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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/11/2016 Scarica PDF

Transazione fiscale ed esdebitazione tributaria nelle procedure concorsuali alla luce del diritto dell'Unione Europea

Paola Vella, Giudice nella Corte di Cassazione


SOMMARIO 1. Premessa – 2. Dalla transazione esattoriale alla transazione fiscale – 3. Aspetti procedurali – 4. Il formante giurisprudenziale interno – 5. La pronuncia della Corte di giustizia – 6. L’armonizzazione con i principi UE in materia concorsuale 7. La falcidiabilità dell’Iva nel concordato preventivo senza transazione fiscale – 8. Consolidamento dei debiti fiscali ed estinzione delle liti tributarie – 9. Il variegato trattamento dell’Iva nelle procedure concorsuali – 10. Profili penali – 11. Conclusioni.

 

 

 

1. Premessa

La data del 7 aprile 2016 – in cui la Corte di giustizia UE si è pronunciata, su rinvio pregiudiziale di un giudice di merito, circa la compatibilità con il diritto dell’Unione europea di un pagamento parziale dell’Iva nella procedura di concordato preventivo (in causa C-546/14, Degano Trasporti s.a.s. di Ferruccio Degano & C. in liquidazione) – è probabilmente destinata a lasciare un segno nel panorama del sistema concorsual-tributario italiano, poiché con quella pronuncia i giudici di Lussemburgo hanno in ultima analisi impartito una “lezione di semplicità”.

“Semplicità” (con la S maiuscola) nella declinazione datane agli inizi del secolo scorso dallo scultore rumeno Constantin Brancusi, il quale era solito affermare che «la semplicità non è altro che una complessità risolta»(felice intuizione, questa, esportabile dalla sfera artistica in cui è nata ad ogni forma di “architettura” umana, compresa quella giuridica).

“Lezione”, perché secoli di sofisticata elaborazione delle Scienze giuridiche non riescono a liberare nel nostro ordinamento un analogo approccio pragmatico e lineare, sicché, nonostante la debacle operativa del sistema-giustizia, il dibattito giuridico rischia spesso di scivolare in una sorta di “barocchismo” intellettuale[2], complice una legislazione esorbitante e disorganica.

In effetti, la tematica sottesa interseca due discipline – quella concorsuale e quella tributaria – che, oltre alla specialità, hanno a fattor comune tanto il peso di una iperproduzione legislativa ipertrofica ed omeomorfica[3], quanto la conseguente aspirazione ad una codificazione organica, purtroppo non ancora eliminato il primo (nonostante la disposizione programmatica contenuta nell’art. 2 dello Statuto dei diritti del contribuente) e non ancora portata a compimento la seconda (nonostante la pendenza presso la Camera dei deputati del disegno di legge del Governo C. 3671-bis, recante «Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza»)[4].

Ne è esemplare testimonianza il dibattito sulla transazione fiscale, complicatosi a tal punto che, ormai a dieci anni dalla sua introduzione nella legge fallimentare – con l’art. 182-ter l.f. – l’istituto sembrava irrimediabilmente ingessato in una superfetazione teorica inversamente proporzionale alla sua attuazione pratica, essendo per lo più gli operatori preoccupati di evitarne l’applicazione, attraverso l’adozione di proposte concordatarie “orfane” di transazione fiscale (vista più che altro come una “zavorra” capace di mettere a rischio il buon esito del concordato).

Sul punto, però, all’iniziale orientamento della giurisprudenza di merito – in prevalenza favorevole al trattamento concordatario “puro” dei debiti tributari – si sono nel tempo contrapposte letture nomofilattiche più rigorose, peraltro avallate dal Giudice delle Leggi, sulla scorta di un dato normativo che è parso insuperabile, anche alla luce della esplicita volontà del legislatore[5], confermata da successivi interventi in settori analoghi[6].

Ad aprire uno spiraglio sono stati dunque i Giudici sovranazionali che – con quell’invidiabile lucidità di approccio ai problemi pratici (perché la giustizia, come servizio, è soprattutto pratica del diritto) – hanno squarciato il velo dei supposti ostacoli ad interpretazioni più favorevoli al debitore concordatario che, paradossalmente, sembravano provenire proprio dal diritto dell’Unione, valorizzando al contrario l’architettura concordataria interna, specie facendo leva sul criterio della “miglior soddisfazione possibile”, secondo le “alternative concretamente praticabili”, contenuto nell’art. 160 l.f.; norma che effettivamente rappresenta una felice confluenza tra i due “fiumi” del diritto e dell’economia, in cui può trovarsi la soluzione al nodo della transazione fiscale.

Quella stessa pronuncia pare destinata ad anticipare, se non altro nelle premesse, la risposta alle analoghe – ma speculari – questioni di compatibilità con il sistema armonizzato dell’imposta sulla cifra di affari sollevate dal giudice di legittimità (Cassazione, sezione Tributaria, ordinanza 1 luglio 2015, n. 13542) con riguardo alla possibilità di estinzione dei debiti Iva del fallito ammesso alla procedura di esdebitazione (art. 142 e ss. l.f.)

A testimonianza dell’utilità di questa virtuosa integrazione cultural-giudiziale europea, una prima risposta – altrettanto lucida e lineare, per quanto non del tutto “allineata” – dei giudici nazionali non si è fatta attendere: con sentenza n. 18561 del 13 luglio - 22 settembre 2016, la Prima sezione civile della Cassazione ha iniziato a ricucire lo “strappo”, mettendo però subito a nudo il principale ostacolo ad una lettura del concordato preventivo con transazione fiscale conforme a quella prospettata dai giudici di Lussemburgo, rappresentato – de jure condito – dalla vigente formulazione dell’art. 182-ter l.f.

