ProcCivile


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 29/02/2016 Scarica PDF

Ammissibilità e limiti della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. nel processo amministrativo (Nota A T.A.R. ROMA, [LAZIO], sez.II, 12 aprile 2013, n. 3753)

Andrea C. Romano, Avvocato in Cuneo


La possibilità dell'utilizzo della consulenza tecnica preventiva all'interno del processo amministrativo emerge nel diritto positivo dal combinato disposto del D. Lgs.204/2010 che ha introdotto il Codice del Processo Amministrativo e dell'art. 2, comma 3, lett. e bis), n. 6), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella L. 14 maggio 2005, n. 80 che ha apportato, all'interno del codice di rito civile, il nuovo art.696-bis.

Quest'ultima norma infatti ha creato un istituto giuridico alquanto diversificato (almeno nelle intenzioni) rispetto alla “vecchia “ a.t.p. prevista dell'art. 696 da cui è stato poi gemmato il nuovo articolo[1].

Diverso per presupposti,  finalità, oggetto ed estensione dell’ambito di verifica. Per presupposti, poiché la nuova c.t.p. non richiede ai fini della sua ammissibilità il requisito del periculum in mora. Per finalità, poiché il nuovo articolo affida espressamente al nominando consulente mandato conciliativo, come codificato dai capoversi dell'art. 696-bis. Per oggetto, perché l’a.t.p. come riscritto dalla novella del 2005 contempla ora anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni oggetto della verifica, recependo un filone giurisprudenziale che già in passato aveva ampliato tale mezzo istruttorio altrimenti confinato a mera fotografia statica della situazione di fatto, mentre la c.t.p. non contiene, almeno secondo la littera legis, tale indicazione. Infine differisce per l'estensione dell’oggetto di verifica, laddove la c.t.p. viene effettuata ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

Per vero la prassi pretoria, dopo un iniziale scoraggiamento all'utilizzo della nuova c.t.p. con motivazioni velatamente ma squisitamente deflattive, ha esteso di molto l'utilizzo del mezzo istruttorio in questione parificandolo, sostanzialmente, alla vecchia a.t.p. e ammettendolo indiscriminatamente per di più al di fuori del più rigido parametro valutativo legato al pericolo nel ritardo. E ciò specialmente nelle materie della responsabilità medica e degli  appalti di lavori per l'accertamento dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

Allo stato, nel panorama giurisprudenziale amministrativo si registra, oltre la pronuncia qui in commento (T.A.R. Roma, [Lazio], sez. II, 12/04/2013  n. 3753) che affronta funditus i problemi di ammissibilità e i limiti di esercizio dell’istituto in questione nel processo amministrativo, anche T.A.R. Venezia, (Veneto), sez. II, 14/12/2011, n. 1830, espressamente menzionato dal tribunale capitolino che ha trattato, pur se marginalmente, la c.t.p., venendo ad escluderla per l’acclarata carenza dei presupposti richiesti dalla norma (e cioè l'insussistenza di crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito). Si riscontra, inoltre, T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 22/10/2010, n. 32950 che rigetta la richiesta di c.t.p. ante causam per difetto di giurisdizione poiché, ivi si afferma, la posizione giuridica sottostante la richiesta di c.t.p. attiene a diritti di cui viene lamentata la lesione in dipendenza di comportamenti non riconducibili nemmeno mediatamente all'esercizio di un pubblico potere[2]. Dunque, la giurisprudenza a oggi conosciuta, pare molto cauta nell’ammissibilità di tale istituto all’interno del processo amministrativo.

Venendo all’esame di T.A.R. Lazio 2013  n. 3753, qui in commento, la sentenza parte dal doveroso esame del comma 5 dell'art. 63 c.p.a. che espande espressamente l'esperibilità dei mezzi di prova nel processo amministrativo a tutti quelli previsti dal codice del processo civile con formula che esclude soltanto "...l'interrogatorio formale ed il giuramento...". Ora se, certamente, tale indirizzo di pensiero potrebbe abbracciare nella sua portata applicativa anche la c.t.p., prosegue T.A.R. Lazio, cionondimeno la consulenza preventiva di cui si discute, attesa la sua specifica finalità deflattiva e la sua natura di mezzo istruttorio che precede l'eventuale giudizio di cognizione, non è certamente espressiva di un principio generale del c.p.c., ex art. 39 c. 1 del C.p.a. Ciò afferma il tribunale romano pur dando conto dell’indirizzo delle Sezioni Unite Civili che ritiene che l'art. 696 bis c.p.c., avente ad oggetto la "consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite", è stato aggiunto... tra i "procedimenti di istruzione preventiva", già previsti dal codice di rito, per cui non vi è ragione per non ritenere che ne condivida la natura[3].

