggetto è definito dalle proposte concorrenti[37]. Il consenso dei creditori, infatti, si formerà riguardo alle sole proposte concorrenti, nell’ambito del procedimento di concordato introdotto dalla domanda formulata dal debitore.

Chiariti tali aspetti, rimane però il dubbio relativo all’idoneità della documentazione presentata con il ricorso ai sensi dell’art. 161, secondo comma, R.D. n. 267/1942, dal debitore che abbia revocato la proposta ad integrare il contenuto delle proposte concorrenti. Si potrebbe ipotizzare che la documentazione (situazione patrimoniale aggiornata, elenco dei creditori, etc.) rimanga comunque acquisita al procedimento: dovrebbe quindi formare parte del fascicolo d’ufficio, con la conseguenza che il cancelliere non dovrebbe consentire al debitore di ritirarla. Il legislatore ha previsto, in verità, che con il decreto di ammissione alla procedura venga ordinato al debitore di consegnare al commissario giudiziale copia informatica o su supporto analogico delle scritture contabili e fiscali obbligatorie (art. 163, secondo comma, lettera 4 bis, R.D. n. 267/1942) e il commissario, a sua volta, dovrà fornire ai creditori che ne facciano richiesta al fine della presentazione di proposte concorrenti, le informazioni utili, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del creditore (art. 165, secondo comma, R.D. n. 267/1942). Tuttavia, sembra arduo conferire ad un professionista designato dal creditore proponente il compito di redigere una relazione completa che attesti la veridicità di dati aziendali cui egli non abbia avuto accesso direttamente: per questo sembra essenziale che rimanga comunque acquisita al procedimento la relazione predisposta dal professionista designato dal debitore.

Va inoltre evidenziato che il sistema delineato dal nuovo testo dell’art. 163, R.D. n. 267/1942, sembra presupporre che le proposte concorrenti siano presentate soltanto dopo il deposito della proposta principale: il quarto comma prevede infatti che siano legittimati a presentare proposte concorrenti i creditori che “rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’art. 161, secondo comma, lettera a)”, e cioè quella situazione patrimoniale che costituisce un allegato necessario alla domanda ed alla proposta di concordato[38].

Può sembrare a prima vista pleonastico tale argomento: in un sistema che ancora non conosce la legittimazione del creditore a proporre una domanda di concordato, sembra evidente che le proposte concorrenti debbano essere presentate dopo il deposito della domanda e della proposta del debitore. Non va però trascurato che i termini di presentazione della domanda e della proposta possono non coincidere, dato che ai sensi dell’art. 161, quarto comma, R.D. n. 267/1942, il debitore può limitarsi a depositare il ricorso contenente la domanda di concordato riservandosi di depositare proposta e piano nel termine fissato dal giudice.

In mancanza di un espresso divieto, è stato ritenuto che i creditori possano presentare le proposte concorrenti anche prima del deposito di quella principale[39]: salva poi la verifica, da parte del giudice, della legittimazione del creditore proponente sulla base della situazione patrimoniale depositata dal debitore e dell’ammissibilità della proposta concorrente in base a quanto attestato dal professionista designato dal debitore ai sensi dell’art. 163, quinto comma, R.D. n. 267/1942[40].

V’è da chiedersi quindi quale sia la sorte di eventuali proposte concorrenti qualora il debitore ometta di depositare la propria nel termine stabilito dal tribunale. Sembrerebbe logico ritenere che anche in questo caso il concordato possa proseguire sulla base delle sole proposte concorrenti: tuttavia, i creditori non potrebbero beneficiare della disposizione dell’art. 165, secondo comma, R.D. n. 267/1942 (in quanto il commissario non può avere la disponibilità dei documenti che il debitore ha l’obbligo di consegnargli dopo l’ammissione al concordato): essi avrebbero quindi l’onere di supplire all’inerzia del debitore allegando la documentazione prevista dall’art. 161, secondo e terzo comma, R.D. n. 267/1942, e quindi anche una relazione completa che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di concordato, non potendo limitarsi ad allegare una relazione circoscritta “alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale”, come dispone l’art. 163, quarto comma, R.D. n. 267/1942, usufruendo della documentazione depositata dal debitore. In mancanza della documentazione prevista dalla norma predetta, qualsiasi proposta dovrebbe essere dichiarata inammissibile. Dal punto di vista pratico, appare difficile che il creditore che intenda presentare una proposta possa essere in possesso di documenti (una aggiornata relazione sulla situazione economica e finanziaria della società; stato analitico ed estimativo delle attività ed elenco dei crediti, etc.) di stretta pertinenza del debitore. Senza contare che, ancora una volta, appare veramente difficile richiedere la relazione di un professionista indipendente che non abbia accesso diretto ai dati aziendali. L’ipotesi considerata, quindi, appare difficilmente realizzabile: il problema che riguarda l’accesso ai dati del debitore, peraltro, dovrebbe essere tenuto presente dal legislatore qualora si introducesse nell’ordinamento la legittimazione del singolo creditore a proporre la domanda di concordato.