A prescindere da quello che sarà lo sviluppo dei futuri scenari sul tema in questione, diventa sempre più nitida l’importanza di una virtuosa integrazione tra le Corti nazionali ed europee, in modo da consentire quella preziosa osmosi delle rispettive culture giuridiche.

 

2. Dalla transazione esattoriale alla transazione fiscale

Il vigente istituto della transazione fiscale, disciplinato dall’art. 182-ter l.f., mira a consentire anche nei rapporti tra fisco e contribuente – nei limiti fissati a tutela dell’interesse pubblico nazionale e sovranazionale – il raggiungimento di accordi negoziali, di tipo remissorio o dilatorio, in seno alla regolazione concordata della crisi d’impresa (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti).

Suo immediato precursore è stata la transazione esattoriale prevista dall’art. 3, comma 3, d.l. 8.7.2002, n. 138, conv. dalla l. 8.8.2002, n. 178, che consentiva all’Agenzia delle entrate di procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo (di spettanza esclusiva dello Stato) ove, dopo l’inizio dell’esecuzione esattoriale, fosse emersa l’insolvenza del contribuente o il suo assoggettamento a procedure concorsuali, e purché ne fosse accertata la maggiore economicità e convenienza rispetto alla riscossione coattiva.

 La scarsa fortuna di questo strumento (utilizzato di fatto una tantum, per evitare il fallimento della S.S. Lazio) è stata ricondotta al timore di revocatoria della transazione in ipotesi di successivo fallimento (pur in presenza della esenzione da revocatoria del pagamento delle imposte scadute, prevista dall’art. 89, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602).

 Di qui la decisione del legislatore (con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in attuazione della delega contenuta nella l. 14 maggio 2005, n. 80) di abrogare la cd. transazione sui ruoli [7] ed inserire la nuova transazione fiscale – non più relegata alla fase esecutiva esattoriale e non più circoscritta ai tributi iscritti a ruolo – all’interno della legge fallimentare (con l’art. 182-ter l.f.), verosimilmente nella convinzione che, ad onta della connotazione negoziale assunta dal concordato preventivo riformato, ciò fosse meno distonico con il principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria, apparendo preferibile una soddisfazione concordataria non integrale, se comunque più vantaggiosa rispetto a quella conseguibile dalla liquidazione fallimentare.[8]

Successivamente, una serie di interventi legislativi ha progressivamente modificato la fisionomia dell’istituto.

In primo luogo, il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (cd. decreto correttivo) ha esteso la transazione fiscale all’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f., ed ha (come visto) generalizzato – sia pure alle diverse condizioni dettate dal secondo comma dell’art. 160 l.f.[9] – la facoltà di pagamento non integrale dei crediti muniti di prelazione, originariamente riservata dall’art. 182 ter l.f. ai «tributi amministrati dalle agenzie fiscali e relativi accessori» (ossia Ires, Irpef, Irap, imposte di registro, successione e donazione, catastale, ipotecaria e di bollo, oltre relativi interessi e sanzioni, esclusi i tributi locali non amministrati dalle agenzie fiscali, quali Ici, ex Tarsu-Tia, Tosap, contributi camerali o consortili), con la già annotata precisazione che «la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali», e ferma restando l’originaria esclusione«dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea» (ai quali la Circolare n. 40/E del 2008 ha aggiunto i crediti relativi a recuperi di aiuti di Stato).

Quindi l’art. 32, comma 5, d.l. 29.11.2008, n. 185 (cd. decreto anticrisi), conv. in l. 28.1.2009, n. 2, oltre ad estendere la transazione fiscale ai «contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo» ed a prescrivere che, nel concordato con classi, il trattamento dei crediti tributari chirografari debba essere pari a quello più favorevole, ha espressamente escluso la possibilità di un pagamento parziale dell’Iva (non anche dei relativi interessi e sanzioni: v. Circ. n. 40/E del 2008), consentendone solo la «dilazione del pagamento»[10], ed ha infine demandato alla decretazione secondaria la definizione delle relative modalità applicative.

E’ stato così emanato il d.m. 4.8.2009, il quale ha prescritto, tra l’altro: il pagamento integrale dei contributi Inps e dei premi Inail, in misura non inferiore al 40% dei relativi accessori privilegiati e non inferiore al 30% dei crediti chirografari; una dilazione massima di 60 rate mensili; l’esclusione dalla transazione fiscale per i crediti oggetto di cartolarizzazione ex art. 13, l. n. 448/98 e di quelli da recupero degli aiuti di Stato ritenuti illegittimi dagli organi comunitari.

Il suddetto decreto – ritenuto da alcuni tribunali disapplicabile, perché in contrasto con il contenuto di norme primarie, quali gli artt. 160, 182 ter, 184 e 186 l.f.[11] – ha anche esplicitato i criteri in base ai quali deve formarsi il consenso dell’amministrazione, segnatamente: «a) idoneità dell'attivo ad assicurare il soddisfacimento dei crediti anche mediante prestazione di eventuali garanzie; b) riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi e rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sulla esistenza ed azionabilità dello stesso; c) correntezza nel pagamento dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo; d) versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ai fini dell'accesso alla dilazione dei crediti; e) essenzialità dell'accordo ai fini della continuità dell'attività dell'impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto dell'importanza che la stessa riveste nel contesto economico-sociale dell'area in cui opera».