Orbene, tale interpretazione data da T.AR. Lazio, appare troppo restrittiva, anche alla luce del dato normativo. Invero l’art.39, al comma 1, nell’effettuare il rinvio esterno dispone che, per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali.

Non è convincente innanzitutto che la c.t.p. non sia espressiva di un principio generale del c.p.c., posto che la finalità deflattiva del contenzioso cui il Tribunale romano ricollega la sua pretesa carenza di generalità, è invece principio informatore del nostro ordinamento giuridico che ha innervato tutta la più recente legislazione. Infatti negli ultimi anni si è assistita all’introduzione di tutta una serie di A.D.R., non solo nella materia civile[4], ma anche in quella amministrativa[5].

Ma quello che meno convince di tale interpretazione restrittiva è il dato normativo di cui all’ultimo periodo del primo comma dell’art.39 che prevede il suddetto rinvio esterno. Infatti, si legge qui, che “si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”. L’utilizzo della forma disgiuntiva ai fini del rinvio esterno al c.p.c.  evidenzia come sia sufficiente, per il predetto rinvio, la compatibilità delle disposizioni del codice di rito civile con quello di rito amministrativo. A fronte di una norma, come quella di cui all’art.63 c. 4 del c.p.a., di cui già si è detto, non pare sostenibile la tesi per cui l’art.696-bis c.p.c. non sarebbe compatibile col processo amministrativo.  Invero essa prevede che, qualora reputi necessario l'accertamento di fatti o l'acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l'esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica.

A maggior ragione, poi, tale compatibilità emerge dal successivo comma 5 del predetto art.63 c.p.a., laddove si precisa che il giudice può disporre anche l'assunzione degli altri mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, esclusi (solamente) l'interrogatorio formale e il giuramento.

Anche il requisito dell’indispensabilita’, evidenziato nella sentenza in commento come assolutamente imprescindibile ai fini del darsi ingesso in causa alla consulenza tecnica appare sopravvalutato: sottolinea infatti il giudice romano “che la compatibilità di detto mezzo di prova con la disciplina processuale amministrativa non appare contraddistinta dalla latitudine desumibile dalla citata sentenza del Cons. St.[6]  ma, più propriamente, da un ambito applicativo ridotto ai soli casi in cui, pur preventivamente, la Consulenza tecnica sia giudicata indispensabile.”. È evidente che con il lemma “indispensabile” il legislatore faccia riferimento non tanto a una sorta di astratto requisito di ammissibilità processuale, quanto alla circostanza che tale accertamento appaia imprescindibile per il giudice in ragione delle specifiche competenze tecniche che sono  richieste per dare risposta a una quaestio facti dalla cui risoluzione dipende l'esito della futura causa di merito.

Pare dunque di poter sostenere che il combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art.63 militi incontrovertibilmente per la piena ammissibilità della consulenza tecnica preventiva nel processo amministrativo, ove il primo di tali commi esplicitamente ammette l’ammissibilità della c.t. e il secondo prevede una vera e propria clausola di generale ammissibilità di tutti i mezzi di prova, con la sola espressa esclusione del deferimento dell’interpello e del giuramento decisorio.

D’altronde nella pratica ben si evidenzia la necessità dell’utilizzo di tale mezzo di (valutazione della) prova. Invero si pensi alla posizione di un privato cittadino che rivesta la qualità di controinteressato rispetto al rilascio da parte del Comune di un permesso di costruire richiesto dal proprietario di un fondo a destinazione agricola confinante col suo, in merito alla realizzazione di un nuovo insediamento di allevamento di bestiame dichiarato a “medio impatto igienico – sanitario” in virtù delle n.t.a. del p.r.g.c., il quale nulla potendo eccepire in merito a tale qualificazione né circa la distanza dalla sua abitazione, che viene formalmente rispettata, faccia acquiescenza a tale provvedimento, che dunque diventa inoppugnabile. Ove successivamente il soggetto si renda conto che le immissioni provenienti dal  fondo attiguo risultino intollerabili, e previo conferimento di incarico a un tecnico di propria fiducia,  ragionevolmente egli  può affermare in base alle cognizioni tecniche acquisite che in realtà l’insediamento de quo rivesta carattere e natura “industriale” per cui,  sulla scorta delle predette n.t.a., sarebbe risultato in realtà non assentibile. Nell'ipotesi in cui, per vero abbastanza frequente nella pratica, sia decorso il termine decadenziale di diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento viziato per ottenere l’annullamento d’ufficio ex art.21-nonies L.241/90[7], egli si vedrebbe sostanzialmente sprovvisto di tutela, laddove incolpevolmente ha fatto acquiescenza ad un provvedimento amministrativo di poi risultato (presumibilmente) illegittimo. In tale ipotesi, peraltro, non sussisterebbero nemmeno i presupposti per la revoca in via di autotutela ex comma 2, art.21-quinquies L.241/90. Unica strada che rimarrebbe al privato in tale evenienza sarebbe allora quella di richiedere il risarcimento del danno alla P.A., in questo caso necessariamente per equivalente, strumento di cui si è definitivamente e finalmente arricchito il “potere giudiziario”[8]. A questo proposito, onde evitare di iniziare un’azione giudiziaria “al buio” e al fine di accertare la sussistenza di crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni da parte della P.A. l'esperimento del mezzo istruttorio in questione appare opportuno, se non necessario. Ciò anche nell’ottica di una definizione precontenziosa della vertenza, che risulta, peraltro, quale ratio precipua della c.t.p.

