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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/03/2016 Scarica PDF

La mediazione obbligatoria nel procedimento di ingiunzione - Nota alla sentenza 3 febbraio 2016, n. 199, del Tribunale di Busto Arsizio

Giuseppe D'Elia, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università degli Studi dell'Insubria. Avvocato cassazionista nel Foro di Milano


Sommario: 1. La revoca, per un vizio della procedura di mediazione, del decreto ingiuntivo opposto è un nonsense. - 2. Il giudice dell’opposizione non può creare una nuova ipotesi di revoca del decreto ingiuntivo opposto. - 3. La mediazione, diversamente dalla conciliazione, non è una soluzione “secondo diritto”. - 4. Il punto di equilibrio, alla luce dell’art. 24 Cost., è proprio l’art. 5, comma 2-bis, d.lgs. n. 28/2010.


     

1. La revoca, per un vizio della procedura di mediazione, del decreto ingiuntivo opposto è un nonsense

Con sentenza del 3 febbraio 2016, n. 199, il Tribunale di Busto Arsizio ha revocato, in sede di opposizione, un decreto ingiuntivo, a causa della «mancata adesione, da parte della banca creditrice, alla procedura di mediazione obbligatoria prevista dal d.lgs. n. 28/2010». Anche se, in realtà, sembrerebbe che la banca opposta avesse bensì aderito, salvo poi, al primo incontro, come spesso accade, dichiarare di non volere proseguire nella mediazione[1].

Secondo il giudice bustocco, la procedura di mediazione non deve essere percepita come un mero adempimento burocratico, ma come un’occasione per cercare una soluzione della lite «in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il giudice». Inoltre, la procedura deve essere svolta con la necessaria partecipazione personale delle parti e deve sostanziarsi in un effettivo tentativo di mediazione.

La revoca del decreto ingiuntivo opposto è, bensì, affermata in omaggio alla ratio del d.lgs. n. 28/2010, asseritamente elusa dal comportamento della banca opposta; ma, non s’avvede, il giudice bustocco, che, così facendo, egli stesso assume una decisione irragionevole: una procedura deflativa, i cui asseriti vizi si ripercuotano retroattivamente sugli atti già validamente ed efficacemente conclusi è un nonsense, che va oltre la mera negazione del principio utile per inutile non vitiatur. La funzione deflativa della mediazione, infatti, «va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale»[2].

Ma la decisione del giudice bustocco lascia perplessi anche per altri motivi.

Non ultima, ovviamente, la pretesa di contrastare il recente arresto della Suprema Corte, secondo cui l’onere della mediazione obbligatoria grava sull’opponente, tra l’altro, perché «è ... l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.»[3].

La Corte regolatrice ha indicato espressamente la regula iuris da applicare al caso in esame, individuandola nell’art. 653 c.p.c., secondo cui «Se l’opposizione è rigettata con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, oppure è dichiarata con ordinanza l’estinzione del processo, il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva».

Sicché, per discostarsi da quella regola – che possiamo chiamare – di ultrattività del decreto ingiuntivo, rispetto alla sorte negativa del procedimento di opposizione, occorre almeno uno sforzo argomentativo volto a sostenere la sussistenza di precisi indici normativi derogatori. Invece, il giudice bustocco, nell’affermare il proprio diverso convincimento – secondo cui «il mancato perfezionamento della condizione di procedibilità della mediazione comporta l’improcedibilità non già dell’opposizione, bensì della domanda monitoria» –, preferisce muoversi sul solo terreno della interpretazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 28/2010, trascurando di confrontarsi con il dato normativo emergente dal codice di rito.

 

2. Il giudice dell’opposizione non può creare una nuova ipotesi di revoca del decreto ingiuntivo opposto

Ma, la risposta al dubbio sollevato da questa giurisprudenza di merito si rinviene proprio nel codice di rito.

Infatti, secondo le Sezioni Unite[4], «una giurisprudenza costante e la dottrina prevalente sono concordi nell’affermare che solo la sentenza di accoglimento anche parziale dell’opposizione sostituisce comunque il decreto ingiuntivo opposto, secondo quanto dispone l’art. 653, comma 2, c.p.c. La sentenza di rigetto dell’opposizione, invece, non si sostituisce al decreto opposto, perché, in tal caso, il titolo esecutivo è costituito dal decreto ingiuntivo e non dalla sentenza che integralmente lo conferma, come dispone l’art. 653, comma 1, c.p.c.».

Il che vuol dire che il giudice dell’opposizione non può introdurre una nuova ipotesi di revoca/sostituzione del decreto ingiuntivo opposto, diversa dalla sentenza di accoglimento, anche parziale, dell’opposizione.

   

3. La mediazione, diversamente dalla conciliazione, non è una soluzione “secondo diritto”

Ma l’errore più macroscopico in cui cade questa corrente di pensiero, di cui è latore il giudice bustocco, è quello di considerare alla stessa stregua fenomeni affatto diversi, solo perché accomunati dalla circostanza di volgere alla risoluzione alternativa della lite.