Innovazioni a largo raggio sono state poi veicolate dall’art. 29, d.l. 31.5.2010, n. 78, conv. dalla l. 30.7.2010, n. 122, il quale ha: i) equiparato all’Iva le «ritenute operate e non versate» (poiché, come si legge nella Relazione illustrativa, «anche le ritenute operate dal sostituto d’imposta a titolo di acconto sono poi utilizzate in detrazione dal sostituto, in diminuzione del proprio debito tributario» ed anch’esse «sono somme di terzi, che il sostituto trattiene allo scopo di riversarle allo Stato»); ii) previsto la revoca di diritto della transazione fiscale conclusa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione «se il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti»; iii) sostituito, per tributi diretti ed Iva (anche nelle citazioni normative) il ruolo con l’avviso di accertamento esecutivo (cd. atto impoesattivo); iv) limitato all’ipotesi dolosa la responsabilità erariale di cui all'art. 1, comma 1, L. 20/94, che può investire i funzionari chiamati a valutare la transazione fiscale.

Infine, l’art. 23, comma 43, d.l. 6.7.2011, n. 98, conv. dalla l. 15.7.2011, n. 111, ha consentito anche agli imprenditori agricoli in stato di crisi o insolvenza l’accesso alle «procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter».

Lo stesso d.l. n. 98/11 cit., art. 23, comma 37, ha escluso i limiti temporali del privilegio generale mobiliare delle imposte dirette ex art. 2752 co. 1 c.c. (prima spettante solo ai tributi iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in corso e in quello precedente) e lo ha riconosciuto anche alle relative sanzioni, affiancandolo con il privilegio sussidiario immobiliare ex art. 2776 c.c., con sostanziale equiparazione all’Iva, così producendo l’abbattimento della quota tributaria chirografaria e l’aumento del peso ponderale del privilegio di grado 18°, che nella graduazione dell’art. 2778 c.c. precede l’Iva (19°) ed i tributi locali (20°).

 Da ultimo, il d.l. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla l. 17.12.2012, n. 221), nel modificare l’art. 7, l. 27.1.2012, n. 3, ha prescritto che nelle procedure di composizione della crisi dasovraindebitamento– ove non esiste la transazione fiscale – «in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’IVA ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».

 

3. Aspetti procedurali

All’esito di questo breve excursus diacronico può concludersi che, nonostante l’esplicita qualificazione di “procedura” autonoma – in quanto tale percorribile anche dagli imprenditori agricoli, de iure condito non ammessi né al concordato preventivo né al fallimento – la transazione fiscale ha continuato ad essere ritenuta piuttosto un “sub-procedimento”[12] di natura endoconcorsuale, diretto a consentire, mediante l’espressione del voto, l’adesione o il diniego dell’Ufficio (o, su sua indicazione, del concessionario della riscossione, previo parere della competente direzione regionale) alla proposta di concordato.

In dottrina si sottolinea la necessità di una compiuta motivazione del diniego, ai sensi degli artt. 3, l. n. 241/90 e 7, l. n. 212/00 (con particolare riguardo all’eventuale contestazione delle attestazioni ex artt. 161, co. 3 e 160, co. 2, l.f.). Con riguardo invece alla impugnabilità dell’atto amministrativo prodromico alla manifestazione di volontà dell’amministrazione (ovvero del mero silenzio, ex art. 2, l. n. 241/90), si fronteggiano l’orientamento tradizionale, favorevole alla investitura della giurisdizione amministrativa[13], e quello più recente che – facendo leva sulla cognizione esclusiva delle Commissioni tributarie ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 546/92 (come novellato dall’art. 12, co. 2, l. 28.12.2001, n. 448) e sul riferimento dell’art. 19, co. 1, lett. h), del d.lgs. n. 546/92 alla impugnazione del rigetto di domande di definizione agevolata del rapporto tributario – opta invece per la giurisdizione tributaria[14].

Su un diverso piano si colloca poi la giurisdizione ordinaria (concorsuale) propria del giudizio di omologazione del concordato preventivo, di possibile rilevanza - ai fini che ne occupano - in caso di opposizione dell’amministrazione finanziaria dissenziente, soggetta a valutazione secondo i criteri del cd. cram down di cui all’art. 180, co. 4, l.f.

Resta altresì ferma l’ulteriore questione[15] – rimessa alle Sezioni Unite dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 3472 del 23.2.2016 – circa la proponibilità del ricorso straordinario ex art. 111, co. 7, Cost., contro i provvedimenti “negativi” di inammissibilità o improcedibilità della domanda di concordato preventivo, ex artt. 162 e 179 l.f., ove non accompagnati da declaratoria di fallimento, nel cui ambito potrebbero in tesi collocarsi le eventuali contestazioni del contribuente sul diniego dell’amministrazione finanziaria alla transazione fiscale.

Sotto il profilo procedurale, si prevede che «ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale» il debitore presenti copia della domanda di concordato e della relativa documentazione al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore – unitamente a copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non sia ancora pervenuto l’esito dei controlli automatici, nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda – «al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale».

Questo importante effetto del «consolidamento» si realizza sulla base della seguente procedura: «non oltre trenta giorni dalla data della presentazione», il concessionario deve trasmettere al debitore una «certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso», mentre l’ufficio «deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario».