   

7. La dichiarazione di inammissibilità prevista dall’art. 162, secondo comma, e la revoca dell’ammissione al concordato ai sensi dell’art. 173, R.D. n. 267/1942

In dottrina sussiste un contrasto sugli effetti della revoca dell’ammissione al concordato, ai sensi dell’art. 173, R.D. n. 267/1942, riguardo alle proposte concorrenti. Da un lato si è sostenuto che la revoca, qualora siano state presentate proposte concorrenti, non comporterebbe la dichiarazione di fallimento[41], non potendo il creditore proponente risentire di profili di inammissibilità che non siano a lui imputabili[42]; dall’altro, si è affermato che la revoca dell’ammissione produrrebbe inevitabilmente un “effetto caducatorio” anche sulle proposte concorrenti, in quanto la procedura di concordato dovrebbe ritenersi conclusa per effetto della revoca, non lasciando le norme altro spazio al giudice se non quello di dichiarare il fallimento in presenza di istanze dei creditori o del pubblico ministero[43].

Analogo problema riguardo alla sorte delle proposte concorrenti si pone riguardo al caso in cui il tribunale dichiari inammissibile la proposta ai sensi dell’art. 162, secondo comma, R.D. n. 267/1942, sempre che si ritenga possibile presentare la proposta concorrente prima dell’apertura della procedura.

La soluzione non appare facile, considerate anche le incertezze terminologiche del legislatore sul punto.

L’art. 162, R.D. n. 267/1942, rubricato inammissibilità della proposta prevede, al secondo comma, che il tribunale, se verifica che non ricorrano i presupposti di cui agli artt. 160, ai commi primo e secondo, e 161, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato.

In dottrina, tuttavia, si è sostenuto doversi ritenere la previsione di inammissibilità della proposta contenuta nell’art. 162, R.D. n. 267/1942, frutto di “un’imprecisa scelta semantica”, dovendosi piuttosto fare riferimento all’inammissibilità della domanda, dato che “all’art. 173, terzo comma, si accenna esattamente all’ammissibilità del concordato, e non all’ammissibilità della proposta[44]. Si è ritenuto quindi che il decreto previsto da tale norma abbia ad oggetto l’inammissibilità della domanda[45].

La giurisprudenza è tuttavia divisa: se alcune pronunce fanno riferimento all’inammissibilità della domanda[46], non mancano quelle – numerose - che richiamano l’inammissibilità della proposta[47].

Tuttavia, i termini domanda e proposta non possono essere considerati sinonimi.

Si potrebbe allora ipotizzare che gli artt. 162, secondo comma (e 179, primo comma), e 173, primo comma, R.D. n. 267/1942, abbiano ad oggetto diverse fattispecie.

Il secondo comma dell’art. 162, infatti, fa riferimento in primo luogo ai presupposti di cui all’art. 160: presupposti che concernono esclusivamente la proposta ed il piano di concordato. Da tale punto di vista la norma sembra riguardare esclusivamente l’ammissibilità della proposta, soprattutto se interpretata alla luce del disposto del primo comma dell’art. 162, che prevede la concessione di un termine al debitore “per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti”, di modo che sembrerebbe che sia la proposta ad costituire oggetto del giudizio di ammissibilità, eventualmente dopo le integrazioni richieste[48]. Pertanto, coerentemente il legislatore avrebbe previsto che la pronuncia di inammissibilità incida sulla proposta e non sulla domanda (fermo restando che la domanda priva di proposta diverrebbe comunque improcedibile).

Sussiste tuttavia una discrasia, perché la norma fa poi riferimento ai presupposti stabiliti dall’art. 161, R.D. n. 267/1942, che concernono, invece, la domanda[49].