Peraltro, l'art.30, secondo comma, c.p.a. prevede il termine decadenziale di 120 giorni per la proposizione dell'azione risarcitoria, il che pone l'ulteriore problema del dies a quo da cui farlo decorrere, problema che ha occupato la dottrina recentemente. Posto che la legge afferma che tale termine coincide, tra l'altro, dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo, la dottrina più attenta ritiene che l'opzione interpretativa preferibile è “quella che fa decorrere il termine per la proposizione dell'azione risarcitoria dal momento in cui le conseguenze dannose siano esattamente percepibili e quantificabili dalla vittima con l'uso dell'ordinaria diligenza, salva l'ipotesi, da considerarsi eccezionale, in cui l'emanazione del provvedimento illegittimo costituisca non solo fonte della lesione della posizione soggettiva ma anche un danno conseguenza”[9]. Ai fini dell’utile esperimento della azione risarcitoria non è, infatti, sufficiente la semplice percezione della lesione della sfera giuridica individuale provocata dall’atto illegittimo, ma è altresì necessaria un’esatta percezione delle conseguenze dannose che, nella maggior parte dei casi, non avviene al momento della conoscenza dell’atto ma in quello in cui tali conseguenze si sono prodotte e sono divenute conoscibili alla vittima anche in relazione al nesso eziologico che le lega al fatto illecito[10]. Invero, è stato condivisibilmente affermato che la responsabilità della p.a. da attività procedimentale illegittima, sia pure con talune peculiarità, ha natura extracontrattuale ed è riconducibile all'illecito aquiliano di cui all'art. 2043 c.c. Ne consegue che il dies a quo del termine per la proposizione dell'azione risarcitoria, in applicazione della regola civilistica secondo cui la prescrizione comincia a decorrere da quando il diritto può essere fatto valere[11], decorrerà solamente dal momento in cui vi sia tale esatta percezione.

Ora è evidente che l'esatta percezione di tali conseguenze dannose nonché del nesso eziologico che lega al fatto potrà avvenire proprio col deposito della relazione di perizia nell'ambito dell’instaurando procedimento per c.t.p. e dunque solo da tale momento inizierà a decorrere il termine decadenziale per l'esercizio dell'azione risarcitoria.

Se si sostenesse che il momento in cui le conseguenze dannose sono immediatamente riconoscibili da parte del privato coincidesse col la redazione della perizia di parte o, peggio ancora, quando egli ha avuto la concreta cognizione del danno determinato ad esempio dalla percezione dall'intollerabilità delle immissioni, tale soggetto sarebbe sostanzialmente privato di ogni tutela, posto che dovrebbe iniziare l'azione risarcitoria a far data da tale momento, sotto pena, in difetto, di decadenza, senza la giuridica consapevolezza di aver effettivamente subito il danno. Invero la giurisprudenza processualcivilistica ha codificato in tale momento quello da cui far decorrere il termine, per esempio, per la denuncia dei vizi redibitori[12].

Deve dunque concludersi, pur col limite del giudizio formulato dal giudice in merito alla sua indispensabilità ai fini della risoluzione della futura causa di merito, per la piena ammissibilità della procedura ex art.696-bis c.p.c all’interno del processo amministrativo. Ciò anche alla luce della nuova dimensione che quest’ultimo ha assunto nella visione di un giudizio non più sull’atto, teso a verificarne la rispondenza estrinseca al paradigma normativo, ma un giudizio sul rapporto, teso a scrutinare la relazione regolata dall'atto e, quindi, a valutare la fondatezza della pretesa sostanziale onde regolare au fond la res litigiosa[13].