Il tutto anche in vista della «cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi» soggetti a transazione; effetto però destinato a realizzarsi solo al momento della «chiusura della procedura di concordato», a seguito dell’omologazione (art. 181 l.f.).

Con la precisazione, desunta dal testo normativo, che le imposte assoggettabili a transazione possono derivare da dichiarazioni fiscali non ancora liquidate, dalle dichiarazioni integrative ex art. 2 e ss., d.p.r. 22.7.1998, n. 322, dalla liquidazione ex art. 36-bis edal controllo formale ex art. 36-ter, d.p.r. 29.9.1973, n. 600, da atti di accertamento, da avvisi di liquidazione, da atti di recupero, di contestazione o di irrogazione di sanzioni, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo; da crediti tributari iscritti a ruolo dagli uffici dell’Agenzia; da crediti sub judice[16]. Secondo taluno resterebbero invece escluse le liti in tema di rimborso, che potrebbero proseguire ai sensi dell’art. 176 l.f.[17] 

 

4. Il formante giurisprudenziale interno

In un simile coacervo normativo, era inevitabile il proliferare di orientamenti contrastanti sulla transazione fiscale, in estrema sintesi così compendiabili: a) obbligatorietà sostanziale ai fini della falcidia dei crediti tributari e contributivi, a pena di inammissibilità del concordato[18]; b) obbligatorietà procedimentale, salva l’applicazione della regola maggioritaria di cui all’art. 177 l.f. per l’approvazione[19]; c) facoltatività della transazione fiscale, in sua mancanza restando possibile la falcidia dei crediti tributari e previdenziali, nel solo rispetto dei criteri fissati dall’art. 160 l.f.[20]

Dal canto suo la Cassazione, affrontando incidentalmente la questione, aveva in un primo momento negato l’esistenza in sede concordataria di uno “statuto speciale” del Fisco, ritenuto un «soggetto parificato ad ogni altro creditore», destinato a sottostare alla volontà della maggioranza, nonostante il proprio diniego alla proposta di transazione fiscale[21].

Un simile approccio “egualitario” è stato attenuato nelle successive e note pronunce “gemelle” nn. 22931 e 22932 del 2011, con le quali i giudici di legittimità, pur ritenendo ammissibile la falcidia concordataria dei crediti tributari in assenza di transazione fiscale (alla quale il debitore sarebbe tenuto a ricorrere solo per conseguire gli effetti del consolidamento del debito fiscale e della cessazione della materia del contendere nelle liti tributarie pendenti), e sufficiente il consenso delle maggioranze ex art. 177 l.f. ai fini dell’omologazione[22]– con effetti vincolanti, in forza dell’art. 184 l.f., anche per i crediti tributari “anteriori[23] – ha tuttavia sostenuto la natura sostanziale, eccezionale ed inderogabile del divieto di falcidia dell’Iva contenuto nel primo comma dell’art. 182 ter l.f., da ritenersi cogente anche in assenza di transazione fiscale, pur precisando che ciò non produce alcun effetto di “trascinamento verso l’alto” dei crediti di grado inferiore, poiché il divieto di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione (art. 160, co. 2, l.f.) sarebbe vincolante per il proponente, ma non per il legislatore.

In altri termini, la Cassazione ha predicato della medesima norma – l’art. 182 ter l.f. –la facoltatività procedimentale e l’obbligatorietà sostanziale.

Tra gli argomenti spesi a sostegno della ritenuta infalcidiabilità dell’Iva nel concordato senza transazione fiscale (tema scottante perché decisivo per la stessa praticabilità della soluzione concordataria), la Corte ha valorizzato la natura di «imposta armonizzata a livello comunitario sulla cui gestione .. gli Stati non sono esenti da vincoli».

Tale argomentazione è stata ripresa da Cass. 16.5.2012, n. 7667, per cui «sussiste l’intangibilità del predetto debito d’imposta, in quanto le entrate derivanti dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili relativi a detto tributo - secondo la direttiva n. 2006/112/Ce del Consiglio del 28 novembre 2006, la decisione n. 2007/436/CE adottata dal Consiglio in data giugno 2007, e la sentenza della Corte di Giustizia 29 marzo 2012, in causa C-500/10, Belvedere Costruzioni srl - costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione europea, e quindi, il relativo credito, attenendo comunque a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell’art. 182 ter nella versione introdotta dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5».

L’orientamento su natura sostanziale e carattere eccezionale della norma che attribuisce all’Iva un trattamento peculiare ed inderogabile si è poi consolidato in seno alla Corte[24].

Anche in sede penale la Cassazione ha sostenuto che quella sull’intangibilità dell’Iva sarebbe una norma «inderogabile e di ordine pubblico economico internazionale», sicché un «atto di autonomia privata, di iniziativa del debitore» (quale viene ellitticamente ritenuto il concordato preventivo) «non può portare ad elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, quali l’obbligo del versamento dell’IVA, la cui omissione è sanzionata penalmente»[25].

L’indirizzo nomofilattico non è parso però convincente a gran parte della dottrina[26] e della giurisprudenza di merito[27].

Il Tribunale di Verona, in particolare, con ordinanza del 10.4.2013 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 160 e 182 ter l.f., per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché, così interpretati, non consentirebbero all’Amministrazione di valutare, in concreto, la convenienza di una proposta di concordato senza transazione fiscale, ed eventualmente di accettare un pagamento inferiore a quanto preteso, ma superiore a quanto ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore.

