CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/03/2016 Scarica PDF

Le recenti (ulteriori) modifiche al concordato preventivo dell'estate 2015

PierDanilo Beltrami, Professore


Sommario: 1. Un breve excursus storico-normativo. - 2. Nuove forme di semplificazione dell’accesso ai finanziamenti. - 2.1. Linee di credito autoliquidanti. - 2.2. Le cessioni con funzione di garanzia. - 3. Contendibilità dell’impresa in crisi. - 3.1. Le proposte concorrenti. - 3.1.1. Le asimmetrie informative. - 3.1.2. Aspetti procedimentali. - 3.1.3. Considerazioni finali sulla disciplina delle offerte concorrenti. - 3.2. Le offerte concorrenti.


     

1. Un breve excursus storico-normativo

A sei mesi dalla sua entrata in vigore, la Legge n.132 del 6 agosto 2015, pubblicata in G.U n.192 del 20 agosto 2015- Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto legge del 27 giugno 2015 n. 83 recante misure urgenti in materia fallimentare civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria (d’ora in poi il “Decreto”), continua ad essere oggetto di attenzioni: il provvedimento in questione si distingue, infatti, per l’ampio numero di misure destinate a favorire il risanamento delle imprese in crisi.

Invero, nel Comunicato stampa diffuso dal Governo successivamente all’emissione del Decreto, si legge che le misure emanatemuovono da un principio comune: un’azienda con problemi rischia di trascinare con altre imprese (fornitori di beni e servizi e intermediari finanziari), continuando a contrarre obbligazioni che non potrà soddisfare. Affrontare tempestivamente i casi di crisi aziendale consente di limitare le perdite del tessuto economico, sia nella dimensione strettamente imprenditoriale sia sul piano finanziario, o di risanare l’azienda, con benefici sul piano occupazione e in più generale tutelando il tessuto economico contiguo”. Il messaggio sotteso è semplice quanto fondamentale: le diseconomie che si registrano in caso di crisi dell’impresa sono elevate e fortemente pericolose per l’intero sistema in cui si muovono gli operatori economico-finanziari, sia in termini di disoccupazione che di distruzione di valori capitali. Se, chiaramente, annullarle del tutto è impossibile, il fenomeno risulta essere più o meno arginabile, a seconda del quadro legislativo in cui le imprese operano, nonché degli strumenti normativi messi a disposizione dell’imprenditore in difficoltà che voglia tentare la via del risanamento. D’altronde, come recentemente osservato anche dalla Commissione dell’Unione europea, un ambiente maggiormente favorevole all’imprenditore a rischio, da un lato è in grado di ammortizzare l’impatto che l’uscita delle imprese dal mercato può avere sull’intero sistema economico (quantomeno assicurando una efficiente riallocazione delle risorse ancora produttive all’interno del mercato), dall’altro, può addirittura attirare maggiori investimenti, quindi favorire la crescita economica[1]. Innegabilmente, dove le crisi di impresa hanno una più lunga e onerosa soluzione, per i finanziatori è sconveniente investire, così come è scoraggiante, per gli imprenditori, avviare nuove attività commerciali.

A onor del vero, la tematica relativa all’efficienza delle procedure concorsuali e, specularmente, ai costi imputabili alla loro inefficienza, non è nuova al diritto fallimentare italiano: la questione ha rappresentato non solo uno degli argomenti maggiormente trattati negli studi in materia di crisi di impresa degli ultimi anni, ma, soprattutto il leitmotiv delle riforme che, a partire dal 2005, hanno profondamente innovato la legge fallimentare[2]. In particolare, il quadro normativo attuale risulta essere impostato nel senso di favorire la sopravvivenza delle imprese solide, consentendo ai proprietari di società ancora redditizie di conservare il loro valore, nonché di mantenere i rapporti contrattuali con clientela e fornitori. Oltretutto, è notevolmente facilitato l’accesso a forme di riorganizzazione degli assetti dell’impresa che, o mediante accordi con i creditori, o nell’ambito di procedure di insolvenza, consentono di riportare un’impresa redditizia sul mercato tramite l’acquisizione, da parte di terzi, dell’impresa che prosegue le sue attività. In tale contesto, il Decreto si pone in linea di continuità con i precedenti interventi riformatori, soprattutto per quanto riguarda l’attenzione riservata all’istituto del concordato preventivo, tradizionalmente ritenuto lo strumento più idoneo, se correttamente adoperato, per superare la crisi di impresa.

Ciò premesso, in questa sede, l’attenzione sarà indirizzata proprio verso i profili di innovazione normativa ritenuti più meritevoli di approfondimento, che hanno interessato il concordato preventivo. Vale a dire: i) l’introduzione di nuove forma di semplificazione dell’accesso al credito per l’impresa ammessa al concordato con riserva (art. 182 quinquies l. fall); ii) la nuova disciplina delle offerte e delle proposte concordatarie competitive (artt. 163 e 163 bis l. fall).

   

2. Nuove forme di semplificazione dell’accesso ai finanziamenti

Il primo intervento riformatore oggetto di analisi concerne l’ampliamento delle linee di credito cui l’impresa in crisi può accedere, al fine di tentare una manovra di risanamento. E’ appena il caso di ricordare, infatti, che un’impresa con un flusso di cassa negativo, tendenzialmente, subisce una serie di disagi in grado di comprometterne fortemente la capacità operativa, tra i quali l’impossibilità di accedere a nuove linee di credito[3]. Ciò, perché qualunque finanziatore, avvertendo la minaccia del fallimento, ben si guarderà dal concedere credito ad un’impresa in condizioni tali da metterne in dubbio la possibilità di rimborso[4].

Per superare questo ostacolo, il legislatore, con il D.l. 78/2010, convertito con L. 122/2010, è intervenuto sulla normativa fallimentare, introducendo, all’art. 182 quater l. fall. una disposizione di favore per coloro che supportino, tramite l’erogazione di nuova finanza, l’imprenditore che voglia tentare il risanamento dell’impresa mediante uno degli strumenti preposti dalla legge.

Segnatamente, con il suddetto intervento, al primo comma dell’articolo menzionato, sono stati dichiarati prededucibili, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 111 l. fall., i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione di un concordato preventivo di cui agli artt. 160 l. fall. e seguenti, ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182 bis l. fall. (c.d. “finanziamenti in esecuzione”).

Successivamente, con il D.l. 83/2012, convertito dalla L. 134/2012, a tali crediti, al secondo comma dell’art. 182 quater l. fall., il legislatore ha equiparato, in presenza di determinate condizioni, quelli sorti dai finanziamenti effettuati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (c.d. “finanziamenti ponte”).

Con il medesimo decreto, per agevolare il mantenimento della capacità operativa dell’impresa nello spatium temporis corrente tra la presentazione del ricorso e l’omologazione, è stato introdotto l’art. 182 quinquies l. fall., a disciplina dei c.d. “finanziamenti interinali”[5].

Proprio su quest’ultima previsione si innesta il recente intervento riformativo. Prima, di esaminarlo si rende, però, necessario illustrare brevemente la disciplina dei finanziamenti interinali, così come appariva ante riforma.

L’art. 182 quinquies l. fall. consentiva all’imprenditore che presentava una domanda di ammissione al concordato preventivo (o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti), di chiedere l’autorizzazione al tribunale (che, a sua volta poteva assumere “sommarie informazioni”, se del caso), a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’art. 111 l. fall. Con la precisazione che la richiesta di autorizzazione poteva essere avanzata anche in sede di presentazione di un concordato con riserva ex art. 161 sesto comma l. fall. (o di una proposta di accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis, sesto comma, l. fall.)[6].

Per poter analizzare la norma occorre, preliminarmente, tener conto che lo scopo dei finanziamenti interinali non è quello di supportare l’intero percorso di risanamento della crisi, bensì evitarne l’ulteriore aggravamento nelle more del procedimento. Ciò posto, è pacifico che la quantificazione del fabbisogno finanziario affidata al professionista attestatore non richiedeva la valutazione della complessiva esposizione debitoria dell’impresa bensì soltanto un calcolo (più o meno) approssimativo delle spese improrogabili e necessarie a mantenerla in vita fino all’omologazione, ovvero a preservare il più possibile i rapporti con i creditori/fornitori. Tendenzialmente, quindi, nella stima del professionista dovevano confluire: stipendi e compensi dei dipendenti e dei collaboratori; imposte, oneri tributari e previdenziali; debiti verso fornitori strategici[7].

Altro è stabilire cosa il legislatore intendesse per “migliore soddisfazione dei creditori”. Sul punto, si è recentemente espresso il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 26 giugno 2014, il quale, confermando le posizioni emerse in dottrina, ha osservato che “Qualora la richiesta di finanziamenti prededucibili di cui all’art. 182-quinquies L.F. sia funzionale ad un piano concordatario, l’attestazione di cui al primo comma dell’articolo citato dovrà avere ad oggettola convenienza per i creditori, in termini di concrete prospettive di soddisfacimento, della dilatazione dell’esposizione debitoria della società in crisi conseguente alla contrazione di debiti prededucibili (…). Tale convenienza non può che derivare dall’entità degli utili derivanti dalla prosecuzione dell’impresa (consentita dai finanziamenti), o dall’accrescimento del valore dei beni che possono essere ultimati soltanto grazie alla finanza nuova. Allo scopo di garantire i creditori da una possibile violazione della loro garanzia patrimoniale, la convenienza dovrà, pertanto, risolversi in una prospettiva di soddisfacimento secondo percentuali più favorevoli”.

Più discussa è stata la previsione normativa per cui tali finanziamenti potevano essere autorizzati in presenza di una domanda di concordato “con riserva”[8]. Segnatamente, non potendosi esigere, in una fase (per definizione) meramente prenotativa, un piano ed una proposta definitiva, i Tribunali hanno in più occasioni denunciato le difficoltà cui andavano incontro nel valutare, alla luce della relazione dell’attestatore, da un lato, l’effettiva funzionalità dei finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori e, dall’altro, il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, finendo, anzi, per dimostrare la tendenziale incompatibilità tra concordato con riserva e autorizzazione a contrarre finanziamenti interinali prededucibili ex art. 182 quinquies,primo comma, l. fall.[9].

In particolare, il Tribunale di Milano, nel provvedimento nel plenum del 18 ottobre 2012, partendo dal presupposto che, in caso di domanda di concordato con riserva, l’attestazione del professionista sulla funzionalità del finanziamento era richiesta senza che fosse contestualmente presentata anche la relazione sulla fattibilità del piano - che, per definizione, non è ancora disponibile -, l’attestazione, in assenza di un piano definito e impegnativo, oltre che analitico, difficilmente poteva essere utilmente impiegata per verificare il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione. Di conseguenza, il medesimo Tribunale, in un’ottica estremamente prudenziale, escludeva la possibilità di autorizzare finanziamenti interinali prededucibili nei pre-concordati, almeno fino allo scioglimento della riserva tramite presentazione della proposta definitiva, con relativo piano e relazione che ne attestasse la fattibilità. Il rigore di questo orientamento, di fatto, si spingeva fino a negare sempre l’autorizzazione a contrarre nuova finanza in presenza di un concordato con riserva, in contrapposizione a quanto previsto all’art. 182 quinquies l. fall.

Più moderata è stata la risposta del Tribunale di Treviso il quale, con decreto del 16 ottobre 2012, non ha negato in maniera assoluta la possibilità di contrarre finanziamenti dopo la presentazione di una domanda con riserva: si è limitato a precisare che, ai fini dell’autorizzazione, il contenuto del piano dovrà, quantomeno, essere tratteggiato nelle sue linee essenziali, pena l’impossibilità di valutare la ragionevolezza dell’aggravamento dell’esposizione debitoria.

Secondo il Tribunale di Terni, invece, pronunciatosi con decreto il 16 gennaio 2013, presupposto fondamentale per il rilascio dell’autorizzazione è che le valutazioni del professionista, in supporto della richiesta, abbiano ad oggetto la veridicità dei dati aziendali. Infatti, benché non esplicitamente richiesta dalla norma, l’attestazione sulla veridicità rappresenterebbe un presupposto implicito della verifica del complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa e del giudizio di funzionalità dei finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori. In questo modo però, da un lato, si presuppone che il professionista incaricato abbia effettivamente avuto modo di verificare il complessivo fabbisogno finanziario sino all’omologazione; e, dall’altro, che l’istanza del debitore sia stata comunque preceduta da una disclosure sul contenuto della proposta e del piano, tale da consentire al tribunale di giudicare anche della correttezza e della logicità dei criteri di valutazione seguiti da quel professionista.

La dottrina a commento della norma osserva come la necessità di un adeguato corredo informativo traspariva implicitamente finanche dalla previsione normativa per cui l’autorizzazione può essere concessa dal tribunale, assunte “sommarie informazioni”. Invero, si presumeva che all’esercizio di tale facoltà il Tribunale avrebbe fatto ricorso proprio quando non fosse stato predisposto alcun piano e la descrizione dello stesso contenuta nella richiesta (o nella relazione dell’esperto) sia da ritenersi insufficiente al punto da rendere necessaria un’integrazione di documenti, ovvero l’audizione del debitore, o, più probabilmente, del professionista attestatore[10].