[1] Art. 696 c.pc. (Accertamento tecnico e ispezione giudiziale)Chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualita' o la condizione di cose può chiedere, a norma degli articoli 692 e seguenti, che sia disposto un accertamento tecnico o un'ispezione giudiziale. L'accertamento tecnico e l'ispezione giudiziale, se ne ricorre l'urgenza, possono essere disposti anche sulla persona dell'istante e, se questa vi consente, sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta. L'accertamento tecnico di cui al primo comma può comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica.

Il presidente del tribunale o il giudice di pace provvede nelle forme stabilite negli articoli 694 e 695, in quanto applicabili, nomina il consulente tecnico e fissa la data dell'inizio delle operazioni. Art. 696-bis c.pc. (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.

Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione.

Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale è esente dall'imposta di registro. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili.

[2] Invero i ricorrenti, tutti residenti a Roma in zona interessata dalla realizzazione della linea ad alta velocità Roma-Napoli e dal raddoppio della linea ferroviaria Roma-Sulmona, tratta Lunghezza Salone, hanno introdotto istanza per espletamento di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 696 bis c.p.c., chiedendo la nomina di un consulente tecnico che proceda all’accertamento dello stato attuale degli immobili di proprietà, nonché sulle condizioni dell'ambiente circostante e sul livello delle immissioni conseguenti alla realizzazione della linea di alta velocità, accertandone le cause e quantificandone i danni. Rileva invece il Tribunale Amministrativo Regionale che le contestazioni e le lamentazioni dei ricorrenti esulano dalla giurisdizione del g.a. e andrebbero invece rivolte al g.o. per violazione del generale precetto del neminem laedere, in quanto tale giudice è competente ad offrire tutela a chi subisce un danno o pericolo di danno, come effetto di azioni od omissioni materiali dell'amministrazione, contrarie alle regole della diligenza, della prudenza e della tecnica nella costruzione e manutenzione di un'opera pubblica.

[3] cfr.CC SS.UU. 2007 n. 14301.

[4] come la mediazione obbligatoria ex decreto legislativo 28/2010, attuativo peraltro della direttiva dell’Unione europea n. 52 del 2008, la negoziazione assistita ex capo II  Decreto Legge n. 132/2014, recante "Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile", convertito con modificazioni in Legge n. 162/2014

[5] come le A.D.R. in materia di appalti ex art.243-bis D. Lgs. 163/2006 che prevede l’Informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale, meccanismo nato con lo scopo precipuo di ridurre le ipotesi di ricorso al Giudice in materia con la previsione di un meccanismo preventivo di risoluzione delle controversie teso a stimolare l’esercizio del potere di autotutela in capo alla stazione appaltante, come ancora – in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – la Richiesta di parere all’autorità di Vigilanza ex art 6, comma 7, lettera n. D.Lgs. 163/2006 che si concreta nella possibilità di proporre istanza di parere all’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici che “su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”.

[6] ci si riferisce alla pronuncia dei giudici della IV sezione di Palazzo Spada del 2011 n.5769 laddove invece l’ammissibilita’ dell’a.t.p. ex  art.696 viene generalmente estesa al processo amministrativo

[7] Termine ora previsto a seguito della modificazione apportata dall’art. 25, comma 1, lett. b-quater), nn. 1) e 2), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164

[8] CARINGELLA, Roma, 2016, Manuale di diritto amministrativo, IX Edizione, p.1523

[9] VANTAGGIATO, La previsione di un termine decadenziale per l'esperimento dell'azione risarcitoria, in Le azioni nel processo amministrativo, Dossier Publica, 2010.

[10] GISONDI,  La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo,, 2010, giustizia-amministrativa.it

[11]  In proposito, cfr. T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 08/06/2011,  n. 5081

[12] cfr. Cass.Civ. 31/01/2011,  n. 2169 la quale afferma che “non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) deve ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo all'atto dell'acquisizione delle disposte relazioni peritali. Deriva, da quanto precede, pertanto, che la denuncia di gravi vizi da parte del committente può implicare una idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il “dies a quo” per la decorrenza del termine di prescrizione e, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione e imputazione delle loro cause, per l'un effetto, alla data della denuncia e, per l'altro, a data a essa convenientemente anteriore. (In applicazione del principio di cui sopra la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile, sotto il profilo della violazione di legge, la sentenza di merito che aveva ritenuto di far decorrere solo dall'acquisizione della consulenza tecnica in corso di causa il termine prescrizionale, atteso che risponde alla normalità dei casi che si abbia piena consapevolezza dell'entità e soprattutto della eziologia del vizio apparente solo a seguito di approfondite indagini tecniche)”.

[13] CARINGELLA, Il sistema delle tutele dell’interesse legittimo alla luce del Codice e del decreto Correttivo, in Urbanistica e Appalti, 2012, 1, 14, Codice del processo amministrativo


Scarica Articolo PDF