E non passa inosservata nemmeno l’opinione secondo cui la mediazione offrirebbe una soluzione della lite «in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il giudice con la sentenza». La mediazione non è una soluzione “secondo diritto”; e, come tale, esplora sentieri e raggiunge obiettivi non percorribile dal giudice, nemmeno quando questi suggerisce una conciliazione allo stato degli atti. Ma un tanto è ammettere che una mediazione purchessia[5] possa servire allo scopo di deflazionare il carico giudiziario, ben altro è svilire il proprio ruolo, inneggiando al non-diritto come soluzione non solo più rapida ma addirittura più soddisfacente di quella secondo diritto.

Osservava, ante litteram, il Carnelutti come «la nota differenziale, delicata e preziosa» tra conciliazione e mediazione stia in ciò, che mentre «la mediazione mira a una composizione contrattuale purchessia senza preoccuparsi della sua giustizia; la conciliazione tende invece alla composizione giusta»[6].

L’intuizione è risolutiva, perché il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale non tollera strumenti alternativi che siano al tempo stesso obbligatori e non giuridici, in quanto il diritto di domandare giustizia significa diritto di ottenere una risposta secondo giustizia.

Il giudice bustocco, invece, sul punto, afferma che l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, secondo cui grava sull’opponente l’onere di avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo, sarebbe «di dubbia compatibilità con il principio costituzionale sancito dall’art. 24 Cost., in quanto appare ricollegare l’onere di intraprendere la mediazione alla scelta della parte di instaurare un giudizio di opposizione avverso un provvedimento reso in assenza di contraddittorio e sulla base di un’istruzione sommaria, quasi come se la mediazione fosse una sorte di sanzione nei confronti di chi agisce in giudizio».

Ma la conseguenza che il giudice trae da questa premessa è aberrante: la revoca del decreto ingiuntivo opposto, infatti, comporta una lesione di quello stesso diritto costituzionale che il giudice afferma di voler tutelare, solo che a farne le spese, ora, è il creditore opposto.

Insomma, il punto di equilibrio non può certo essere quello di spostare il peso della violazione dei diritti costituzionali dall’una all’altra parte.

   

4. Il punto di equilibrio, alla luce dell’art. 24 Cost., è proprio l’art. 5, comma 2-bis, d.lgs. n. 28/2010

In realtà, il compromesso raggiunto dall’art. 5, comma 2-bis, n. 28/2010[7] – secondo cui «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo» –, tanto inviso a questa giurisprudenza di merito, è proprio il punto di equilibrio costituzionale, di bilanciamento dei diritti alla tutela giurisdizionale delle parti litiganti; punto che – ecco il paradosso – il giudice bustocco vorrebbe rimuovere proprio in omaggio al principio costituzionale della tutela giurisdizionale dei diritti.

Insomma, finché ad essere obbligatorio è solo l’avvio del procedimento di mediazione, allora la sanzione di improcedibilità può (forse) dirsi che non rechi vulnus all’art. 24 Cost. Quando, invece, come vorrebbe l’orientamento di merito qui criticato, si pretenda che l’onere gravante sulle parti si accresca fino al punto di imporre loro di mediare, pena la revoca del decreto ingiuntivo opposto, allora non solo si spoglia il creditore opposto dei suoi diritti costituzionali, ma altresì si avrà denegata giustizia.

D’altro canto, e per concludere, anche la Corte costituzionale non mancò di osservare che «quanto alla finalità ispiratrice del detto istituto, consistente nell’esigenza di individuare misure alternative per la definizione delle controversie civili e commerciali, anche al fine di ridurre il contenzioso gravante sui giudici professionali, va rilevato che il carattere obbligatorio della mediazione non è intrinseco alla sua ratio, come agevolmente si desume dalla previsione di altri moduli procedimentali (facoltativi o disposti su invito del giudice), del pari ritenuti idonei a perseguire effetti deflattivi e quindi volti a semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia»[8].



[1] P. F. Cuzzola, Mediazione: le condotte elusive vanno sanzionate. Sent. 199/2016 Trib. Busto Arsizio, in www.personaedanno.it, 21 febbraio 2016.

[2] Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629.

[3] Cit. Cass. n. 24629/2015.

[4] Cass. civ., SS.UU., 22 febbraio 2010, n. 4071.

[5] Volendo, sul punto, G. D’Elia, Profili di illegittimità costituzionale di una mediazione civile obbligatoria “purchessia”, in Federalismi.it, 30 novembre 2011, in cui anticipavo la successiva dichiarazione di incostituzionalità: Corte cost., sent. 6 dicembre 2012, n. 272.

[6] F. Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, I, Cedam, Padova, 1936, 174.

[7] Comma introdotto dall’art. 84, comma 1, lett. c-bis, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv. mod. legge 9 agosto 2013, n. 98.

[8] Corte cost., sent. 6 dicembre 2012, n. 272.


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