A questo criterio di valenza generale, per cui doveva esservi un livello di disclosure sufficiente per ottenere l’autorizzazione, la giurisprudenza ammetteva una sola eccezione nel caso in cui l’autorizzazione avesse ad oggetto operazioni di finanziamento autoliquidanti (factoring, sconto su fatture o cambiali, anticipo su portafogli, anticipo su crediti, ricevuta bancaria). Ad esempio, il Tribunale di Milano, pur in presenza di una domanda di concordato con riserva, con ordinanza del 6 dicembre 2012 condivideva i rilievi del professionista attestatore circa la rispondenza all’interesse dei creditori di un anticipo su fatture sui crediti vantati dall’imprenditore nei confronti della pubblica amministrazione, finendo per concedere all’imprenditore l’autorizzazione ex art. 182 quinquies l. fall.. Ciò, in considerazione del fatto che tali operazioni sono comunque note per avere un tipo di copertura predeterminata, e quindi un bassissimo livello di rischio, dal momento che il rimborso del finanziamento dovrebbe avvenire mediante i pagamenti effettuati alla banca dal cliente dell’imprenditore.

Evidentemente, per metter fine alla lunga querelle sulla compatibilità dell’art. 182 quinquies l. fall. con il concordato con riserva e per imporre una disciplina unica ai Tribunali, il legislatore ha riformato il primo comma della norma in esame, prevedendo espressamente che il debitore può richiedere al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanza prededucibile anche prima del deposito della documentazione di cui all’art. 161, commi secondo e terzo.

Tale previsione si pone, certo, in linea di continuità con l’esigenza di ampliare le opzioni disponibili per l’accesso al credito da parte di un’impresa in difficoltà. Allo stesso tempo, però, rischia di dare vita ad una infinità di crediti prededucibili, in una situazione in cui il risanamento dell’impresa è soltanto un’ipotesi ventilata, come quella in cui vi è totale assenza del piano e della proposta concordataria, con il rischio di arrecare massimo pregiudizio per le ragioni dei creditori concorsuali. In altri termini: da un lato, il mercato tende ad isolare le imprese a rischio, per cui i finanziatori tendono ad elargire nuova finanza solo se certi del rango preferenziale del loro credito. Dall’altro, non si può avere a cuore esclusivamente l’accrescimento delle opzioni di mercato disponibili per le imprese in crisi, dovendo bilanciare tale esigenza con il principio della par condicio creditorum.

A tal proposito, vale riportare quanto già affermato dal Tribunale di Terni da sopra citato: “Qualunque siano le ragioni di tempestività che connotano l’erogazione di nuova finanza, in nessun caso queste potrebbero consentire una deroga alla serietà e al rigore che devono accompagnare i controlli giudiziali previsti dalla legge, essendo, semmai, onere del debitore allestire tempistiche e scansioni organizzative idonee a consentirne tutti gli sviluppi necessari”.

Sulla base di tali considerazioni, ad avviso di chi scrive, sarebbe tuttora auspicabile, nonostante l’intervenuta riforma, che i Tribunali continuino a pretendere un minimo livello di disclosure da parte dell’imprenditore. Tale ipotesi può, comunque, essere avallata dal dato normativo. Invero, il legislatore si è limitato soltanto a chiarire che l’assenza di un piano e di una proposta non può determinare per se il rigetto della richiesta di autorizzazione. Spettando, al giudice, il potere di valutare i requisiti di meritevolezza, tale previsione non può comunque spingersi fino al punto di imporre ai Tribunali il dovere di concedere l’autorizzazione nel buio totale; in altri termini, in assenza di un livello di disclosure ritenuto adeguato, anche se in assenza di un piano e di una proposta definitivi.

In materia di finanziamenti alle imprese in crisi, però, la vera novità è la creazione di una nuova sub-categoria di finanziamenti interinali urgenti e funzionali all’attività aziendale. Il nuovo terzo comma dell’art. 182 quinquies l. fall. infatti, prevede che il debitore che presenti una domanda di concordato con riserva (ovvero una proposta di accordo) può chiedere al tribunale di essere autorizzato in via d’urgenza a contrarre finanziamenti, prededucibili ex art. 111 l. fall., volti a soddisfare urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale, sino alla scadenza del termine fissato dal tribunale ai sensi dell’art. 161, sesto comma l. fall., o all’udienza di omologazione di cui all’art. 182 bis quarto comma l. fall., ovvero alla scadenza del termine di cui all’art. 182 bis, settimo comma l. fall. Il ricorso deve indicare la destinazione delle somme, attestare l’impossibilità di reperirle altrove, e denunciare il pregiudizio “imminente ed irreparabile” che, in assenza di tali finanziamenti, deriverebbe all’azienda. Il tribunale, assunte sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione, sentito il commissario giudiziale (se nominato) e, se del caso sentiti “senza formalità”, i principali creditori, decide, in camera di consiglio, con decreto motivato, entro dieci giorni dal deposito dell’istanza di autorizzazione.

In commento alla norma, anzitutto, pare opportuno evidenziare che, come si legge nella Relazione illustrativa al Decreto, siffatta previsione contempla quei finanziamenti prededucibili, di regola di importo modesto, necessari a sostenere l’attività aziendale per il periodo necessario a preparare l’istanza di autorizzazione di vero e proprio finanziamento interinale. Ciò, in contrapposizione con i finanziamenti contemplati nel primo comma dell’art. 182 quinquies l. fall., i quali sono finalizzati al reperimento della provvista finanziaria necessaria all’impresa nelle more dell’omologazione. Quindi, la vera differenza tra le due tipologie di finanziamenti non risiede nell’urgenza che deve caratterizzare i secondi, bensì nella collocazione temporale. La nuova disposizione, infatti, consente al Tribunale di autorizzarli solo quando penda un pre-concordato, ovvero una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall. e solo nella misura in cui risultino funzionali ad urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale fino alla scadenza del singolo procedimento in corso[11].

Altro, importante, elemento di novità è che, in questo caso, il finanziamento risulta disancorato dalla finalità del miglior soddisfacimento per i creditori ed unicamente rivolto alle necessità dell’azienda, che non devono nemmeno essere attestate dall’esperto.

Al debitore è richiesto solo di provare, con un’autocertificazione: i) la destinazione dei finanziamenti; ii) l’incapacità di reperire tali finanziamenti altrove; iii) il pregiudizio imminente ed irreparabile che, in assenza dei finanziamenti deriverebbe all’assenza[12].

Al Tribunale è consentito, in via cautelare, di disporre l’audizione dei creditori. Come si legge nella Relazione illustrativa, questa possibilità dovrebbe consentire il bilanciamento tra esigenze di celerità che impongono un meccanismo deformalizzato, con quella di fornire al tribunale ulteriori elementi di valutazione grazie alle informazioni privilegiate di cui dispongono i creditori. In realtà, però, due osservazioni si impongono all’attenzione del lettore. In primo luogo, l’inciso “sentiti, senza formalità, i creditori”, apposto con riferimento all’elencazione dei poteri istruttori del Tribunale, per quanto positivo nello spirito, offre alcuna regola discretiva utile all’individuazione dei creditori principali da sentire, affidando la scelta (probabilmente) a criteri di senso comune, nonché alla piena discrezionalità dell’organo giudicante. In secondo luogo, deve inoltre prendersi considerazione del fatto che le previste tempistiche di rilascio dell’autorizzazione (dieci giorni) sono di difficile compatibilità con l’onere per il tribunale di assumere informazioni, sentire debitore e commissario giudiziale, e sentire anche i creditori, se ritenuto opportuno.

In tale contesto, spicca in maniera evidente che il requisito dell’urgenza permea e definisce la sostanza dell’intera normativa: i tempi della procedura sono fittamente compressi, mentre gli oneri istruttori, se comparati con quelli prescritti dal primo comma dell’art. 182 quinquies l. fall., quasi assenti[13].

In conclusione, ne emerge un quadro complessivo in cui ai Tribunali vengono imposte meno formalità (o forse nessuna) per poter valutare la richiesta di credito delle imprese; non resta che attendere, a questo punto l’evoluzione della prassi. Sarà, infatti, interessante vedere come i Tribunali si muoveranno, data la libertà concessagli dal legislatore. Libertà che rischia di trasformarsi in un “salto nel buio” ogni qualvolta ci sarà da autorizzare un finanziamento ex art. 182 quinquies terzo comma l. fall[14].

Ragion per cui, nonostante la asseverata difficoltà di trovare un punto di mediazione tra la necessità di canalizzare nuova finanza e la tutela dei creditori concorsuali, la soluzione scelta, in definitiva, appare dettata più da fretta, che da corrette ponderazioni economico-giuridiche.

   

2.1. Linee di credito autoliquidanti

Ad agevolare ulteriormente il ricorso alla finanza interinale soccorre la previsione di chiusura dell’ultimo capoverso del terzo comma dell’art. 182 quinquies l.fall., per cuila richiesta [di autorizzazione] può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda”.

Invero, ferma restando la necessità di munirsi dell’autorizzazione del Tribunale, il legislatore consente, al debitore che versi in una situazione emergenziale, altresì, di tenere in piedi le linee di credito autoliquidanti già in corso al momento della domanda di concordato. La nuova previsione si presta ad una duplice serie di osservazioni.

In primo luogo, si è già osservato come le operazioni di finanziamento autoliquidanti, avendo una copertura predeterminata, sono caratterizzate da un bassissimo livello di rischio. Ragion per cui, in sede di autorizzazione a contrarre finanziamenti interinali prededucibili in presenza di un concordato con riserva, tali operazioni hanno riscontrato un maggior favor da parte dei tribunali. Ciò premesso, parrebbe quasi che il legislatore abbia inteso positivizzare una prassi già avallata dalla giurisprudenza[15].

In secondo luogo, l’ambito applicativo di questa nuova disposizione deve essere vagliato anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 169 bis l. fall., alla stregua del quale il debitore, con il ricorso di cui all'articolo 161 l. fall. o, successivamente, può chiedere che il Tribunale (o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato) con decreto motivato sentito l'altro contraente, assunte, ove occorra, sommarie informazioni, lo autorizzi a sciogliersi dai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso[16] nonché della copiosa interpretazione giurisprudenziale formatasi in argomento, in particolare, con riferimento ai c.d. “rapporti bancari”. In passato, buona parte della giurisprudenza ha ritenuto, sull’assunto per cui tutti i contratti non interamente eseguiti da entrambe le parti possano essere sospesi o sciolti, di ricondurre a tale categoria anche i contratti bancari, ivi inclusi quelli relativi a linee di credito autoliquidanti. di credito autoliquidanti[17].

Come è noto, però, la tendenziale convergenza teorica di opinioni favorevoli alla prosecuzione della operatività delle linee autoliquidanti in caso di apertura di un concordato preventivo si è sempre scontrata con la prassi delle banche di revocarle formalmente, o, quantomeno, di sospenderne l’operatività. Le ragioni alla base di tale atteggiamento prudenziale delle banche sono note; si riscontrano, tuttavia, anche alcuni casi giurisprudenziali di debitori che sono riusciti ad ottenere un provvedimento giudiziale di “sblocco” di tali linee[18]. È’ in questo solco giurisprudenziale che si è, dunque, mosso il nostro legislatore, codificando, di fatto (ancora una volta) una prassi già in uso[19].

L’impatto sistematico della norma è, però, tutto da sviluppare, atteso che, a stretto rigore, essa potrebbe addirittura costituire un elemento rafforzativo della tesi volta a escludere la sussumibilità della maggior parte dei contratti bancari, ed in particolare di quelli aventi natura “autoliquidante”, nell’ambito operativo dell’art. 169 bis l. fall., negando il ricorrere del presupposto della pendenza reciproca delle prestazioni contrattualmente previste. Infatti, non sono mancate le pronunce della giurisprudenza di merito che hanno ritenuto non possibile sospendere i contratti bancari in esame, ove la banca abbia già eseguito la propria prestazione e residui soltanto un debito da parte del debitore[20].


2.2. Le cessioni con funzione di garanzia

Il legislatore è intervenuto anche sul quarto comma dell’art. 182 quinquies l. fall., alla stregua del quale il tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti a garanzia dei medesimi finanziamenti. Il legislatore, quindi ha aggiunto, alla possibilità per il debitore di chiedere al tribunale autorizzazione a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti, la possibilità per l’imprenditore in difficoltà di prestare garanzia anche sotto forma di cessione di crediti.

Si osservi come il legislatore, ammettendo tale possibilità, abbia inteso risolvere un problema che frequentemente affligge l’imprenditore in crisi: l’indisponibilità di beni che non siano già sottoposti a pegno o ipoteca, al fine di offrirli in garanzia a creditori terzi. Pertanto, la possibilità di offrire crediti in garanzia, prima facie, agevola l’accesso alla nuova finanza e, consequenter, alla prosecuzione dell’attività di impresa. Ciò, anche in considerazione del fatto che lo strumento della cessione in garanzia attribuisce un forte potere contrattuale al debitore, potendo rappresentare, per i finanziatori, una modalità di rientro più sicura del loro credito.

Nella prassi, però, anche questo strumento potrebbe rivelarsi poco allettante per i creditori: come è già stato osservato in dottrina, infatti, quando l’impresa accede alla procedura, tendenzialmente residuano soli i crediti che non è stato ancora possibile riscuotere, o perché in contenzioso, oppure a causa dell’inadempimento/insolvenza dei debitori; in questo modo, viene da interrogarsi sull’effettivo ambito di operatività della norma.