La questione, sia pure impropriamente inquadrata dalla Corte Costituzionale nella diversa fattispecie del concordato con transazione fiscale[28] – è stata comunque dichiarata infondata (C. Cost. n. 225/14) sul rilievo che «è la natura dell’IVA, quale “risorsa propria” dell’Unione Europea, a spiegare i vincoli per gli Stati membri nella gestione e riscossione dell’imposta, come pure l’inderogabilità della disciplina interna del tributo e, nella specie, la formulazione dell’art. 182 ter della legge fallimentare che, in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione, ha escluso la falcidiabilità del credito IVA in sede di transazione fiscale, consentendone solo la dilazione di pagamento». La Consulta ha altresì sottolineato la specificità del trattamento del credito Iva, «per il quale esiste una disciplina eccezionale, attributiva di un trattamento peculiare e inderogabile, che consentendo esclusivamente la transazione dilatoria, è tesa ad assicurare il pagamento integrale di un’imposta assistita da un privilegio di grado postergato (qual è appunto l’Iva), in deroga al principio dell’ordine legale delle cause di prelazione», aggiungendo – forse con eccessivo “ottimismo” – che la decisione si giustifica, «sul piano prognostico, proprio per il persistere, in capo all’amministrazione finanziaria, della possibilità di riscuotere il tributo in futuro, con la contestuale approvazione di un piano di concordato idoneo a consentire il graduale superamento dello stato di crisi dell’impresa».

Che anche la lettura del Giudice delle leggi sia risultata inappagante è testimoniato dalla rimessione alle Sezioni Unite[29] della questione «se la previsione dell’infalcidiabilità del credito IVA di cui all’art. 182 ter l.f. trovi applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale, fattispecie alla quale la norma fa espresso riferimento, ovvero anche nell’ipotesi di concordato preventivo proposto senza fare ricorso all’istituto disciplinato dall’art. 182 ter l.f.».

Nel frattempo, con ordinanza 30.10.2014 il Tribunale di Udine ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale «se i principi e le norme contenuti nell’art. 4, paragrafo 3°, del TUE e nella direttiva 2006/112/CE del Consiglio, così come interpretati nelle sentenze della Corte di Giustizia 17.7.2008, in causa C-132/06, 11.12.2008, in causa C-174/07 e 29.3.2012 in causa C-500/10, debbano essere altresì interpretati nel senso di rendere incompatibile una norma interna (e, quindi, per quanto riguarda il caso qui in decisione, un’interpretazione degli artt. 162 e 182 ter legge fall.) tale per cui sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’Iva, quando non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito - sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale - un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare».

Come anticipato, anche la Sezione sesta-tributaria della Cassazione – nutrendo analoghe perplessità in ordine all’istituto dell’esdebitazione del fallito – con ordinanza 1.7.2015 ha investito pregiudizialmente la Corte di Giustizia del quesito se l’estinzione del debito Iva del soggetto fallito ammesso alla procedura di esdebitazione (art. 142 ss. l.f.) sia compatibile con il diritto dell’Unione, ed in particolare se l’inderogabilità dell’Iva possa cedere di fronte alla incapienza (attuale) del patrimonio del fallito ed alla sua meritevolezza.

Pare potersi dire che la risposta già pervenuta dai giudici di Lussemburgo sulla prima questione (trattamento dell’Iva nel concordato preventivo), non possa non influenzare – sia pure nella diversità dei presupposti – la decisione sulla seconda (trattamento dell’Iva nella esdebitazione del fallito), ancora in itinere. In ogni caso, essa costituirà un tassello importante delle future decisioni delle Sezioni Unite.

 

5. La pronuncia della Corte di giustizia

Con sentenza del 7 aprile 2016, causa C-546/14, Degano Trasporti S.a.s. di Ferruccio Degano & C. in liquidazione, la Corte di giustizia dell’Unione Europea, aderendo alle pregnanti conclusioni rassegnate il 14 gennaio 2016 dall’Avvocato generale Eleanor Sharpston, ha sciolto il “nodo gordiano” sulla falcidiabilità dell’Iva nel concordato preventivo – a prescindere dalla transazione fiscale – con una linearità disarmante[30], e culturalmente invidiabile.

Invero, pronunciandosi sulla questione pregiudiziale posta dal Tribunale di Udine ai sensi dell'art. 267 T.F.U.E., i giudici di Lussemburgo hanno:

A) premesso che, in base agli artt. 2, 250 § 1, e 273 della direttiva IVA, e 4 § 3, del TUE, «gli Stati membri hanno l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio» (p.to 19) e che, «nell'ambito del sistema comune dell'IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione»(p.to 20), fermi restando gli obblighi di «garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione»e«non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti», in ossequio «al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA, in base al quale operatori economici che effettuino operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell'IVA» (p.to 21);

B) confermato che, ai sensi dell'art. 2, § 1 della decisione 2007/436/CE Euratom del Consiglio, 7 giugno 2007, «le risorse proprie dell'Unione comprendono, in particolare … le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell'Unione» (attualmente lo 0,30%), sussistendo perciò «un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell'IVA nell'osservanza del diritto dell'Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell'Unione delle corrispondenti risorse IVA» (p.to 22);