Pare allora che il decreto di inammissibilità possa avere ad oggetto la (sola) proposta (con conseguente improcedibilità della domanda), oppure la domanda (con implicita inammissibilità della proposta). Questo, nonostante la norma in esame faccia esplicito riferimento all’inammissibilità della proposta: e d’altro canto l’inammissibilità della domanda per carenza originaria dei presupposti di legge potrebbe essere pronunciata anche alla luce dei princìpi generali del processo civile.

Una prima soluzione potrebbe quindi ipotizzarsi riguardo alle proposte concorrenti. Qualora il tribunale riscontri la carenza dei presupposti di legge nella proposta, dovrebbe limitarsi a dichiarare l’inammissibilità di quest’ultima: di conseguenza, la procedura di concordato resterebbe pendente e la domanda sarebbe integrata dalle eventuali proposte concorrenti.

Se invece il giudizio di inammissibilità avesse ad oggetto la domanda, allora inevitabilmente anche le proposte concorrenti resterebbero travolte dal decreto del tribunale (che dovrebbe esplicitamente pronunciarsi sull’inammissibilità della domanda).

Ciò posto, l’art. 173, R.D. n. 267/1942, prevede che il tribunale apra d’ufficio “il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato”.

Sembrerebbe di potersi affermare che in realtà non potrebbe essere revocata l’ammissione al concordato, che costituisce un fatto storico. Oggetto della revoca parrebbe essere, quindi, il decreto previsto dal primo comma dell’art. 163, R.D. n. 267/1942, con cui il tribunale “dichiara aperta la procedura di concordato preventivo”.

Il decreto reso ai sensi dell’art. 173, secondo comma, R.D. n. 267/1942, con cui si conclude “il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato”, sembrerebbe quindi risolversi in una dichiarazione di improcedibilità della domanda di concordato.

Si potrebbe allora concludere che all’improcedibilità della domanda debba necessariamente conseguire l’inefficacia delle proposte concorrenti, in quanto atti successivi che da quella dipendono. Non senza porsi, tuttavia, un quesito: se, cioè, alla luce della nuova disciplina e tenendo comunque conto di quanto dispone l’art. 173, secondo comma, R.D. n. 267/1942, il tribunale possa limitarsi a dichiarare l’improcedibilità della proposta del debitore (senza quindi revocare il decreto che apre la procedura), lasciando sopravvivere le proposte concorrenti[50]. E questo all’esito di una valutazione relativa all’incidenza dei fatti previsti dall’art. 173 sull’improcedibilità della domanda (perché siano venuti meno i presupposti di ammissibilità), ovvero sulla proposta (perché siano stati compiuti atti di frode).



[1] Cfr. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, Milano, 2015, 30.

[2] Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare – terza parte, in ilCaso.it, 9 settembre 2015, 5 s.; Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, in ilCaso.it, 2 febbraio 2016, 19 ss.; Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, in ilFallimentarista.it, 15 settembre 2015, 1 ss.

[3] Cfr. Sotgiu, Il nuovo concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2015, 1521 s.; ravvisano un potere di controllo sull’ammissibilità delle proposte concorrenti Lamanna, op. cit., 29; Vitiello, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: le possibili soluzioni alle primissime questioni interpretative, in ilFallimentarista.it, 4 dicembre 2015.

[4] In dottrina si è sostenuto (Lamanna, op. cit., 27), che la lettera del quarto coma dell’art. 163 “sembra considerare poi conteggiabile l’acquisto ai fini del raggiungimento della soglia del 10% solo per chi sia (già) creditore”, escludendo la legittimazione dei terzi che divengano creditori per effetto di una cessione successiva alla presentazione della domanda; secondo tale dottrina non è rilevante – alla luce del chiaro dettato normativo - la circostanza che nella Relazione al disegno di legge la ratio della disposizione venga individuata “nella possibilità di consentire ai creditori, o ad altri imprenditori che acquistino crediti verso l'impresa in crisi, di presentare proprie proposte ai creditori”. Nello stesso senso Varotti, op. cit.,6 s., il quale rileva la palese contraddizione della norma rispetto alla possibilità che il piano relativo alla proposta concorrente preveda l’intervento di terzi (art. 163, quinto comma) (ivi, 2 ss.); per un’analoga considerazione sulla contraddittorietà della norma cfr. inoltre Vella, op. cit., 23. Farolfi, Concordato preventivo: le novità di agosto, in ilFallimentarista.it, 11 dicembre 2015, 9, ritiene che la qualità di creditore possa al più essere acquisita nel periodo successivo al deposito del ricorso ai sensi dell’art. 161, sesto comma, ma comunque prima del deposito della proposta. Considerano invece legittimati a presentare una proposta concorrente anche quanti abbiano acquistato la qualità di creditori successivamente all’iniziativa concordataria del debitore Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della ‘miniriforma’ del 2015, in Dir. Fall., 2015, I, 374; Vitiello, op. cit.; D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, 1165, il quale tuttavia non sembra porsi un problema d’interpretazione della norma.