Inoltre, fermo restando che trattasi di una modifica nello spirito positiva, qualche dubbio affiora anche sui possibili effetti lesivi della par condicio creditorum, laddove beni destinati prima alla totalità dei creditori, quali i crediti derivanti dall’attività operativa, saranno vincolati a garanzia di un singolo soggetto finanziatore senza alcun controllo sulla destinazione che il debitore farà degli importi erogati[21].

Per quanto concerne le modalità operative dell’istituto, atteso che la titolarità del credito conferisce al cessionario una posizione privilegiata rispetto agli altri creditori concorsuali, viene da domandarsi se la cessione del credito contemplata dalla norma svolga una funzione solutoria o una funzione di garanzia. In altri termini, se il legislatore abbia inteso attribuire all’espressione “a garanzia” una mera funzione descrittiva o abbia inteso dire qualcosa di più. Nel primo caso, opererebbe la disciplina della cessione prevista all’art. 1260 c.c., per cui, indipendentemente dall’inadempimento del cedente, e nel rispetto delle regole civilistiche, il creditore potrebbe incassare il credito non appena divenuto esigibile. A suggello di questa tesi potrebbe interpretarsi la scelta del legislatore di ubicare il nuovo inciso accanto agli istituti di garanzia reale previsti dall’ordinamento. In questo modo, però, la funzione di garanzia della cessione rileverebbe solo su un piano fattuale, nel senso di limitare il rischio di insolvenza del cedente a fronte di un’operazione di finanziamento da parte del cessionario. Come è già stato osservato in dottrina, ci si troverebbe, così, dinanzi ad un assetto che secondo la circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia è suscettibile di rientrare nelle cosiddette “linee di credito autoliquidanti”, operazioni di finanziamento a basso rischio caratterizzate da una fonte di rimborso predeterminata, costituita da un credito non ancora scaduto vantato nei confronti di terzi, tra cui sono annoverabili, per espressa previsione della circolare de qua, le operazioni di finanziamento a fronte di cessioni di credito effettuate ai sensi dell’art. 1260 c.c.[22]

Alla luce di quanto esposto, pare inconfutabile la funzione, strictu sensu, di garanzia della cessione, per cui l’adempimento o l’inadempimento del cedente costituirà la condicio iuris rispettivamente sospensiva o risolutiva dell’effetto traslativo tipico del modello legale[23]

   

3. Contendibilità dell’impresa in crisi

Il Decreto riformatore si è distinto, in particolar modo, per aver introdotto, nell’ambito della disciplina del concordato preventivo, nuovi istituti in grado di incentivare la contendibilità dell’impresa in crisi. Segnatamente, trattasi delle proposte e delle offerte concorrenti, disciplinate rispettivamente agli artt. 163 e 163 bis l. fall.

In via preliminare, si osservi che, quando si fa riferimento alle “proposte”, si intende l’offerta negoziale che, nell’ambito di una determinata strategia di soluzione della crisi (individuata all’interno del piano), il debitore sottopone ai propri creditori, come, ad esempio, la conversione in azioni dei debiti; l’assegnazione di azioni di una newco appositamente costituita, il pagamento dei debiti in determinate percentuali. Differentemente da quanto accadeva nel sistema previgente, dove legittimato esclusivo a proporre proposte di concordato preventivo era il debitore, con il Decreto riformatore, anche i creditori - a determinate condizioni - godono di tale potere: essi potranno presentare, insieme ad una nuova strategia, una propria proposta che, se preferita dalla maggioranza in sede di votazione, sostituirà quella originariamente formulata dal debitore.

Come emerge dalla Relazione illustrativa, ratio dell’intervento è “impedire al debitore di presentare proposte che non riflettano il valore reale dei suoi beni”. E’ stato osservato, infatti, come il debitore interessato a superare la crisi mediante un concordato, trovandosi in una posizione di totale monopolio sulla strategia da adottare e sulle condizioni da offrire ai creditori, ha spesso preferito ricercare soluzioni sub-ottimali, a detrimento dei creditori, e del sistema economico in generale[24].

Situazione analoga si verificava in caso di proposte di concordato in cui l’eventuale acquirente degli assets aziendali, nonché le condizioni di vendita, erano preconfezionate e sottoposte direttamente al voto dei creditori. Introducendo l’istituto delle offerte concorrenti, il legislatore non intende avvicinare i creditori alla gestione della crisi, consentendo di sostituire l’imprenditore nella formulazione della proposta, bensì assicurare la massimizzazione del ricavato ottenibile in sede di liquidazione dei beni, nell’ambito della strategia di risanamento già individuata dal debitore, aprendo una gara volta all’aggiudicazione dei beni.

   

3.1. Le proposte concorrenti

La novità più significativa in materia di concordato preventivo è rappresentata, certamente, dall’introduzione di un nuovo istituto: le proposte concorrenti.

I dati normativi di riferimento sono i nuovi commi quarto e seguenti dell’art. 163 l. fall. La fattispecie è incardinata sulla possibilità per uno o più creditori, rappresentanti almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell'articolo 161, secondo comma, lettera a), l. fall. di presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima dell'adunanza dei creditori (art. 163 comma 4 l. fall.).

La ratio della norma è chiara: impedire al debitore di presentare proposte che non riflettano il valore reale dei suoi beni, incentivando i soggetti interessati a sostituirlo nella formulazione di un’offerta che incontri un maggiore consenso fra i creditori.

Il legislatore, ispirandosi a quanto già previsto dal Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense[25], ha così introdotto un istituto totalmente nuovo per il concordato preventivo, ma non per il concordato fallimentare. L’art. 124 l. fall. infatti, già consente ad uno o più creditori, ovvero ad un terzo, di presentare una proposta di concordato[26].

E’ opportuno evidenziare fin d’ora, però, la principale differenza tra la proposta concorrente nel concordato preventivo e quella nel concordato fallimentare: mentre la finalità del primo è quella di evitare il fallimento, lo scopo del concordato fallimentare è di concluderlo, ottenendo un soddisfacimento concordato dei creditori più rapido e quindi più vantaggioso rispetto a quanto accadrebbe in sede di liquidazione fallimentare ordinaria. Inoltre, solo in ipotesi di proposta ex art 124 l. fall. il debitore risulta spogliato dell’amministrazionedeipropribeni - inquantofallito -,alcontrariodi quanto accade nel concordato preventivo, in cui l’imprenditore in stato di crisi conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa (art. 167 l. fall.).

Fermo restando che il quarto comma dell’art. 163 l. fall. introduce nuovi elementi di concorrenzialità, all’interno di un istituto in cui prima vigeva il monopolio assoluto del debitore, quale il concordato preventivo, trattasi pur sempre di un intervento legislativo “timido”[27], come si evince dalle rigorose condizioni di ammissibilità delle proposte, di seguito analizzate.

Per cominciare, legittimati a presentare proposte concorrenti sono i soli creditori che, “anche per effetto di acquisiti successivi alla presentazione della domanda di cui all’art. 161”, raggiungano il dieci per cento dell’ammontare complessivo dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’art. 161, secondo comma, lettera a l. fall. Con la precisazione che, ai fini del computo della percentuale, restano, invece, esclusi i crediti della controllante, della controllata e delle società sottoposte a comune controllo.

Il legislatore, quindi restringe il presupposto soggettivo, senza allargare la legittimazione a presentare una proposta concorrente a qualunque terzo, come accade nel concordato fallimentare. E’, inoltre, pacifico che la proposta può essere presentata sia da chi possiede ab origine la percentuale richiesta, così come da chi venga a detenerla successivamente. Più discutibile è se siano legittimati anche soggetti divenuti creditori in una fase successiva rispetto al ricorso, per effetto di acquisizioni successive di crediti preesistenti, magari con il solo fine di presentare una domanda di concordato preventivo.

Sembra preferibile la risposta affermativa, la quale, favorendo la contendibilità dell’impresa e, ampliando i presupposti della legittimità a presentare proposte di concordato preventivo, si pone in linea di continuità con lo spirito della riforma. Invero, si osservi quanto affermato dal legislatore nella Relazione illustrativa, in riferimento all’art. 163: scopo della norma è “consentire ai creditori o ad altri imprenditori che acquistino crediti verso l’impresa in crisi, di presentare proprie proposte ai debitori, qualora ritengano di poter gestire meglio l’attività e siano disponibili a immettere nuovi capitali[28]. E’ apprezzabile, inoltre, la esclusione dal computo dei crediti infragruppo, pensata, chiaramente, per evitare che la proposta possa comunque ricollegarsi all’imprenditore, seppur in modo indiretto.

Sempre nell’ambito delle condizioni di ammissibilità, il quarto comma della norma in esame dispone che “le proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se nella relazione di cui all'articolo 161, terzo comma, il professionista attesta che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento di almeno il quaranta per cento dell'ammontare dei crediti chirografari o, nel caso di concordato con continuità aziendale di cui all'articolo 186 bis, di almeno il trenta per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”.

Anche qui è necessario fare qualche considerazione. Anzitutto, si osservi, incidenter, che la percentuale più bassa richiesta per il concordato con continuità aziendale è giustificata dall’esigenza di incentivare le soluzioni di risanamento attuate tramite la ristrutturazione, e quindi ogni piano che consenta la prosecuzione dell’esercizio dell’attività di impresa, sia pure mediante trasferimento a terzi[29].

In generale, lo sbarramento del trenta/quaranta per cento non è previsto in caso di concordato fallimentare: ciò, perché, come anticipatosi, il concordato fallimentare interviene a fallimento già dichiarato, quando è in atto una forma di esproprio nei confronti del debitore. Viceversa, il concordato preventivo interviene quando il debitore gode ancora della propria capacità dispositiva, ossia, prima del fallimento e proprio per evitarlo.

Ciò premesso, si è osservato che, consentire, sempre, ai creditori di proporre un concordato, subentrando al posto del proprietario dei beni che fanno capo all’impresa e con i quali il concordato dovrà poi essere eseguito, si risolverebbe, in sostanza, in una sorta di esproprio “extra ordinem[30]. Invece, quando dalla proposta emerge che l’imprenditore non può pagare più del trenta o del quaranta per cento dei debiti chirografari, allora si presume che la crisi è ad uno stadio tale da indurre a ritenere che l’impresa non appartiene più a chi ne appare, soltanto formalmente, ancora il titolare[31].

In linea di principio, lo sbarramento del trenta e del quaranta per cento, non trova fondamento solo nell’esigenza di superare possibili dubbi di incostituzionalità della norma, ma potrebbe avere altre ricadute positive: l’imprenditore, nella prospettiva di sottrarsi alla contendibilità, da un lato dovrebbe esser incentivato ad affrontare la crisi quando la situazione sia tale da consentirgli di soddisfare le percentuali di pagamento richieste - anziché occultarla come avviene solitamente - ; dall’altro, dovrebbe esser indotto a fare uno sforzo economico notevole per soddisfare i creditori, impiegando tutte le utilità realmente a sua disposizione[32].

Tuttavia, fermo restando che trattasi di una disposizione nello spirito positiva, viene da domandarsi se l’imprenditore, per cautelarsi, non possa, più semplicemente, enfatizzare la percentuale di pagamento realizzabile. In altri termini, occorre capire quale sia il valore effettivo da assegnare al termine “assicurare” e se, ex lege, il debitore può limitarsi ad indicare una generica percentuale di soddisfazione, pur nella consapevolezza di non poterla attuare.

In generale, stando alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, non pare che in capo al debitore incombano dei vincoli con riferimento alla percentuale offerta. Segnatamente, in una pronuncia avente ad oggetto il giudizio di fattibilità esercitabile dal giudice sull’aspetto pratico ed economico di una proposta di concordato con cessione e, quindi, sulla correttezza della indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta ai creditori, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione ed essendo al contrario sufficiente l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell’imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscono la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore, fatta ovviamente salva la possibilità che il debitore assuma una specifica obbligazione in tal senso[33].

Tuttavia, è legittimo dubitare che l’attuale formulazione dell’art. 163 l. fall. prosegui nella stessa direzione segnata dalla Cassazione. Invero, due risultano essere le possibili interpretazioni dell’endiade “attesta che” - “assicura”. Da un lato, può essere intesa nel senso che l’imprenditore deve offrire nuove garanzie reali e personali. Dall’altro, la formulazione può indurre a ritenere che vi sia una riconfigurazione del ruolo del professionista in chiave più rigorosa.

La risposta non pare di agevole soluzione. Sul presupposto per cui solo il proponente può assicurare direttamente un determinato livello di soddisfacimento, mentre l’attestatore si limita a verificare dall’esterno che la proposta del debitore sia idonea a raggiungere quel risultato[34], allora ben si potrebbe ritenere che la norma impegni anche il debitore, e che il significato da attribuire al verbo “assicurare” pretenda qualcosa in più oltre la mera previsione assicurata da una stima esterna[35]. Detto altrimenti, l’utilizzo (comunque poco felice) del verbo “assicurare”, potrebbe indurre a ritenere che la proposta, oltre ad una prospettazione ai creditori di verosimile adempimento, si spinga fino a contenere l’impegno vero e proprio di un pagamento da parte dell’imprenditore, il quale, addirittura, potrebbe esser chiamato a rilasciare una garanzia per il caso in cui scivoli sotto la soglia prescritta dalla legge.