C) rilevato che la procedura italiana di concordato preventivo «è soggetta a presupposti di applicazione rigorosi, allo scopo di offrire garanzie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei crediti privilegiati e pertanto dei crediti IVA»(p.to 24), in quanto prevede: i) che «l'imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio per saldare i propri debiti»; ii) che in caso di incapienza del patrimonio «il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore», in tal modo potendosi verificare l’impossibilità per lo Stato membro di «recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore» (p.to 25); iii) «offre allo Stato membro interessato la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito IVA qualora, in particolare, non concordi con le conclusioni dell'esperto indipendente» (p.to 26); iv) anche in caso di voto favorevole delle maggioranze, «consente allo Stato membro interessato di contestare ulteriormente»la proposta proponendo opposizione in sede di omologazione, ed al «giudice di esercitare un controllo» (p.to 27);

D) concluso che, «tenuto conto di tali presupposti, l'ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo che, a differenza delle misure di cui trattasi nelle cause che hanno dato origine alle sentenze Commissione/Italia (C-132/06, EU:C:2008:412) e Commissione/Italia (C-174/07, EU:C:2008:704) cui fa riferimento il giudice del rinvio, non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'IVA, non è contraria all'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione» (p.to 28);

E) di conseguenza, dichiarato che «l'articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA attestando, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento».

In sostanza, i giudici nazionali avrebbero sopravvalutato il diritto dell’Unione e sottovalutato quello interno, in ciò indubbiamente fuorviati dal legislatore, che, come visto, nella Relazione illustrativa al d.l. 29 novembre 2008, n. 185 – a sua volta verosimilmente influenzata dalla richiamata pronuncia della Corte giust. 17 luglio 2008, in causa C-132/06aveva palesato come l’infalcidiabilità dell’Iva fosse «scaturita dalla necessità di non contravvenire alla normativa comunitaria che vieta allo Stato membro di disporre di una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica» di detta imposta.

Del resto, quel timore era giustificabile, se si considera che dal Rapporto della Commissione UE, divulgato il 6 settembre 2016, è emerso che nel 2014 il divario tra le entrate Iva previste e quelle effettivamente riscosse (VAT gap) ha raggiunto la somma di 159,5 miliardi di euro, di cui 36,9 in Italia (valore in assoluto più elevato).

Questa abnormità del gettito Iva non riscosso ha già indotto la Commissione ad adottare, nell'aprile 2016, il “VAT Action Plan”, in vista di una riforma per un regime Iva dell’Unione europea più efficiente ed idoneo a contrastare le frodi, ridurre gli errori di calcolo e migliorare la riscossione dell'imposta, ma anche più adeguato «alle realtà del mercato interno, all’economia digitale e alle esigenze delle PMI».

E’ stato in ogni caso lo stesso giudice sovranazionale a rassicurare sulla validità del modulo concordatario italiano che – in quanto improntato alla par condicio creditorum, connotato dal costante vaglio giudiziale, costellato da misure dirette ad assicurare la corretta formazione della volontà dei creditori e la giusta valutazione delle ragioni dei dissenzienti, e soprattutto sorretto da apposite cautele per il pagamento non integrale dei crediti muniti di prelazione – consente di affermare che il pagamento parziale di un debito Iva, per quanto rientrante tra le risorse proprie dell’Unione europea, non integra una «rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’Iva» (come invece riscontrata nelle misure condonistiche della Legge n. 289 del 2002), né una violazione del principio di parità di trattamento inerente al sistema comune dell'Iva (cd. «neutralità fiscale»), né tantomeno la contravvenzione all’obbligo di garantire una«riscossione effettiva», apparendo anzi più probabile – stante il basso grado di privilegio dell’Iva (19°) – che quell’obbiettivo sia meglio assicurato con la regolazione concordataria, piuttosto che con una liquidazione fallimentare.

In sostanza, i giudici europei ci hanno ricordato che il rispetto dei principi va verificato non in astratto, ma in concreto, specie quando i temi del diritto si intrecciano con quelli dell’impresa, dell’economia e del mercato (ed infatti la pregressa “transazione esattoriale” era ispirata proprio a criteri di «maggiore economicità e convenienza» dell’azione amministrativa). E’ ovvio, infatti, che se il patrimonio del debitore insolvente è oggettivamente conformato in modo tale da risultare incapiente per l’integrale soddisfazione del credito Iva – secondo il (basso) grado di prelazione riconosciuto dall’ordinamento – nessun obbligo formale potrà far conseguire quel risultato.

Si consideri, poi, che anche nel settore degli “aiuti di Stato” l’eventuale l’insolvenza del debitore e la mancanza di attivi recuperabili vengono considerati una “opzione alternativa” al recupero, purché la società sia liquidata a condizioni di mercato e venga così messa indirettamente fine, mediante la cessazione dell’attività, alla distorsione della concorrenza[31].

 

6. L’armonizzazione con i principi UE in materia concorsuale

A ben vedere, una simile conclusione poteva già desumersi dall’analoga decisione assunta da Corte giust., 29.3.2012, C-500/10, Belvedere Costruzioni s.r.l. (che non ha ravvisato una rinuncia indiscriminata e generalizzata all’accertamento e riscossione dell’Iva, quale risorsa propria dell’Unione, nella previsione di cui all’art. 3, comma 2-bis, d.l. 40/12, dell’estinzione automatica dei procedimenti pendenti in Cassazione da oltre dieci anni, «nei quali l’Amministrazione tributaria fosse risultata soccombente», con conseguente «passaggio in giudicato della decisione di secondo grado ed estinzione del credito rivendicato dall’Amministrazione tributaria», il tutto previo pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia, e la rinuncia ad ogni pretesa di cd. “equa riparazione”).