[5] Cfr. Vella, op. cit., 24 s.; D’Attorre, op. cit., 1176 ss.

[6] Cfr. Ambrosini, op. cit., 375 e ivi i richiami contenuti nella nota 21.  

[7] Vella, op. cit., 26, ipotizza l’applicabilità della tutela cautelare d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c.; Vitiello, op. cit., fa riferimento alla sanzione dell’inammissibilità ex art 173, R.D. n. 267/1942, come si ricaverebbe dall’art. 185, quarto comma, aggiungendo che il creditore concorrente non può “risentire profili d’inammissibilità ex art. 173 l. fall. di cui egli non ha responsabilità alcuna” e ipotizzando, quindi, la prosecuzione della procedura; cfr. inoltre Galletti, Le proposte concorrenti, cit., 10 ss.

[8] Lamanna, op. cit., 33; Vitiello, op. cit.; Varotti, op. cit., 14; Vella, op. cit., 27, secondo cui “la legge pone la domanda del debitore come condizione di proponibilità, ma non anche di procedibilità, della proposta concorrente”; contrario D’Attorre, op. cit., 1173.

[9] È il caso ad esempio, del termine ritiro usato dalla dottrina (Bellè, La modifica e il ritiro della domanda di concordato preventivo, in Fallimento, 2015, 645 ss.; Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in ilCaso.it, 21 agosto 2015) forse sulla scorta del termine withdrawal usato in common law per indicare la rinuncia all’impugnazione o la rinuncia alla costituzione in giudizio, ma anche il recesso dalla compagine societaria. Il termine nel codice civile è usato per indicare atti materiali (ritiro del testamento dalle mani del notaio, art. 608; ritiro del deposito eseguito dal debitore a seguito di offerta reale, artt. 1210 e 1213) ed è contrapposto alla revoca (art. 685).

[10] Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fallimento, 2011, 173 s. (concetti ribaditi poi ne Il concordato preventivo, in Comm. Scialoja Branca, Bologna – Roma, 2014, 163 ss.), il quale non manca di notare che si tratta “di una distinzione che non sempre è praticata” (ivi, nt. 3); la Suprema Corte ha statuito che “il modulo procedimentale delineato [dall’art. 160, R.D. n. 267/1942] distingue dunque tre elementi, individuabili rispettivamente in una domanda di accesso alla procedura, in una proposta rivolta ai creditori in essa contenuta, nella prospettazione di un piano, indicato come lo strumento idoneo a perseguire gli obiettivi delineati” (Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Fallimento, 2013, 150, con nota di Fabiani, La questione ‘fattibilità’ del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite).

[11] Sul punto cfr. l’ampia trattazione di Lo Cascio, Il concordato preventivo e le altre procedure di crisi, Milano, 2015, 69 ss.

[12] cfr. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare diretto da V. Buonocore e A. Bassi, Padova, 2010, I, 569.

[13] Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit.

[14] Cordopatri, Il processo di concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2014, 359.

[15] Le espressioni sono di Cordopatri, op. cit., 359 e 347.

[16] Cass., 28 aprile 2015, n. 8575, in Fallimento, 2016, 30.

[17] Cass., SS. UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Fallimento, 2013, 153.

[18] Cfr. Abete, La struttura contrattuale del concordato preventivo: riflessioni a latere della sentenza n. 1521/2013 delle sezioni unite, in Dir. Fall., 2013, I, 867 ss; per una recente sintesi critica delle tesi contrattualistiche cfr. Ricciardiello, Il ruolo del commissario giudiziale nell’era del “fallimento del contrattualismo concorsuale”, in Giur. comm. 2015, I, 719 ss.