Una diversa interpretazione, oltretutto, preferibile, indurrebbe a pensare che, proprio perché il verbo “assicurare” si riferisce, in prima battuta, all’attestatore, il quale non è tenuto a fare altro se non elaborare una stima esterna, allora la previsione mira a rafforzare la responsabilità di siffatta figura professionale. In altri termini, il legislatore avrebbe imposto un rafforzamento del grado di attendibilità della valutazione prognostica elaborata dall’attestatore, non ritenendo più sufficiente un’attestazione di mera probabilità[36]. Non è da escludere che tale rafforzamento voglia rispondere, in qualche modo, ai dubbi spesso sollevati sulla attendibilità e genuinità della verifica condotta da un esperto nominato dallo stesso debitore.

Resta, a questo punto, da osservare se l’espressione “assicurare” possa in qualche modo influire sui poteri e le funzioni riconosciuti all’Autorità giudiziaria nell’ambito della procedura di concordato preventivo. Atteso che il quarto comma dell’art. 163 l. fall. condiziona, di fatto, la stessa ammissibilità della proposta concorrente, sembra doversi escludere qualunque ampliamento dei poteri del Tribunale in fase di ammissione e omologazione del concordato[37]. Ciò, coerentemente all’indirizzo segnato dalle Sezioni Unite, nella già citata sentenza n.1351 del 2013, per cui, mentre il Tribunale può condurre un sindacato sulla fattibilità giuridica del concordato, resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al giudizio di fattibilità economica, intesa, questa, come probabilità di successo economico e rischi inerenti del concordato. È, tuttavia, pacifico che la percentuale di pagamento indicata e “assicurata” costituirà, certamente, il parametro per misurare la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del concordato[38].

Infine, quanto alla documentazione richiesta al creditore che propone una domanda di concordato concorrente, la legge ammette che “la relazione di cui al comma terzo dell’art. 161 può essere limitata alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale e può essere omessa qualora non ve ne siano”.

Sulla base di questa norma, per cui il creditore ha facoltà di limitare la relazione sulla fattibilità del piano agli aspetti non scrutinati dal commissario (e di ometterla quando non ve ne siano), si ritiene che i creditori proponenti possono appropriarsi interamente della proposta del debitore, presentandone una praticamente identica, con un notevole risparmio di costi e oneri formali. In altri termini, risulta essere ammissibile una proposta di contenuto analogo a quella del debitore. Invero, la legge non dice espressamente nulla sul contenuto delle proposte. Si limita soltanto a prevedere che piano e proposta possono contemplare l’intervento di un terzo, che potrebbe essere tanto una persona fisica, quanto una società (per esempio, una newco appositamente costituita). Inoltre, se il debitore è una società per azioni o una società a responsabilità limitata, è previsto che il concorrente può addirittura modificare la struttura della compagine sociale, sì da consentire l’ingresso degli stessi creditori ovvero di terzi, inserendo nel piano la previsione di un aumento di capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione. Se ne deduce che i creditori abbiano totale autonomia nella formulazione delle proposte: sia nel senso di presentarne una analoga, che una difforme.

Altri dati normativi sembrano supportare tale teoria. In primo luogo, nel caso di proposte concorrenti, il Tribunale interviene soltanto nel caso in cui la proposta preveda la suddivisione in classi, al fine di verificare la corretta applicazione dei criteri di formazione delle medesime (art. 163, settimo comma, l. fall.). Quindi è possibile presentare una proposta concorrente con suddivisione in classi, anche se analoga suddivisione non è presente nella proposta originaria. In secondo luogo, l’art. 172 l. fall. rubricato “operazioni e relazioni del commissario”, prevede che, “qualora nel termine di cui al quarto comma dell’art. 163 siano depositate proposte concorrenti, il commissario giudiziale riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori (…). La relazione integrativa contiene, di regola, una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate”. Come si vede, non viene data alcuna importanza alla omogeneità o difformità delle proposte: né, tantomeno, il legislatore prescrive che le proposte debbano essere necessariamente migliorative, ovvero necessariamente comparabili (come avviene nel caso delle offerte concorrenti di cui si dirà infra). Anzi, l’inciso “di regola” è stato letto proprio nel senso che il commissario è esonerato dal redigere la comparazione quando le proposte non lo consentano: o perché eccessivamente diverse, o perché praticamente uguali[39].

   

3.1.1. Le asimmetrie informative

Presupposto perché le proposte possano essere presentate è la previa acquisizione, da parte degli interessati, di tutte le informazioni contabili relative al debitore in concordato. In loro assenza, per i creditori sarebbe completamente impossibile articolare la proposta. Certo è che, per soddisfare determinate esigenze informative, i creditori non possono fare alcun affidamento su una eventuale disclosure del debitore, il quale teme la sottrazione del controllo della propria impresa, nonché l’esposizione ad atti di concorrenza sleale. Effettivamente, i creditori potrebbero prima impossessarsi di dati sensibili relativi all’impresa in concordato, decidendo, poi di non presentare la proposta.

Dinanzi ad esigenze contrapposte, il legislatore, per superare l’empasse, assegna al commissario giudiziale il compito di assicurare un corretto flusso di informazioni tra debitore e creditori. Le norme di riferimento sono il quarto comma bis dell’art. 163 e il terzo comma dell’art. 165 l. fall.

Il comma 4 bis dell’art. 163 impone al debitore di consegnare al commissario giudiziale, entro sette giorni dalla data del decreto di ammissione, copia informatica o su supporto analogico delle scritture contabili e fiscali obbligatorie.

In forza del secondo comma della citata norma, il commissario giudiziale fornisce, ai creditori che ne fanno richiesta, valutata la congruità della richiesta medesima e previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza, le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso.

Dalla lettura combinata delle disposizioni ne emerge che il commissario giudiziale, tramite la consegna delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, è, quantomeno in linea di principio, messo nelle condizioni oggettive per apprendere tutte le informazioni che possono essere utili per i creditori interessati a presentare una proposta. Tuttavia, poiché l’esame analitico della contabilità richiede non solo un lasso di tempo talvolta troppo lungo per le esigenze della procedura, ma anche competenze a cui il commissario non ha accesso immediato, il legislatore ha precisato che il commissario deve fornire ai creditori non solo tutte le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti derivanti dalle scritture contabili obbligatorie, ma ogni altra informazione rilevante in suo possesso.

Inoltre, posto che la disclosure potrebbe recare grave danno al debitore, all’impresa, nonché agli stessi creditori, dalla norma si evince che la divulgazione delle informazioni dovrà avvenire previa selezione dei dati che possono essere trasmessi ai creditori, tenuto conto del soggetto da cui proviene la richiesta (ossia della dimensione, composizione societaria, identificazione dei reali beneficiari dell’informazione, mercato di riferimento) nonché dell’oggetto stesso della richiesta.

In tale contesto, in definitiva, sembrerebbe quasi che la legge abbia affidato al commissario il ruolo di “garante della concorrenza.

Oltre a divenire un punto di riferimento per ogni richiesta informativa, come anticipato, il commissario giudiziale è anche incaricato del compito di comparare “in maniera particolareggiata” le proposte concorrenti, illustrandole ai creditori nella relazione integrativa richiesta dal secondo comma dell’art. 172 l. fall., introdotto dal D.L. 83/2015. Soltanto così i creditori prendono contezza delle proposte presentate e possono esercitare consapevolmente il voto. La norma, però, finisce per sollevare qualche dubbio di compatibilità tra i doveri del commissario giudiziale e i tempi imposti dalla procedura[40].

   

3.1.2. Aspetti procedimentali

Quanto agli aspetti procedimentali, si segnala quanto segue.

Tutte le proposte sono sottoposte alla votazione dei creditori (art. 175 quinto comma l. fall.). Ciò, si noti, diversamente da quanto accade nel concordato fallimentare, in cui è il comitato dei creditori a scegliere quella da sottoporre all’approvazione dei creditori.

Quando sono poste al voto più proposte di concordato, si considera approvata quella che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto. In caso di parità prevale quella del debitore, o, quando la situazione si ponga con riguardo a due proposte di creditori, quella presentata per prima. Laddove, invece, nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata dalla maggioranza dei creditori ammessi al voto, e, se del caso, da quella delle classi, il giudice delegato, con decreto da adottare entro trenta giorni dalla chiusura delle operazioni di voto, sottopone nuovamente la sola proposta che abbia conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, fissando il termine per la comunicazione ai creditori e quello a partire dal quale essi, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio voto (art. 177 l. fall.).

I creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in una autonoma classe (art. 163, sesto comma l. fall.). Scelta, quella di attribuire il diritto di voto ai creditori che abbiano presentato una proposta concorrente, che desta qualche perplessità, nella prospettiva di un evidente conflitto di interessi[41].

In sede di discussione della proposta di concordato, ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. Il debitore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o fattibili le eventuali proposte concorrenti (art. 175, terzo comma, l. fall.). Quella indicata pare esser l’unica sede in cui il debitore ha la facoltà di difendersi dalla contendibilità.

La questione finisce per richiamare, inevitabilmente, il tema della facoltà del debitore di rinunciare alla domanda di concordato preventivo. Laddove fosse ritenuto possibile, la rinuncia, infatti, potrebbe rappresentare uno strumento utile per l’imprenditore che intenda sottrarsi alla competizione con i creditori.

Sulla ammissibilità della rinuncia, le soluzioni alle quali è pervenuta finora la dottrina non sono unanimi. Da un lato, infatti, non può prescindersi dalla considerazione che il legislatore, pur ammettendo proposte concordatarie da parte di terzi, non ha modificato la legittimazione esclusiva in capo all’imprenditore a dare avvio alla procedura. Ragion per cui, se le proposte concorrenti possono nascere soltanto a seguito di un’iniziativa del debitore, allora, la loro sorte dovrebbe dipendere dal mantenimento in vita della domanda originaria[42].

L’accoglimento di una soluzione del genere, però, avrebbe effetti devastanti, sull’istituto in sé, nonché sulle esigenze di rigore e certezza che devono caratterizzare una procedura competitiva aperta ad altri creditori come quelle in esame[43]. Invero, la consapevolezza che il debitore può rinunciare in qualsiasi momento alla domanda di concordato, con effetti caducatori delle proposte concorrenti, rappresenterebbe un significativo disincentivo per i creditori interessati a partecipare alla competizione, i quali, oltretutto, sarebbero chiamati ad assumersi gli oneri economici legati alla presentazione delle proposte, con il rischio che queste non sopravvivano nemmeno fino alla fase della votazione.

Le intenzioni del legislatore, sembrano andare in una direzione ben diversa, come confermato dall’art. 185 l. fall. rubricato “esecuzione del concordato”. In particolare, il legislatore stabilisce che il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più concorrenti a condizione che essa sia stata approvata e omologata. Coerentemente, ogniqualvolta il commissario giudiziale rilevi che il debitore non stia provvedendo al compimento degli atti necessari a dare esecuzione alla suddetta proposta o, comunque, ne stia ritardando il compimento, deve senza indugio riferirne al tribunale, il quale, sentito il debitore, può attribuire al commissario i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti. (art. 185 l. fall.)[44].

Alla luce dell’art. 185 l. fall., non pare irragionevole sostenere che, se il debitore potesse sottrarsi alla competizione semplicemente rinunciando in qualsivoglia momento alla domanda, allora non avrebbe avuto senso la previsione di una procedura volta a prevenire comportamenti da parte dell’imprenditore riottoso ad eseguire la proposta di concordato vincitrice.

   

3.1.3. Considerazioni finali sulla disciplina delle offerte concorrenti

Posto che l’imprenditore tende a preferire il mantenimento del controllo sulla propria impresa e sulle scelte di gestione della crisi, il rischio di doversi confrontare con proposte concorrenti potrebbe finire per disincentivare il ricorso del debitore al concordato preventivo.

Tuttavia, è dubbio se il sistema articolato dal legislatore possa dirsi effettivamente idoneo a consentire ai creditori la presentazione di proposte concorrenti, data la ristrettezza dei termini entro i quali sono chiamati a muoversi, e considerando il tempo che normalmente impiega il debitore, che pure dispone già di tutti i dati, a predisporre la proposta originaria.

Oltre al ridotto lasso temporale, si consideri che per elaborare proposte alternative è necessario poter contare sull’ausilio di operatori specializzati: ragion per cui, è opinione di chi scrive che la norma finirà per indirizzarsi solo agli enti finanziari o operatori con funzioni interne specializzate.

   

3.2. Le offerte concorrenti

Il primo comma dell’art. 163 bis l. fall. stabilisce che, quando il piano di concordato preventivo si basa su un’offerta da parte di un soggetto già individuato, avente ad oggetto: il trasferimento in suo favore a titolo oneroso dell’azienda ovvero di un ramo di azienda o anche solo di beni specifici, il tribunale deve disporre l’apertura di un procedimento competitivo al fine di individuare altri soggetti interessati all’acquisto. Con la precisazione che tale disposizione si applica sia se il trasferimento è immediato, o comunque è previsto prima dell’omologazione, sia se il trasferimento è differito (“anche quando il debitore ha stipulato un contratto – di solito un preliminare - che abbia comunque la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda o del ramo di azienda di specifici beni”, art. 163 bis, primo comma, l. fall., ultimo c.p.v.). In chiusura alla norma, al comma cinque, il legislatore precisa che la medesima disciplina si applica anche, nei limiti della compatibilità, agli atti da autorizzare ai sensi dell’art. 161 settimo comma, l. fall. ovvero all’affitto di azienda, o di uno o più rami d’azienda.