Infatti, come lì la compatibilità con il diritto dell’Unione discendeva – oltre che dalla natura eccezionale e specifica della normativa nazionale – dal bilanciamento con altri principi di rilievo comunitario, quale la ragionevole durata dei processi, allo stesso modo qui la compatibilità si registra rispetto agli obbiettivi fissati dalla Racc. n. 2014/135/UE del 12.3.2014 (Raccomandazione della Commissione Europea su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza) di «garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell'Unione, l'accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l'insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia in generale», nonchè (con riguardo al tema dell’esdebitazione) di «dare una seconda opportunità in tutta l'Unione agli imprenditori onesti che falliscono» (cd. second chance e fresh start), in linea col Piano d'azione imprenditorialità 2020 [COM(2012) 795 final.] che «invita gli Stati membri a ridurre nei limiti del possibile il tempo di riabilitazione e di estinzione del debito nel caso di un imprenditore onesto che ha fatto bancarotta ... e a offrire servizi di sostegno alle imprese in tema di ristrutturazione precoce, di consulenza per evitare i fallimenti e di sostegno alle P.M.I. per ristrutturarsi e rilanciarsi».

Principi, questi, puntualmente richiamati nelle conclusioni dell’Avvocato Generale, il quale ha perciò ritenuto che la funzionalizzazione dell’Iva non consenta «agli Stati membri di accordare ai crediti IVA un trattamento preferenziale su tutte le altre categorie di crediti» e che in circostanze «eccezionali, puntuali e limitate» la «rinuncia al pagamento integrale sia legittima» (§ 34 ss.), con la sola eccezione del caso in cui le riduzioni siano talmente consistenti da ridondare in una sorta di esenzione di tipo condonistico[32].

Vi sono peraltro ulteriori prescrizioni della Racc. n. 2014/135/UE sulle quali si registra la piena coesione del diritto concorsuale interno, come quelle in forza delle quali:

- «al fine di aumentare le prospettive di ristrutturazione e quindi il numero di imprese sane oggetto di salvataggio, i creditori interessati dovrebbero poter adottare il piano di ristrutturazione, che siano titolari o meno di una garanzia» (p.to 16);

- «il piano di ristrutturazione adottato dai creditori che rappresentano la maggioranza .. che abbia ripercussioni sugli interessi dei creditori dissenzienti .. dovrebbe essere vincolante per tutti i creditori, a condizione che sia stato omologato dal giudice» (p.ti 6, lett. d), e 21);

- occorre che «il piano di ristrutturazione non limiti i diritti dei creditori dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione, se l'impresa del debitore fosse liquidata o venduta in regime di continuità aziendale, a seconda del caso» (p.to 22, lett. c).

Né vanno trascurati gli ulteriori principi in base ai quali: i) il giudice deve poter il potere di «respingere il piano di ristrutturazione che manifestamente non ha nessuna prospettiva di impedire l'insolvenza del debitore né di garantire la redditività dell'impresa» (p.to 23); ii) «gli Stati membri dovrebbero poter prendere misure adeguate per la raccolta e il recupero del gettito fiscale nel rispetto dei principi generali di equità fiscale, e adottare misure efficaci nei casi di frode, evasione o altro illecito» (XIV Considerando).

Inoltre, il favor per le soluzioni concordate della crisi – specie con continuità aziendale – risulta anche dal Reg. (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 2015, il cui art. 1, co. 1, pone lo scopo primario «di evitare l’insolvenza del debitore o la cessazione delle attività di quest’ultimo», laddove sussista «soltanto una probabilità di insolvenza»[33].

Pare insomma che l’esigenza di un’interpretazione del diritto interno in armonia con la normativa dell’Unione conduca a conclusioni opposte a quelle da ultimo sostenute nel nostro ordinamento.

La sentenza Degano assume quindi un valore interpretativo fondamentale: dopo di essa, non dovrebbero esservi più ragionevoli ostacoli ad ammettere un pagamento parziale dell’Iva nel concordato preventivo senza transazione fiscale, purché nel rispetto delle prescrizioni di cui al secondo comma dell’art. 160 l.f., nel senso che: i) la soddisfazione non deve essere inferiore a quella realizzabile dalla liquidazione, al valore di mercato, dei beni sui quali grava la prelazione (privilegio generale mobiliare ex art. 2752 c.c. e sussidiario immobiliare ex art. 2776 c.c.) sulla base della relazione giurata del professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), l.f.; ii) deve essere comunque rispettato l’ordine delle cause di prelazione.

Anzi, portando la sentenza Degano alle sue estreme conseguenze, potrebbe sostenersi altrettanto per le ulteriori risorse proprie dell’Unione europea previste dall’art. 2, § 1, lett. a) e c), e dal § 2 della decisione n. 2007/436/CE/Euratom del Consiglio, 7.6.2007 – dazi doganali (inclusi diritti agricoli), contributi sullo zucchero e cd. quarta risorsa (un’aliquota del RNL degli Stati membri) – muniti di privilegio equiparato, nel 2012, a quello dell’Iva dall’art. 2783 ter c.c. (art. 9, co. 3, d.l. 2.3.2012, n. 16, conv. con modif. dalla l. 26.4.2012, n. 44); se non addirittura per i recuperi degli aiuti di stato ritenuti illegittimi dagli organi comunitari (art. 107 TFUE), stranamente trascurati dalla legge fallimentare (sebbene presi in considerazione dal d.m. 4.8.2009 che, come visto, in materia previdenziale ed assistenziale li esclude dalla transazione fiscale, in uno ai crediti oggetto di cartolarizzazione).