[19] Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 81;la difficoltà di delineare una qualificazione giuridica del concordatoin passato era già stata sostenuta da Sacchi, Il principio di maggioranza nel concordato e nell’amministrazione controllata, Milano, 1984, 385 ss.

[20] Cfr. Sassani, Sull’oggetto della rinuncia all’azione, in Riv. dir. proc., 1977, 531, secondo cui la rinuncia investe il diritto processuale al provvedimento di merito.

[21] Secondo Bellè, Convenienza e legittimità delle soluzioni concordatarie, in Fallimento, 2012, 512, “la proposta concordataria, pur inserendosi in un procedimento giudiziale, ha certamente la natura di un atto unilaterale tra vivi avente contenuto patrimoniale”.

[22] Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 270.

[23] Trib. Torino, 27 novembre 2014 (decr.), in Fallimento, 2016, 33 ss. e spec. 36; Trib. Parma, 2 ottobre 2012 (decr.), in ilCaso.it e in ilFallimentarista, 9 aprile 2013, con nota di M. Ranieli.

[24] Galletti, Una riflessione sulla revoca dell’ammissione del concordato: la rinunzia alla proposta con “nuova domanda” dopo l’atto di frode, in ilFallimentarista.it, 11 ottobre 2012; Bellè, La modifica e il ritiro della domanda di concordato preventivo, cit., 651.

[25] Vacchiano, Modifica e rinuncia della proposta di concordato preventivo, in Fallimento, 2016, 45 s.; Ambrosini – Aiello, La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo, in ilCaso.it, 4 maggio 2014.

[26] Cass., 21 giugno 2002, n. 9066.

[27] Secondo Cass., 24 marzo 2011, n. 6850, l’accettazione della rinuncia agli atti del giudizio è necessaria “solo quando, nel rapporto processuale già instaurato, vi sia una parte costituita che potrebbe avere interesse alla prosecuzione del giudizio, non rilevando a tal fine che la parte non costituita abbia un interesse a partecipare al giudizio o un interesse dipendente da quello ivi dedotto”.

[28] Cass., SS.UU., 15 maggio 2015, n. 9935 in Fallimento, 2015, 900 ss., con note di De Santis, Principio di prevenzione e abuso della domanda di concordato, e di Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria dopo le Sezioni unite del maggio 2015.

[29] Cass., SS.UU., 15 maggio 2015, n. 9935, cit.

[30] Cfr. in tal senso Sotgiu, op. cit., 1515, nt. 4; contrari D’Attorre, op. cit., 1173 s., il quale dalla legittimazione esclusiva del debitore a presentare la domanda di concordato deduce che l’eventuale rinuncia del debitore “impedisce alla procedura di proseguire il suo corso e determina, inevitabilmente, la caducazione anche delle proposte concorrenti”: sembra tuttavia che l’autore confonda la rinuncia agli atti del giudizio con la rinuncia all’azione; Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in ilCaso.it, 6 agosto 2015, 13 s., il quale ponendosi il quesito se il debitore possa rinunciare alla domanda di concordato a fronte della presentazione di proposte concorrenti, afferma che “sino a quando non si è formato il consenso con la platea dei creditori a me pare che la rinuncia sia sicuramente praticabile anche se porta con sé la caducazione delle proposte concorrenti che presuppongono che sia aperto un procedimento di concordato”; Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo, cit., 372, secondo cui “in un sistema in cui la proposta concorrente non può precedere, ma deve necessariamente seguire, l’iniziativa del debitore, la proposta del terzo sta e cade con la domanda presentata dall’imprenditore”: ma si tratta di rinuncia all’azione?  

[31] Cfr. Cass., 14 novembre 2011, n. 23749; Cass., 10 settembre 2004, n. 18255.

[32] Il tema, come è noto, ha formato oggetto di un apposito enunciato nella recente bozza di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali.

[33] Cfr. Mandrioli – Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2015, I, 51; in giurisprudenza cfr. Cass., 20 novembre 2013, n. 26041.