La disposizione in esame prescrive un principio di necessaria apertura al mercato delle offerte di acquisto provenienti al debitore che vuole risanare l’impresa mediante un concordato preventivo: lo scopo è salvaguardare l’interesse del ceto creditorio alla massimizzazione dei risultati della liquidazione, quindi assicurare l’adeguata valorizzazione di complessi in nuce ancora produttivi.

Evidentemente, con l’introduzione dell’art. 163 bis l. fall., il legislatore intende porre fine al fenomeno, ampiamente diffuso nella prassi, dei c.d. “concordati chiusi”, ossia quelli cin cui risultano predeterminati nel piano alla base della proposta di concordato preventivo sia il soggetto acquirente dell’azienda (ovvero di altri beni), che le condizioni di vendita[45].

Ciò, in contrasto con quel filone giurisprudenziale che ne ha conclamato la legittimità. Infatti, nonostante il principio della competitività non sia nuovo alla legge fallimentare - al contrario, esso ha, da sempre, informato le vendite coattive realizzatesi in ambito concorsuale: si veda, in particolare, l’art. 182 l. fall. che disciplina le vendite nella fase esecutiva del concordato – parte della giurisprudenza ha ammesso la legittimità della proposta c.d. chiusa o vincolata, enfatizzando la natura negoziale della procedura di concordato preventivo e, quindi, il diritto del debitore di definire la sua crisi determinando, nella sostanza, a chi e a quale prezzo collocare i propri beni (fermi restando i controlli del commissario giudiziale sulla congruità del prezzo pattuito e sulla mancanza, quindi, di aspetti di natura fraudolenta certamente idonei a determinare l’arresto della procedura previa instaurazione del procedimento incidentale di cui all’art. 173 l. fall.)[46].

Non mancano, tuttavia, le pronunce con cui i giudici hanno teorizzato la necessaria applicazione dell’art. 182 l. fall. ad ogni vendita concordataria[47], mentre si segnala una giurisprudenza che ha escluso dall’ambito operativo dell’art. 182 l. fall. soltanto i casi in cui debitore e promissario acquirente avessero concluso un contratto preliminare in epoca antecedente alla domanda concordataria[48].

In tale contesto, è chiara la portata innovativa del recente intervento riformatore: attualmente, infatti, l’apertura delle offerte al mercato s’impone nonostante il ricorrere di circostanze che in passato avrebbero escluso o, quantomeno, fatto dubitare della possibilità di applicare il principio di contendibilità, fornendo, una volta per tutte, una disciplina comune ai Tribunali.

In primo luogo, come anticipato, il legislatore non pone limiti alle modalità e ai tempi con cui l’offerta è stata articolata: all’ultima parte del primo comma dell’art. 163 bis l. fall., ha previsto che le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il debitore ha stipulato il contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, del ramo di azienda o di specifici beni. Di conseguenza, il divieto della vendita vincolata è stato dal legislatore esteso anche a quei casi in cui debitore ed offerente avessero concluso un contratto preliminare di compravendita prima dell’apertura del concorso dei creditori, con ciò risultando inefficace e, quindi, inopponibile alla massa, anche un eventuale pregresso incontro di volontà negoziali di debitore ed offerente[49].

In secondo luogo, il legislatore ha esteso l’ambito applicativo della norma anche all’ipotesi in cui il trasferimento avvenga prima dell’omologazione, in questo modo, positivizzando la prassi ormai nota di cedere gli asset dopo l’emissione del decreto di apertura ma prima dell’omologa, con conseguente disattivazione della responsabilità solidale tra cedente e cessionario[50]. Infatti, benché l’art. 163 bis l. fall. non faccia richiamo espresso alle disposizioni di cui agli artt. 105 ss., la dottrina maggioritaria ritiene che essi siano comunque applicabili, poiché il procedimento competitivo previsto all’art. 163 bis l. fall. è, di fatto, equiparabile ad una vendita forzata, atteso che essa avviene indipendentemente dalla volontà del debitore[51].

A suggello di quanto sopra esposto, l’ art. 182 l. fall., è stato integrato con la previsione espressa che ad ogni vendita, cessione intervenuta “con trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o di esecuzione di questo, si applicano gli artt. da 105 a 108 ter l. fall., in quanto compatibili”; con la precisazione che le cancellazioni delle iscrizioni relative a eventuali diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti, dei sequestri conservativi e di qualsiasi altro vincolo sono effettuate su ordine del giudice, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto di omologazione[52].

Pertanto, la dottrina è unanime nel ritenere che, avendo l’art. 182 l. fall. portata generale, esso possa applicarsi in via analogica anche alle fattispecie disciplinate dall’art. 163 bis l. fall.

Tornando sull’espressa estensione della disciplina anche alla fase preconcordataria (art. 163 bis, quinto comma l. fall.), vale la pena interrogarsi se la previsione per cui la vendita concorsuale può avvenire anche in assenza di piano, proposta e relazione attestatrice, non possa compromettere in qualche modo gli interessi dei creditori.

La risposta parrebbe negativa. Infatti, non bisogna dimenticare che tale possibilità è contemplata solo laddove sia effettuato un procedimento competitivo. Evidentemente, il legislatore fa forte affidamento sulle capacità del mercato di valorizzare al massimo il bene oggetto di vendita: se la vendita viene pubblicizzata nel modo più idoneo a garantire la più ampia diffusione possibile della notizia, la natura competitiva del procedimento inteso a individuare l’acquirente garantisce in merito alla ottimizzazione del realizzo nell’interesse dei creditori, e ciò rende irrilevante l’eventuale mancanza del piano concordatario[53]. Incidentalmente, vale la pena osservare che la previsione in esame si allinea con la disciplina prevista nel Bankruptcy Code in materia di vendite (363 U.S. B.C.).

Per quanto riguarda le modalità di svolgimento della procedura competitiva, il comma due dell’art. 163 bis l. fall. stabilisce che, nello stesso decreto con cui il Tribunale dispone la ricerca di interessati all’acquisizione, il giudice fissa le modalità di presentazione delle offerte –irrevocabili- che devono, in ogni caso, essere comparabili, e i requisiti di partecipazione degli offerenti. Il decreto stabilisce le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti, gli eventuali limiti al loro utilizzo e le modalità con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne fanno richiesta. Fissa, inoltre, la data dell’udienza per l’esame delle offerte e, più in generale, tutte le modalità di svolgimento della procedura competitiva; le garanzie che dovranno prestare gli offerenti e le forme di pubblicità del decreto. Inoltre, con il provvedimento è disposta (“in ogni caso”) la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche di cui all’art. 490 c.p.c. Il giudice stabilisce, altresì, l’aumento minimo del corrispettivo che le offerte concorrenti devono prevedere. Con la precisazione che l’offerta già ricevuta dal debitore diviene irrevocabile dal momento in cui sia modificata in conformità a quanto previsto dal decreto del tribunale, sempre che venga prestata la garanzia dallo stesso stabilita. E’ possibile disporre la presentazione delle offerte in forma segreta, ma esse sono efficaci solo se conformi a quanto previsto dal provvedimento, ferma l’impossibilità di sottoporle a condizione. In ogni caso, esse sono rese pubbliche all’udienza fissata per il loro esame, alla presenza degli offerenti e di qualunque interessato.

Ora, alcuni dei passaggi di questo lungo secondo comma meritano una più approfondita riflessione.

Anzitutto, la legge espressamente prevede che le offerte devono essere pena la dichiarazione di inefficacia, standardizzate, ossia variare solo il prezzo. L’obiettivo della procedura competitiva è, infatti, scegliere, tra offerte strutturalmente omogenee, quella che aumenta il valore di realizzazione dei beni da trasferire, a vantaggio dei creditori.

Naturalmente, anche l’originario offerente ha l’onere di partecipare alla procedura competitiva, modificando l’offerta secondo le forme previste dal decreto del tribunale, rendendo con ciò irrevocabile l’offerta stessa. (art. 163 bis, comma 3).

Per quanto concerne le informazioni accessibili da parte dei terzi interessati all’acquisto, è facile immaginare come, nell’ipotesi delle offerte concorrenti, si ripropongano gli stessi problemi imputabili alle asimmetrie informative già presenti in tema di proposte.

Infatti, da un lato, si manifesta l’interesse del terzo ad acquisire informazioni sul ramo che si accinge ad acquistare; dall’altro, l’interesse del debitore a non divulgare dati rilevanti, onde cautelarsi da impieghi sleali delle informazioni.

Il legislatore supera il problema prevedendo che è il Tribunale, con il decreto di apertura della procedura, che fissa le modalità di accesso alle informazioni, i limiti al loro utilizzo e le modalità con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne fanno richiesta. È, infatti, il commissario che, nella fase che precede l’apertura della gara, viene a contatto con tutte le informazioni di rilievo circa le effettive condizioni di appetibilità del bene.

Nell’ipotesi di più offerte migliorative, il giudice dispone la gara, che può avere luogo alla stessa udienza o a una immediatamente successiva, con obbligo, però, di concludere le operazioni prima dell’adunanza dei creditori, quand’anche il piano preveda che la vendita o l’aggiudicazione abbia luogo dopo l’omologazione, ed evidentemente a maggior ragione quando l’offerta ed il piano prevedano che il trasferimento abbia luogo prima dell’omologazione. Con ciò si cautela il diritto dei creditori ad accettare o meno la proposta in sede di votazione avendo già piena contezza dell’esito dell’offerta di cessione[54].

Laddove l’offerta risultata vittoriosa non coincida con quella originaria, il suo autore è automaticamente liberato dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore: in tal caso, al commissario è attribuito un ruolo del tutto inusuale rispetto alle proprie attribuzioni, ossia quello di disporre in favore del primo offerente il rimborso delle spese sostenute per la formalizzazione dell’offerta, entro il limite massimo del tre per cento del prezzo da essa indicato[55].

Nel caso di apertura della gara e di aggiudicazione di un’utilità ad un offerente a condizioni diverse da quelle contenute nella proposta originaria, il debitore è ovviamente tenuto a modificare il piano e la proposta di concordato in conformità all’esito della gara. Norma, questa, che, apparentemente, è priva di sanzione salvo, chiaramente, la declaratoria di inammissibilità o di rigetto della domanda concordataria nel caso in cui tale modifica non intervenga. Resta inoltre controverso, se il nuovo art. 185 comma terzo l. fall. possa trovare applicazione in via analogica all’ipotesi di un debitore che, in presenza di un offerente concorrente divenuto aggiudicatario, ometta o rifiuti di modificare piano o proposta concordatari, in conformità all’esito della gara. D’altronde, a favore della applicabilità, gioca la considerazione che l’articolo è genericamente rubricato “dell’esecuzione del concordato”[56].

Alla luce di quanto finora esposto, è corretto concludere che il Tribunale non potrà più autorizzare cessioni di beni non effettuate a valle di procedimenti competitivi e, consequenter, non potranno più effettuarsi vendite a trattativa privata, quand’anche la vendita risulti conveniente sulla base di perizie. Questa considerazione lascia sorgere numerosi dubbi.

Infatti, nell’ansia di accrescere la competitività, vi è il rischio che il legislatore abbia trascurato una serie di elementi rilevanti. In particolare, che la valorizzazione dei complessi aziendali non può prescindere da una loro celere riallocazione sul mercato. In questa prospettiva, la procedura architettata dal legislatore rischia di essere lunga e deleteria[57], mentre una vendita immediata potrebbe risultare più vantaggiosa. Inoltre, la norma potrebbe avere l’effetto di disincentivare l’affitto medio tempore di azienda in concordato, posto che la necessità di affittare l’azienda spesso si presenta come indifferibile. Ciò perché il conduttore, alla scadenza dell’affitto, sarà esposto al rischio che l’azienda condotta in locazione venga assegnata ad un soggetto diverso.



[1] L’acuirsi del fenomeno dell’insolvenza ad inizio del Secolo ha attirato l’interesse della Commissione dell’Unione Europea verso i profili di diritto fallimentare degli Stati membri. In particolare, è emersa sempre più forte la consapevolezza del legame tra crescita economica e diritto della crisi di impresa. Tale interesse ha prodotto l’emanazione di una serie di best practice in grado di indirizzare i governi, prima e gli operatori economici, poi, verso un miglior, più razionale approccio nei confronti del fallimento, talvolta ritenuto inutilmente penalizzante per l’imprenditore; nonché un invito generale all’ammodernamento delle procedure concorsuali, ritenute inutilmente lunghe e costose. Segue un’elencazione in ordine cronologico degli interventi comunitari in materia di procedure di insolvenza e loro incidenza sull’economia:

- Comunicazione della Commissione del 5 ottobre 2007 al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni intitolataSuperare la stigmatizzazione del fallimento aziendale-Per una politica della seconda possibilità-Attuazione del partenariato di Lisbona per la crescita e l’occupazione(COM(2007) 584 def.), non pubblicata in G.U.C.E.;

- il 15 novembre 2011 il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione sulle procedure d’insolvenza (P7_TA(2011)0484), contenente una serie di raccomandazioni per l’armonizzazione di aspetti specifici delle legislazioni nazionali in materia di insolvenza, comprese le condizioni per l’elaborazione, l’impatto e i contenuti dei piani di risanamento sulle procedure d’insolvenza nel contesto del diritto societario dell’UE;

- con la Comunicazione L’Atto per il mercato unico del 3 ottobre 2012 (COM(2012)573 final), la Commissione propone l’azione chiave volta amodernizzare le norme UE in materia di insolvenza per facilitare la sopravvivenza delle imprese e offrire una seconda possibilità agli imprenditori”, annunciando, a tal fine, che esaminerà le modalità per accrescere l’efficienza del diritto fallimentare nazionale, in modo da creare condizioni di parità per le imprese, gli imprenditori e i privati cittadini nell’ambito del mercato interno;

- con la Comunicazione Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all’insolvenzadel 12 dicembre 2012 (COM (2012)742 final), la Commissione evidenzia i settori in cui le divergenze tra diritti fallimentari nazionali rischiano di ostacolare la creazione di un quadro giuridico efficiente nel mercato interno, e osserva che, ponendo tutti i diritti fallimentari nazionali sullo stesso piano, crescerà la fiducia di società, imprenditori e privati negli ordinamenti degli altri Stati membri e migliorerà l’accesso al credito che a sua volta fungerà da incentivo agli investimenti;

- il 9 gennaio 2013 la Commissione ha adottato ilPiano d’Azione per imprenditorialità 2020(COM(2012)795 final) in cui, tra l’altro, invita gli Stati membri a ridurre nei limiti del possibile il tempo di riabilitazione e di estinzione del debito nel caso di un imprenditore onesto che ha fatto bancarotta, portandolo a un massimo di tre anni entro il 2013, e a offrire servizi di sostegno alle imprese in tema di ristrutturazione precoce, di consulenza per evitare i fallimenti e di sostegno alle PMI per ristrutturarsi e rilanciarsi;

- da ultima, si segnala la Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014 su Un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza(C(2014)1500 final): come affermato nel considerando della Comunicazione, obiettivo è garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale. Un altro obiettivo è dare una seconda opportunità in tutta l’Unione agli imprenditori onesti che falliscono.

[2] L’Italia, nel periodo antecedente alla riforma, sperimentava le conseguenze di una normativa fallimentare decisamente inadeguata rispetto al mercato in cui operavano le imprese: i dati immediatamente precedenti alla riforma del 2005 avevano conclamato che le spese e la durata delle procedure concorsuali erano di gran lunga le più elevate d’Europa e, contemporaneamente, le percentuali di recupero tra le più basse in assoluto. Per tale ragione, lo svantaggio competitivo rappresentato dai costi direttamente connessi all’inefficienza delle procedure concorsuali finiva, tra le tante cose, con l’incidere gravemente, sia sul livello dell’onerosità e della disponibilità del credito bancario, che su quello del costo dell’insuccesso del progetto legato all’investimento, ossia sul livello del premio di rischio, disincentivando l’innovazione. Cfr. Fimmanò, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi mediante la trasformazione dei creditori in soci, in Riv. dir. soc., 2010, p. 57.

[3] Cfr. Bonelli, Le insolvenze dei grandi gruppi, in Bonelli (a cura di), Crisi di imprese: casi e materiali, Giuffrè, Milano, 2011, pag. 2.

[4] Sul tema, cfr. Beltrami, La disciplina dei finanziamenti alle imprese in crisi nelle operazioni di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, p. 43 ss.

[5]Sui menzionati interventi del legislatore, senza alcuna pretesa di esaustività, si richiama la recente e vastissima dottrina: Fabiani, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, in Fallimento, 2010, p. 904; Bonfatti, Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale della crisi, relazione in occasione del convegno nazionale sulle “Procedure di composizione negoziale della crisi di impresa: opportunità e responsabilità”, Reggio Emilia, 8 ottobre 2010, in www.ilcaso.it, documento n. 214/2010; Stanghellini, Finanziamenti ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Fallimento, 2010, p. 1346; Ambrosini, I finanziamenti bancari alle imprese in crisi dopo la riforma del 2012, in Dir. fall., 2012, I, p. 469; Balestra, I finanziamenti all’impresa in crisi nel c.d. Decreto sviluppo, in Fallimento, 2012, p. 1401; Nieddu Arrica, Finanziamento e sostenibilità dell’indebitamento dell’impresa in crisi, in Giur. comm., 2013, I, p. 808; Censoni, Concordato preventivo e nuova finanza, in Fallimento, 2014, p. 377; Tarzia, Il variegato mosaico delle prededuzioni dopo gli ultimi interventi del legislatore, in Fallimento, 2014, p. 756; Boggio, I tormenti della prededuzione nel fallimento consecutivo dei crediti sorti in occasione o in funzione del concordato preventivo (anche alla luce del D.L. 23 dicembre 2013, n.145 e del D.L. 24 giugno 2014, n. 9), in Giur. it., 2014, p. 1653.

[6] Si ricorda che, per quanto riguarda la proposta di accordo, di cui all’art. 182 bis, sesto comma l. fall., è sufficiente che l’imprenditore depositi presso il tribunale competente la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma lettere a), b), c) e d), e una proposta di accordo corroborata da una dichiarazione dell’imprenditore (con valore di autocertificazione), idonea a dimostrare che sulla medesima sono in corso trattative con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti. La legge richiede al professionista avente i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) soltanto di esprimersi sull’astratta idoneità dell’accordo ad assicurare la soddisfazione dei creditori estranei, o che comunque hanno negato la loro disponibilità a trattare, qualora l’accordo giunga effettivamente ad una conclusione. La domanda con riserva, invece, è segnalata come un istituto dall’impatto ancora più rilevante, laddove consente all’imprenditore in crisi di depositare un ricorso contenente soltanto la domanda di concordato, accompagnata dai bilanci degli ultimi tre esercizi e dell’elenco nominativo dei creditori; permette di presentare la proposta, il piano e la documentazione richiesta all’art. 161, secondo e terzo comma l. fall., in un momento successivo, il cui termine è presentato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. All’imprenditore è, oltretutto, concessa la possibilità di presentare, in alternativa al piano e alla proposta di concordato, una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione perfezionato nel periodo di protezione consentito dal giudice a seguito della presentazione della domanda con riserva; in tal caso, restano fermi fino all’omologazione gli effetti prodotti dal ricorso che siano compatibili con il sopravvenuto accordo di ristrutturazione. Cfr. ASSONIME, Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi, Firenze, 2015.

[7] Per tutti, cfr. Cincotti – Nieddu Arrica, op. cit. p. 1258.

[8] Sul tema, senza pretese di esaustività, si vedano Macrì, L’abuso del diritto nel concordato con riserva in Fallimento, 2014, p. 13; Salvato, Nuove regole per la domanda di concordato preventivo con riserva, in Il Fallimento, 2013, p. 1209; Falcone, Profili problematici del concordato con riserva, in Dir. fall., 2013, I, p. 392; Del Linz, La domanda di concordato preventivo con riserva, in Giur. comm., 2013, II, p. 161.

[9] Si vedano gli “Orientamenti del tribunale di Milano in tema di concordato preventivo a seguito del Decreto Sviluppo”, in Dir. fall., 2012, I, p. 757.

[10] Cfr. Falcone, op. cit., p. 402.

[11] Cfr. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte III: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. Finanziamenti e contratti pendenti, in www.ilFallimentarista.it, p. 8. Cfr. anche Farolfi, La nuova finanza nella fase introduttiva del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, in www.ilcaso.it, p. 12.

[12]Requisiti che, non potendo essere solo allegati, ma dovendo risultare concretamente dimostrati, rendono il decreto autorizzatorio (o meno) del tribunale del tutto analogo ad un provvedimento ex art. 700 c.p.c., che debba pronunciarsi, sia pure in via sommaria all’esito di una pur ristretta e celere istruttoria (qui di dieci giorni), sull’esistenza dei profili di fondatezza del petitum (destinazione ad attività aziendale) e di periculum in mora (insostituibilità del finanziamento e rischio di denaro imminente)”(cosìBenvenuto,Speciale Decreto n. 83/2015 - Le modifiche apportate alla procedura diconcordato quale espressione dell’ottimismo della volontà,in www.ilFallimentarista.it).

[13] Sul punto, si veda anche Scribano, La finanza interinale nel concordato preventivo fra nuovi interventi d’urgenza e urgenza del debitore in stato di crisi, in www.ilcaso.it, p. 4. L’Autrice osserva che, se adottato, il provvedimento del Tribunale assume le vesti dell’urgenza ex art. 700 c.p.c. e ciò in quanto il Tribunale deve pronunciarsi in via sommaria, in camera di consiglio e con decreto motivato, entro dieci giorni dal deposito dell’istanza.

[14] In argomento, si veda anche Bottai, Speciale decreto contendibilità e soluzioni finanziarie n. 83/2015: i finanziamenti interinali, in www.ilFallimentarista.it.

[15] Cfr. Trib. Milano, 11 dicembre 2012, in www.ilcaso.it, il quale, nel caso di specie, ha osservato chepuò essere autorizzata, ai termini dell’art.182 quinquies, commi 1 e 2 l.fall. l’estensione della linea di credito anche alle fatture emesse a favore delle P.P.A.A., quale finanziamento prededucibile, essendo detto utilizzo, conformemente a quanto risulta dalla redazione dell’esperto e degli altri elementi informativi acquisiti, funzionale alla continuità aziendale e non dannoso per il patrimonio della ricorrente, stante il fatto che l’incremento dei debiti e il corrispondente incremento degli oneri finanziari (connesso con l’allungamento dei periodi di chiusura del ciclo economico a causa dei maggiori tempi di incasso delle fatture delle PP.AA.) è controbilanciato all’incremento dei maggiori crediti commerciali, peraltro tutti di certo incasso, come attestato anche dalla relazione del professionista, e quindi funzionale ad una migliore soddisfazione dei creditori, anche in un’eventuale ipotesi liquidatoria”.

[16] Per un approfondimento sull’art. 169 bis l. fall. si vedano, ex multis, Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare, in Crisi d’Impresa e Fallimento; Martinelli, L’art. 169 bis l. fall. dopo la novella del D.L. 83/2015 (convertito, con modificazioni, dalla L. N. 132/2015): the king is dead?”, in Crisi di impresa e Fallimento, 20 ottobre 2015; Sotgiu, Il nuovo concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2015, p. 1514; Corciulo – Carbone, Le novità della riforma estiva (D.l. 83/2015, conv. In L. 132/2015) in tema di rapporti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari, in www.ilFallimentarista.it.

[17] Cfr. App.Genova,10febbraio2014,in www.ilcaso.it:Lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo può essere autorizzato anche con riferimento a contratti di anticipo fatture nei quali la banca abbia già eseguito pressoché interamente la propria prestazione”; Trib. Pavia, 24 novembre 2014, in www.ilcaso.it: “La disciplina di cui all’art. 169-bis l.fall. riguarda i contratti in corso di esecuzione ovvero rapporti giuridici obbligatori che hanno perfezionato il proprio iter formativo in epoca antecedente alla data di presentazione della domanda, ma non sono ancora completamente eseguiti per il mancato raggiungimento del loro effetto finale. Il mandato irrevocabile a versare le somme derivanti da contratto di cessione di credito su specifico conto corrente bancario, pur facendo parte di una complessa fattispecie contrattuale, può essere oggetto di autonoma sospensione quando, dall’interpretazione complessiva dei documenti negoziali, non solo appare dotato non solo di struttura e causa autonoma, ma anche quando risulta qualificabile come mera pattuizione di assistenza (non determinante) del complesso accordo negoziale in essere”; Trib. Busto Arsizio, 11 febbraio 2013, in www.ilcaso.it: A fronte della presentazione di una domanda di concordato preventivo con riserva è possibile disporre la sospensione dei contratti bancari allo scopo di evitare che gli istituti di credito pongano in compensazione i propri crediti verso la ricorrente con le somme che affluiscono sui relativi conti correnti, con conseguente lesione della par condicio creditorum ed in contrasto con i principi stabiliti dagli articoli 168 e 169, legge fallimentare”; Trib. Rovigo, 7 ottobre 2014, in www.ilcaso.it: “L’ambito applicativo della disposizione relativa ai contratti in corso di esecuzione di cui all’articolo 169 bis L.F. differisce da quello della disposizione contenuta nell’articolo 72 L.F. e legittima, pertanto, lo scioglimento (e non la risoluzione) anche di contratti unilaterali o parzialmente adempiuti. Depongono in questo senso il mancato richiamo all’articolo 72 citato, il tenore letterale dell’articolo 169 bis, il quale fa riferimento a contratti in corso di esecuzione e non ai rapporti pendenti, nonché la espressa indicazione, al comma 4, delle ipotesi di deroga alla disciplina in questione”.