[34] Come è noto, nell’elaborazione resa dalla dottrina l’inammissibilità attiene alla mancanza ab origine dei requisiti previsti dalla legge (ad esempio carenza di legittimazione determinata dall’assenza dei presupposti, carenza dei requisiti di forma o contenuto dell’atto processuale), mentre l’improcedibilità attiene all’omissione delle attività integranti atti di impulso successivi all’esercizio dell’azione: cfr. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 498, richiamato da Picierno, Il giudizio innanzi alla Corte di cassazione, in Il ricorso per cassazione a cura di L. Levita, Nuova Giuridica, Matelica, 2015, 127; cfr. inoltre Mandrioli – Carratta, op. cit., II, 649 ss.

[35] Cfr. Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 337 s.

[36] Cass., 28 aprile 2015, n. 8575, cit., 30; nella specie, la Suprema Corte ha esaminato la dichiarazione, formulata dal debitore, di rinuncia agli effetti della sentenza della Corte d’Appello che aveva disposto l’omologazione del concordato. Alcuni creditori avevano proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza e il debitore, sostenendo che fosse venuta meno la fattibilità del concordato, aveva chiesto la conferma della dichiarazione di fallimento pronunciata in primo grado. La Cassazione ha ritenuto che “tale rinuncia si traduce sostanzialmente in un abbandono della relativa proposta, atteggiandosi quindi come una revoca della stessa, non più ammissibile una volta che i predetti effetti abbiano trovato consacrazione nel provvedimento di omologazione”. Al di là del problema del termine entro cui la revoca della proposta può assumere efficacia, la pronuncia può offrire un presupposto utile ad analizzare il coordinamento degli effetti della rinuncia (alla domanda, o all’azione) nel caso in cui sussistano proposte concorrenti. L’implicita revoca della proposta connessa alla rinuncia alla domanda non comporta, infatti, la revoca delle proposte concorrenti. Diversamente si dovrebbe però argomentare nel caso di rinuncia all’azione (cfr. supra, par. 5).

[37] In passato la giurisprudenza di merito ha avuto modo di sostenere che “Benché siano pendenti istanze di fallimento e sia in corso il procedimento di cui all’art. 173 l.fall., la presentazione, da parte del debitore, di una nuova proposta, contestualmente alla revoca di quella originaria, prima che decorrano i termini di cui all’art. 178 l. fall., è ammissibile e non comporta l’instaurazione di una nuova procedura, con nuova delega al giudice e incarico ad altro commissario, inserendosi il nuovo piano concordatario all’interno del procedimento originario” (Trib. Bari, 9 giugno 2010, decr., in Fallimento, 2011, 66 ss., con nota critica di Vacchiano, Revoca e modifica della proposta di concordato preventivo, il quale – trattando tuttavia del diverso problema dei termini per la revoca o la modificabilità della proposta – afferma che tale pronuncia “sembra evocare la distinzione dottrinaria concettuale (risalente in dottrina) tra ‘domanda giudiziale’ e ‘proposta’(…). Ad essere revocata o modificata, dunque, non sarebbe la domanda giudiziale, ma soltanto la proposta” (ivi, 76). La distinzione, che l’autore non fa tuttavia oggetto di commento, pare quanto mai attuale nel trattare delle proposte concorrenti.

[38] Secondo alcuni autori sarebbe stato più corretto fare riferimento all’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti, di cui alla successiva lettera b) dell’art. 161, secondo comma, R.D. n. 267/1942: cfr. D’Attorre, op. cit., 1166; Vella, op. cit., 27.

[39] Cfr. Varotti, op. cit., 14; Galletti, Le proposte concorrenti, cit., 1, nt. 2; Vella, op. cit., 28 s., deduce la necessità che la proposta concorrente segua ad una proposta completa del debitore dalla circostanza che la relazione prevista dal terzo comma dell’art. 161, che il creditore ha l’onere di allegare, possa essere limitata agli aspetti che non siano stati oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale. Tuttavia, dato che l’art. 163, quarto comma, fa riferimento ad una facoltà (può essere limitata) concessa al creditore nell’ambito dell’onere di allegazione, nulla vieta – in ipotesi - che alla proposta concorrente sia allegata un relazione completa.

[40] Contraria Vella, op. cit., 27 s., secondo la quale l’attestazione del professionista che ne determini l’inammissibilità dovrebbe essere necessariamente antecedente alle proposte concorrenti. Non si vede perché, tuttavia, il tribunale non possa valutare anche da tale punto di vista l’ammissibilità delle proposte concorrenti presentate prima della proposta del debitore. La stessa autrice, d’altro canto, giunge ad ipotizzare una facoltà, per i creditori, di presentare proposte concorrenti “con riserva” ai sensi dell’art. 161, sesto comma, R.D. n. 267/1942.