[18] Trib. Verona, 24 dicembre 2012, in www.ilcaso.it: "Il recesso di un istituto di credito dall'apertura di credito in conto corrente a tempo indeterminato, esercitato in modo repentino e senza alcuna motivazione oggettiva, deve ritenersi contrario a buona fede e quindi inefficace per il periodo di tempo ragionevolmente necessario per consentire al correntista di reperire la provvista necessaria, anche tramite il ricorso a crediti alternativi presso il ceto bancario"; Trib. Monza, 18 luglio 2004, in Giur. merito, 2004, p. 2219: "Poiché l'art. 1845 c.c. in tema di recesso dal contratto di apertura di credito ha natura dispositiva, sono valide le deroghe pattizie che escludano la sussistenza di una giusta causa per la validità del recesso nei contratti a tempo determinato e che fissino un termine di preavviso inferiore a giorni 15 per quelli a tempo indeterminato. Detta facoltà deve comunque essere esercitata conformemente al principio di buona fede, potendosi comunque ritenere illegittimo il recesso concretamente esercitato con connotati imprevisti e del tutto arbitrari. Va tuttavia esclusa l'arbitrarietà del recesso esercitato a fronte di una sopravvenuta scarsa solvibilità dell'accreditato, qualora risulti in concreto che la banca ha atteso quattro mesi dalla scoperta della segnalazione alla centrale rischi intercambiaria prima di riconsiderare le condizioni dell'apertura di credito con l'affidata; che, prima di procedere alla revoca dell'apertura di credito, ha chiesto al fideiussore, legale Rappresentante della stessa società debitrice principale, di integrare le garanzie personali già concesse con garanzia reale, incontrando un rifiuto; che ha proposto ai suoi clienti di ridurre l'ammontare del fido oppure di predisporre idoneo piano di rientro, sempre senza esito"; App. Salerno, 12 luglio 2007, in Corr. merito, 2008, p. 10 s.: "Sebbene sia valida la clausola del contratto di apertura del credito bancario che, derogando all'art. 1845 c.c. preveda l'immediata efficacia del recesso, è contraria al dovere di buona fede, al quale sono tenuti i contraenti durante l'esecuzione del contratto, l'esercizio della facoltà di recesso da parte della banca laddove il cliente depositi assegni bancari a parziale pagamento ed il credito bancario, di importo non eccessivo, risulti assistito da adeguate garanzie personali".

[19] Cfr. Lamanna, La miniriforma anche del diritto concorsuale secondo il decreto contendibilità e soluzioni finanziarie n. 83/2015: un primo commento”, in www.ilFallimentarista.it. In particolare, l’Autore ritiene che l’indicazione normativa vada recepita come “espressione della genuina volontà di eliminare, con l’autorizzazione, (per quanto ultronea) del Tribunale, il rischio – presente in una disciplina che appare ancora galleggiare su un terrain vague, abbandonato a se stesso e preda di confuse prassi auto-generatesi nella mancanza di più penetranti controlli e di più certe garanzie, che una banca non consenta la prosecuzione di una linea autoliquidante, temendo che poi non possa riconoscersi la prededuzione ai crediti che ne derivino”. Si segnala, inoltre che, secondo Bottai, op. cit., p. 9, “dalla formulazione della norma sorge il dubbio che tali contratti – nelle diverse forme che la tecnica bancaria consente, qualora siano in corso di esecuzione nel momento in cui il debitore presenta la domanda prenotativa ex art. 161, sesto comma, l. fall. non possano proseguire ordinariamente, come finora si riteneva in virtù della lettera dell’art. 161 comma settimo (quali atti di ordinaria gestione), ma necessitino di apposita autorizzazione ai sensi del nuovo terzo comma dell’art. 182 quinquies l. fall., sia a pena della eventuale revoca del termine assegnato, sia soprattutto, per veder riconosciuta la prededuzione. Di talché ne uscirebbe rallentato il modo di operare delle imprese, in piena contraddizione con quanto la stessa norma vorrebbe agevolare”.

[20] App. Milano, 29 gennaio 2015, in www.ilcaso.it: "La nozione di contratti in corso di esecuzione di cui all'articolo 169 bis L.F. è riconducibile a quella di contratti pendenti di cui all'articolo 72 L.F. I contratti in corso di esecuzione sono, pertanto, tutti contratti sinallagmatici non eseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambi le parti, mentre i contratti unilaterali con obbligazioni a carico di una sola delle parti non possono essere ricompresi in tale nozione, in quanto, nell'ambito di tali rapporti, la controparte ha già compiutamente eseguito la sua prestazione prima della presentazione del ricorso per concordato preventivo di cui all'articolo 161 L.F. ed al contraente in bonus residuerà esclusivamente un credito mentre, nel caso in cui sia il contraente concordatario ad aver adempiuto completamente 'obbligazione, sarà quest'ultimo a vedersi riconosciute il relativo credito"; App. Venezia, 26 novembre 2014, in www.ilcaso.it: "Posto che la nozione di "contratti in corso di esecuzione" di cui all'articolo 169 bis L.F. tende a coincidere con quella di "contratti pendenti" di cui all'articolo 72 L.F., va esclusa la applicabilità di questa disciplina, con particolare riferimento a quella dettata per il concordato preventivo, alle ipotesi in cui gli effetti del contratto si sono già tutti verificati ad eccezione della prestazione di uno dei contraenti e comunque a quelle situazioni ove residua unicamente un debito o un credito a carico di una delle parti". Per la dottrina: Ambrosini, Gli effetti della ammissione al concordato e i contratti in corso di esecuzione, in www.fallimentiesocietà.it.

[21] Cfr. Lamanna, op. cit., p. 16, secondo cui, in questo modo si sdogana “una soddisfazione fuori concorso e non semplicemente una soddisfazione preferenziale, utilizzando beni destinati, di norma, alla liquidazione e quindi alla paritaria distribuzione fra i creditori”.

[22] Cfr. Corciulo, Le recenti novità legislative in tema di finanziamenti alle imprese in crisi,in www.ilFallimentarista.it.

[23] Cfr. Corciulo, op. locc. ult. cit.

[24] Cfr. Savioli, Concorrenza nel mercato e per il mercato delle crisi di impresa. Le innovazioni del D.L.83/2015 per la procedura di concordato preventivo, in www.ilcaso.it.

[25] Cfr. § 1121, Bankruptcy Code: «a) The debtor may file a plan with a petition commencing a voluntary case, or at any time in a voluntary case or an involuntary case; b) Except as otherwise provided in this section, only the debtor may file a plan until after 120 days after the date of the order for relief under this chapter. c) Any party in interest, including the debtor, the trustee, a creditor’s committee, an equity security holder’s committee, a creditor, an equity security holder, or any indenture trustee, may file a plan if and only if - 1) a trustee has been appointed under this chapter; 2) the debtor has not filed a plan before 120 days after the date of the order for relief under this chapter; or 3) the debtor has not filed a plan that has been accepted, before 180 days after the date of the order for relief under this chapter, by each class of claims or interests that is impaired under the plan.(…)». La caratteristica che rimane propria del sistema legislativo statunitense è la possibilità che l’iniziativa di proporre una domanda di concordato sia presa anche da soggetti diversi dal debitore-imprenditore. Cfr.: Giorgetti, Critica alla legge fallimentare riformata: la legittimazione dei terzi a proporre la domanda di concordato preventivo quale ipotesi di soluzione alternativa, in www.ilFallimentarista.it;Ratti, Ammissione alla procedura e proposte concorrenti, nella Nuova riforma del diritto concorsuale – Commento operativo sul d.l. 83/2015 conv. in l. 132/2015, Giappichelli, Torino, 2015, p. 134.

[26] Si ricordi che il concordato fallimentare, causa legale di cessazione del fallimento, è proponibile su iniziativa di uno o più creditori (similmente l’art. 163 l. fall.) ovvero di un terzo assuntore (analogamente l’art. 163 bis l. fall.), anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purché la contabilità risulti correttamente tenuta; la proposta può essere presentata anche dal fallito, ma non prima che sia decorso un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo.

[27] Cfr. Savioli, op. cit. p. 1.

[28] Nello stesso senso, Sabatelli, La novellata disciplina della domanda di ammissione al concordato preventivo, in www.ilFallimentarista.it, p. 17e Ambrosini, Il diritto della crisi di impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, in Crisi d’Impresa e Fallimento, p. 29. In senso contrario, Lamanna, op. cit. p. 2.

[29] La necessità di distinguere chi meriti di offrire una soglia di soddisfacimento pari al 40 e chi pari al 30, riaprirà, di certo, la discussione sulle caratteristiche che debba avere il concordato in continuità rispetto a quello liquidatorio e, nello specifico, la possibilità di configurare la continuità in caso di affitto d'azienda. Sul punto, le posizioni di dottrina e giurisprudenza sono, infatti, tuttora contrastanti. Da un lato, vi è chi sostiene che, nell'ipotesi dell'affitto d'azienda, non si giustifica in capo al debitore l'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa, richiesta dall'art. 186 bis l. fall., poiché il rischio della sua prosecuzione ricade solo sull'affittuario, di cui, al più, occorre indagare la solidità economica in relazione al canone convenuto; né, tantomeno, l'affitto costituisce una delle ipotesi impiegate dal legislatore per definire la continuità aziendale, che nell'art. 186 bis l. fall. ha fatto riferimento unicamente alle ipotesi di prosecuzione in proprio, cessione dell'azienda in esercizio, conferimento dell'azienda in società. Dall'altro lato, però, quando l' affitto di azienda è successivo alla domanda (o, anche se anteriore, con effetti che si manifestano dopo la domanda, conformemente alle regole della procedura), si registra una maggiore apertura verso la possibilità di qualificare il concordato "con continuità". Resta, però, fermo, che una siffatta qualificazione è esclusa quando l'affitto di azienda è anteriore alla domanda: il concordato non può essere qualificato "con continuità" ai sensi dell'art. 186-bis l. fall. in quanto, in pendenza di concordato la continuità non vi è mai stata e quindi non si possono applicare le norme che, con riferimento all'impresa in continuità aziendale nel concordato, facilitano il mantenimento del valore aziendale e la sua monetizzazione in caso di trasferimento a terzi. In questo caso l'affitto è stato posto in essere prima della procedura e al di fuori di essa, secondo le regole del codice civile. Per la giurisprudenza favorevole alla sussunzione dell'affitto nel genus del concordato in continuità si veda: Trib. Cassino, 31 luglio 2014, in www.ilcaso.it: "La stipula del contratto di affitto di azienda in data anteriore alla presentazione del ricorso per concordato preventivo non pone problemi di compatibilità con la continuità aziendale; Trib. Cuneo, 29 ottobre 2013, in ilcaso.it: "Nel concordato preventivo la previsione dell'affitto come elemento del piano concordatario, purché finalizzato al trasferimento dell'azienda e non destinato alla mera conservazione del valore dei beni aziendali al fine di una loro più fruttuosa liquidazione, deve ritenersi riconducibile all'ambito disciplinato dall'art. 186-bis l.fall."; Trib. Terni, 2 aprile 2013, in www.ilcaso.it: "Le prescrizioni contenute nell'articolo 186 bis L.F. in ordine alla analitiche indicazioni di costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa ed alla relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, sono disposizioni di tutela del ceto creditorio dai rischi connessi all'alea dei flussi economici e dall'incremento delle passività in prededuzione e, come tali, devono essere osservate anche nell'ipotesi in cui la continuità aziendale sia ottenuta mediante affitto dell'azienda in esercizio a terzi. Contra: Trib. Ravenna, 22 ottobre 2014, in www.ilcaso.it. A favore della configurabilità nei soli casi in cui l'affitto è posteriore alla domanda: Trib. Busto Arsizio 1 ottobre 2014, in www.ilcaso.it: "Sono da escludere dal novero della continuità aziendale tutte le fattispecie concordatarie caratterizzate dalla presenza di un contratto di affitto d'azienda. In particolare, non rientrano nella nozione di concordato con continuità aziendale le ipotesi in cui tale contratto, sia pure corredato da un impegno irrevocabile di acquisto da parte dell'affittuario, sia stato stipulato prima del deposito della domanda ex art. 161 L.F. o comunque prima dell'omologazione, atteso che il piano così strutturato non potrà contemplare l'esercizio dell'impresa come elemento di acquisizione del fabbisogno per il soddisfacimento dei creditori e posto che la cessione dell'azienda avverrà quando questa non sarà più in esercizio da parte del debitore. Il concordato può, infatti, essere ricondotto all'istituto di cui all'art. 186bis L.F. in tutte le ipotesi in cui il debitore prosegue nell'esercizio dell'impresa dopo l'omologazione: in via temporanea perché in vista di una cessione (anche eventualmente preceduta dall'affitto purché lo stesso intervenga dopo un periodo di gestione da parte del debitore) o in via definitiva perché in prosecuzione diretta in vista di un risanamento". Per la dottrina, si veda Di Marzio, Concordato con continuità aziendale ed affitto di azienda, in www.ilFallimentarista.it. .

[30] Cfr. Lamanna, op. cit. p. 2.

[31] Cfr. Lamanna, op. cit. p. 2. In dottrina sono stati sollevati numerosi dubbi circa la tenuta costituzionale della norma. In particolare, Bozza, in Brevi considerazioni su alcune norme della ultima riforma, in Fallimenti e società.it, p. 12, osserva che: “Se ciò può essere giustificato nel concordato fallimentare, che presuppone la dichiarazione di insolvenza del debitore e lo spossessamento dello stesso proprio ai fini della liquidazione dei suoi beni, non lo è altrettanto nel concordato preventivo, ove manca l’accertamento della insolvenza e il debitore, che potrebbe anche versare in uno stato di crisi reversibile, dispone ancora del suo patrimonio, pur se sotto la vigilanza del commissario, e la legge gli concede la libertà di gestire la crisi nel modo che crede più opportuno”. Ritiene, invece, che i dubbi di incostituzionalità non siano insuperabili, “quanto meno nel caso in cui l’imprenditore sia insolvente”, Ambrosini, Il diritto della crisi di impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, in Crisi d’Impresa e Fallimento, p. 27. In argomento, si veda anche Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla del terzo, in www.Ilcaso.it, p. 19.

[32] Per tutti, cfr. Sabatelli, op. cit. p. 25.

[33] Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in www.ilcaso.it; App. Genova, 23 ottobre 2014, in www.ilcaso.it, secondo cui "Nel caso di concordato con cessione dei beni, l'indicazione della percentuale di soddisfazione dei creditori non comporta l'assunzione di alcuna garanzia in tal senso". Ma v. anche Trib. Genova, 26 giugno 2014, in www.ilcaso.it, per il quale "La proposta di concordato che indichi la percentuale di soddisfazione dei creditori e il tempo entro il quale gli stessi verranno soddisfatti deve qualificarsi come proposta di cessione con garanzia e, pertanto, qualsiasi sensibile inadempimento nei tempi e nella percentuale del pagamento dei crediti integra gli estremi di un inadempimento di non scarsa importanza che legittima la risoluzione del concordato (nel caso di specie era previsto il pagamento del 34% dei crediti chirografari in un tempo di circa due anni)".

[34] Ambrosini, op. cit., p. 33.

[35] Sul tema si veda Benvenuto Le modifiche apportate alla procedura di concordato quale espressione dell’ottimismo della volontà, in www.ilFallimentarista.it, p. 6, il quale ha osservato che “la responsabilità del superamento della soglia è rimessa alla severità dell’attestatore e non più (come indicato negli artt. 160 e 161) alla idoneità del debitore di assicurare il suo raggiungimento (ma, evidentemente, le garanzie offerte favoriscono il disco verde dell’attestatore”.

[36] Analogamente, cfr. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, in www.ilcaso.it., p. 15. Il rischio, paventato da Lamanna, op. cit.,p. 29, è che sul professionista potrebbero cumularsi una montagna di responsabilità improprie che dovrebbero, invece, far capo al debitore.

[37] In senso conforme, si veda Galletti,Specialedecreton. 83/2015,in www.ilFallimentarista.it.

[38] Cfr. Nardecchia, op. cit., p. 16.

[39] Cfr. Sabatelli, op. cit. p. 18. Sul punto, si veda anche Lamanna, Le nuove proposte concorrenti: è configurabile un concordato con continuità aziendale del creditore competitor? A quali limiti è soggetta la sua proposta?, in www.ilFallimentarista.it;Bozza, op. cit., osserva che non è prevista alcuna omogeneità tra le proposte, tuttavia, l’Autore si esprime in senso negativo al riguardo, osservando che, in questo modo,sarà penalizzata l’intenzione di ristrutturare l’impresa in via diretta con un concordato in continuità dal momento che un terzo che intravede buona possibilità può intervenire (…) con una proposta di cessione dei beni, dato che non è richiesta alcuna omogeneità tra le proposte stesse”. Per una panoramica completa sul differente contenuto che possono adottare le proposte di concordato preventivo, si veda Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, in www.Ilcaso.it.

[40] Le proposte concorrenti, infatti, possono essere presentate entro trenta giorni dalla data fissata per l’adunanza dei creditori (ex art. 163 comma quinto, l. fall.) ed il commissario deve riferire con relazione da depositare in cancelleria e comunque ai creditori almeno dieci giorni prima dell’adunanza medesima (ex art. 172 comma secondo, l. fall.), conservando, perciò, un tempo, più o meno ragionevole, di venti giorni per il loro esame. Ma poiché le proposte, possono essere modificate sino a quindici giorni prima dell’udienza (ex art. 172, comma secondo, l. fall.), in tale evenienza al commissario residuerebbero solo cinque giorni per l’attività istruttoria richiesta, tempo da giudicarsi del tutto insufficiente per effettuare una relazione particolareggiata, ancorché si tratti di rilevare solo le modifiche a proposte già conosciute. Cfr. Savioli, op. cit. p. 7.

[41] Si è detto al riguardo che “nel sistema è stato ripudiato un principio sacrosanto, quello del divieto di agire in conflitto di interessi, che nel nostro ordinamento stenta a decollare ovunque”, Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale, fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it, p. 12.

[42] In questo senso, Ambrosini, op. cit., p. 28, il quale esclude che la sola presenza di proposte concorrenti, o comunque la loro approvazione, “precluda al debitore la possibilità di rinunciare alla domanda, che è concetto pur sempre diverso dalla proposta, atteso che dall’opzione adottata dal nostro legislatore si evince che la proposta concorrente sta e cade con la domanda del debitore, nel senso che può nascere solo grazie ad essa e con il venir meno di quest’ultima è destinata fatalmente a essere caducata; il che vale, a fortiori, nell’ipotesi di revoca disposta dal tribunale ai sensi dell’art. 173. “Ad una differente conclusione potrebbe forse giungersi, sul piano processualcivilistico, ove si ritenesse di qualificare la proposta concorrente alla stregua di un intervento autonomo nel giudizio concordatario, stante la possibilità per l’interveniente di proseguire nella domanda ancorchè l’attore/ricorrente abbia rinunciato alla propria, a prescindere dall’originaria facoltà dell’interveniente stesso di radicare motu proprio l’iniziativa; anche perché l’eventuale rinuncia, per spiegare i propri effetti, presupporrebbe l’accettazione da parte dell’interveniente. Senonché, occorre riconoscere come non sia agevole ricostruire il procedimento concordatario come un unico giudizio (dal ricorso all’omologazione), tanto più tenuto conto del peculiare oggetto che lo contraddistingue e che rende problematico ravvisare quella connessione oggettiva che sola, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., legittima l’intervento. Neppure questo percorso, insomma, consente di addivenire in modo lineare e pienamente persuasivo alla pretesa illegittimità – e comunque irrilevanza – della rinuncia. Sul tema, si veda anche Negro, Proposte concorrenti, rinuncia alla domanda e revoca della proposta di concordato preventivo, in Crisi di impresa e Fallimento. Ammette la possibilità di rinunciare alla domanda, anche D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, p. 1165.

[43] Nel senso che le proposte concorrenti rimangono comunque efficaci, Vella, op. cit., p. 27: “la legge pone la domanda del debitore come condizione di proponibilità, ma non anche di procedibilità, della proposta concorrente”; Vitiello, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: le possibili soluzioni alle primissime questioni intepretative, in www.ilFallimentarista.it; Varotti, op. cit. p. 14. Sul punto, si veda anche Lamanna, La rinuncia alla domanda di concordato, in www.ilFallimentarista.it, il quale ritiene che, ammesso che sia ammissibile, la rinuncia alla domanda non avrebbe alcun effetto sulle proposte concorrenti, se effettuata oltre il termine di 15 giorni concesso per le modifiche.

[44] Disposizione che, come fa notare anche Ambrosini, op. loc. ultt. citt., appare ispirata a modelli stranieri e, in particolare, al mandataire en justice della legge francese.

[45] Cfr. Vitiello, Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell’era delle proposte di concordato chiuse, in www.ilFallimentarista.it.

[46] Sostengono la tesi della legittimità del c.d. “concordato chiuso”: Trib. Bolzano 10 marzo 2015 (“sempre che giustifichi in modo compiuto nel piano la congruità del prezzo del bene destinato alla cessione”), in www.ilcaso.it; Trib. Lodi, 1° marzo 2010, in Fallimento,2010, p. 593; Cass., 8 luglio 1985, n. 4068; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 13 marzo 1983, in Giur. merito, 2001, p. 679. In dottrina: Fabiani, Concordato preventivo per cessione dei beni e predeterminazione delle modalità di liquidazione, in Fallimento, 2010, p. 593; Audino, sub art. 180, in Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Cedam, Padova, 2013, p. 1189; Nigro – Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Mulino, Bologna, 2009, p. 371.

[47] Negano l’ammissibilità del concordato chiuso: Trib. Milano, 12 giugno 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Piacenza, 3 luglio 2008, in Fallimento, 2009, p. 120. In dottrina: Conca, Il rapporto tra autonomia privata e controllo giudiziale nel concordato preventivo in www. Il Fallimentarista.it; Di Cecco, sub art. 182,in Nigro – Sandulli – Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Giappichelli, Torino, 2010, p. 2234.

[48] Cfr. Trib. Roma, 23 luglio 2010, in Redazione Giuffrè, 2010.

[49] Cfr. Lamanna, op. ult. cit., p. 18, il quale precisa come “l’area reale di applicazione della norma va individuata solo laddove l’offerta sia stata conformata in modo da impegnare il debitore in concordato a darle obbligatoria attuazione. Altrimenti, la norma sarebbe del tutto superflua.

[50] Cfr. Varotti Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare, in Crisi d’impresa e Fallimento.it.; Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163 bis l. fall.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, in www.ilFallimentarista.it, e Id., La cessione dell’azienda prima dell’omologa del concordato preventivo liquidatorio, in www.ilFallimentarista.it.

[51] Cfr. Ambrosini, op. cit., p. 37.

[52] Cfr. Ambrosini, op. cit., p. 38, secondo il quale “deve ragionevolmente ritenersi che la vendita possa esser delegata a un professionista ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c. e, soprattutto, che ogni qualvolta l’alienazione attenga a un complesso aziendale resti esclusa la solidarietà passiva dell’acquirente per i debiti sorti prima della cessione”. Si veda, sul punto, anche Varotti, op. ult. cit., p. 3, il quale osserva che: “a) a seguito della vendita (effettuata prima o dopo l’omologazione) con atto notarile, dovranno essere cancellate le formalità gravanti sui beni trasferiti; evento che potrà avvenire, in applicazione dell’art. 108, mediante decreto del tribunale o del giudice delegato e dopo l’incasso del prezzo (o nel caso di pagamento rateale con garanzia, anche in un momento anteriore); b) la vendita (l’udienza e gli atti che la precedono o la seguono) potranno essere delegate al professionista ai sensi dell’art. 591 bis del codice di procedura civile; c) se è alienata un’azienda, salvo quanto si dirà appresso per i crediti da lavoro subordinato, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti sorti prima del trasferimento, a meno che il contratto non contenga accordi diversi (art. 105, quarto comma)”.

[53] Sul punto si veda Greggio, op. cit., p. 9. In particolare, secondo l’Autore la richiesta di trasferimento, oltre a dover rispettare il requisito dell’urgenza “adeguatamente motivato e provato dal debitore”, dovrà altresì prevedere “un’anticipata e congrua disclosure del redigendo piano. La competizione anticipata così costringerà il debitore a disvelare da subito i propri numeri, mediante la creazione della data room necessaria per la procedura competitiva”. Cfr. anche Vitiello, op. loc. ultt. citt.,il quale sostiene che “dell’espressa previsione dell’eventualità della vendita con effetti purgativi anche in un momento che preceda la presentazione del piano pare potersi dedurre una ricaduta sistematica tale da imporre di considerare la fase c.d. pre-concordataria quale parte integrante della procedura di concordato vera e propria, dovendosi, così, ritenere superato il contrasto tra i sostenitori della tesi secondo cui il concordato ha inizio soltanto con il decreto di ammissione e i sostenitori della tesi che individua nella pubblicazione nel registro delle imprese il momento dell’apertura della procedura concorsuale”.

[54] Cfr. Lamanna, op. ult. cit. p. 20.

[55] Cfr. Savioli, op. cit., p. 9: “il commissario non è un organo di gestione ma solo di supervisione e controllo, per cui non può liquidare l’entità di una spesa di gestione, salvo che si tratti di atto meramente ricognitivo di verifica di spese effettivamente sostenute ed inerenti all’oggetto e, ancor meno, può disporre il pagamento, non avendo alcun potere di firma o di impegnare la società”.

[56] Analogamente, Savioli, op. cit., p. 8, il quale aggiunge che “l’alternativa a fronte del rifiuto o dell’inerzia è quella di ritenere il concordato preventivo inammissibile e non omologabile, con conseguente ritorno in bonis dell’imprenditore in caso di mancanza di istanze di fallimento: conclusione che appare, a tacer d’altro, in netta controtendenza con lo spirito della riforma fallimentare del 2015”.

[57] Cfr. Greggio, op. cit., p. 10: “potrebbe esser d’aiuto la predisposizione, nei vari tribunali, ex ante, di inviti a offrire a disciplinari standard, che eventualmente verranno adattati – velocemente- alle varie procedure competitive, con l’ausilio del commissario o pre commissario”. Sul punto, si vedano anche Fabiani, op. ult. cit., passim, e Bozza, op. cit., passim, il quale propone di escludere la competitività allorché possa derivare un ritardo pregiudizievole per i creditori.


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