[41] Sotgiu, op. cit., 1515, nt. 4; tale conclusione sembra basarsi sulla necessità di evitare abusi da parte del debitore, che potrebbe strumentalmente compiere, ad esempio, atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del tribunale con l’intenzione di porre nel nulla le proposte concorrenti; cfr. inoltre Galletti, Le proposte concorrenti, cit., 18.

[42] Vitiello, op. cit.

[43] Cfr. D’Attorre, op. cit, 1174; secondo Vella, op. cit., 26, la sanzione dell’art. 173, R.D. n. 267/1942 ridonderebbe anche in danno del creditore proponente perché la prosecuzione dell’iter concordatario realizzerebbe un’improbabile dissociazione fra sanzione e regolazione della crisi, con un effetto dirompente non immaginabile in mancanza di esplicita previsione normativa. Tale tesi non tiene conto che la proposta concorrente è in effetti diretta a realizzare una regolazione della crisi in dissociazione con la legittimazione a proporre il concordato, che permane in capo al debitore.

[44] Così Vacchiano, Revoca e modifica, cit., in Fallimento, 2011, 77, e ivi nt. 31.

[45] Cfr. ad esempio Ambrosini, L’ammissione al concordato, in Tratt. di diritto fall. diretto da F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, Torino 2014, IV, 223 ss.: l’autore usa in verità indifferentemente i termini “inammissibilità della domanda”, “inammissibilità della proposta”, “inammissibilità del ricorso”; De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, in Tratt. di dir. comm. diretto da F. Galgano, Padova, 2012, 432 ss.; Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 330, fa riferimento alle “condizioni di ammissibilità della domanda”.

[46] Cfr. Cass., SS. UU., 15 maggio 2015, n. 9936; Cass., SS. UU., 15 maggio 2015, n. 9935; Cass., 22 maggio 2014, n. 11423; Cass., 14 ottobre 2013, n. 23217; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860; Cass., 6 agosto 2010, n. 18437; Cass., 2 aprile 2010, n. 8186; Cass., 12 agosto 2009, n. 18236; Cass., 21 giugno 2007, n. 14503.

[47] Cfr. Cass., 31 luglio 2015, n. 16217; Cass., 14 gennaio 2015, n. 495; Cass., 23 maggio 2014, n. 11496; Cass., 22 maggio 2014, n. 11423; Cass., 6 maggio 2014, n. 9730; Cass., 25 settembre 2013, n. 21901; Cass., 9 maggio 2013, n. 11014; Cass., 23 giugno 2011, n. 13817; Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586; Cass., 25 ottobre 2010, n. 2186; Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860.

[48] L’interpretazione giurisprudenziale del primo comma dell’art. 162, R.D. n. 267/1942 sembra circoscrivere la facoltà di integrazione alle modifiche del piano ed ai documenti che possano “soddisfare maggiormente la completezza informativa al fine di assicurare il consenso informato dei creditori” (Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586) e quindi all’ambito della proposta e del piano; cfr. inoltre Trib. Rovigo, 20 marzo 2015 (decr.), in ilFallimentarista.it, 22 aprile 2015, secondo cui non rientra nel disposto della norma la possibilità di sostituire o modificare l’attestazione prevista dall’art. 161, terzo comma; conf. Trib. Venezia, 8 maggio 2014 (decr.), in ilCaso.it; Trib. Torino, 23 dicembre 2010 (decr.), in ilFallimentarista.it, 30 novembre 2011, secondo cui la delibera del consiglio di amministrazione di cui all’art. 152, R.D. n. 267/1942 è insuscettibile di integrazione ai sensi del primo comma dell’art. 162, poiché tale norma consente al tribunale solamente di richiedere integrazioni del piano e non delle condizioni di proponibilità della domanda.

[49] Cfr. Fabiani, Il concordato preventivo, cit., 325 ss., che evidenzia come il tribunale debba esaminare varie questioni, fra cui la propria competenza, la sussistenza dello stato di crisi, la legittimazione del debitore ai sensi dell’art. 152, R.D. n. 267/1942, etc.

[50] In tal senso si esprime Galletti, Le proposte concorrenti, cit., 18, ipotizzando però una pronuncia di inammissibilità della proposta del debitore.


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