Del resto, non può trascurarsi che, al di fuori del contesto concordatario, si incontrano preclusioni addirittura inferiori, tanto in sede di riscossione tramite ruolo quanto in sede di conciliazione giudiziale. Per i dazi doganali ad esempio (non a caso disciplinati a livello comunitario dal Codice Doganale Comunitario) sono consentite la dilazione (su garanzia) e la rinuncia delle autorità doganali agli interessi maturati, laddove emerga documentalmente che ciò «provocherebbe gravi difficoltà di carattere economico o sociale», idonee a sorreggere anche un esonero dalla prestazione di garanzie[34].

Va però considerato un ulteriore profilo: laddove la Corte di giustizia fa riferimento all’insolvenza ed alla liquidazione potrebbe rimanere aperto il dubbio se lo stesso ragionamento ivi svolto possa valere in caso di concordato preventivo in continuità (nel caso di specie la Degano Trasporti era una società in liquidazione ammessa a concordato preventivo di tipo liquidatorio), che presuppone una prosecuzione dell’attività d’impresa sul mercato, con maggiori rischi di alterazione della concorrenza.

Frattanto, sul versante degli Aiuti di stato, infatti, la Commissione UE continua a mostrare grande rigore, come testimonia la Decisione (UE) 2016/195 della Commissione del 14 agosto 2015, sulle agevolazioni fiscali e contributive alle imprese connesse alle calamità naturali verificatesi in Italia dal 1990 (terremoto in Sicilia orientale del 1990, alluvioni in Italia settentrionale del 1994, sisma in Umbria del 1997, eruzione dell’Etna del 2002, terremoto in Abruzzo del 2009), ritenute tutte incompatibili con il mercato interno ed illegittimamente attuate senza il rispetto degli obblighi di notifica di cui all’art. 108, par. 3, T.F.U.E.

D’altro canto, merita sottolineare come – anche in questi casi – siano state significativamente valorizzate le circostanze eccezionali della “impossibilità assoluta di recupero.”

 

7. Falcidiabilità dell’Iva nel concordato preventivo senza transazione fiscale

Le argomentazioni “ancillari” alla tesi sulla obbligatorietà del pagamento integrale dell’Iva anche nel concordato preventivo senza transazione fiscale – prima fra tutte quella relativa natura sostanziale dell’art. 182 ter l.f.[35] – paiono superabili.

In primo luogo, la condivisa natura eccezionale della norma non dovrebbe consentirne l’applicazione analogica a fattispecie diverse da quelle per le quali è dettata, tanto più che l’infalcidiabilità di Iva e ritenute integra a sua volta, all’interno dell’art. 182 ter l.f., una deroga al principio della transigibilità dei crediti fiscali[36] .

Inoltre, la predicata natura sostanziale sconta la pacifica esclusione della predetta regola nelle procedure di tipo liquidatorio, anche individuali, venendo perciò a coagulare solo le procedure azionate su base volontaria[37] (peraltro con l’eccezione del cd. autofallimento).

Ma in tal modo la tesi finisce per porsi in contrasto con il principio del favor per l’emersione anticipata della crisi e la sua definizione su base concordata, oramai prioritario non solo (come visto) nel diritto dell’Unione, ma anche, ed ormai apertamente, nell’ordinamento interno, come confermano specifiche previsioni del disegno di legge A.C. 3671 – recante Delega al Governo per la Riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, sulla base della Proposta elaborata il 29.12.2015 dalla Commissione Rordorf – e segnatamente il principio generale della loro priorità ex art. 2), lett. g), nonché l’introduzione di apposite “Procedure di allerta e composizione assistita della crisi” di cui all’art. 4).

Contrasterebbe con il favor concordati anche la sostanziale attribuzione all’Erario di una sorta di diritto di “veto”[38], mentre la deroga al trattamento falcidiato previsto in via generale per tutti i creditori muniti di prelazione (art. 160, co. 2, l.f.) integrerebbe un grave vulnus alla par condicio creditorum ed al principio di non alterabilità della graduazione dei crediti, ad esclusivo vantaggio di quelli fiscali[39].

Certamente, a diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi laddove il legislatore, nella sua piena discrezionalità (salvo il rispetto della Carta costituzionale) stabilisse chiare regole di maggiore tutela dei crediti tributari, ad esempio attribuendo al credito Iva un rango prededucibile, o quantomeno un più elevato grado prelatizio, per rendere incisiva l’opposizione dell’amministrazione alla volontà delle maggioranze degli altri creditori, secondo il giudizio comparativo calibrato sulla soddisfazione «non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili» previsto in sede di omologazione dall’art. 180, co. 5, l.f. (cd. cram down).

Il che potrebbe giustificarsi con la funzione pubblica primaria ed indeclinabile espressa dalla potestà tributaria ai sensi degli artt. 23 e 53 Cost., che impedirebbe di ravvisare nell’attività di riscossione il semplice esercizio di un diritto di credito[40], pur restando doveroso un adeguato bilanciamento con tutti gli altri valori costituzionalmente garantiti[41], tra i quali figurano anche l’iniziativa economica privata e la proprietà (artt. 41 e 42 Cost.).

Tuttavia, al di fuori di un inequivocabile intervento normativo, non pare giustificabile, nel concordato preventivo ordinario, un upgrade di simile portata del credito Iva, dalla sua collocazione - fra le più basse - nella scala di graduazione dei privilegi generali mobiliari (19° e penultimo grado ex art. 2778 c.c.), sino ad una sorta di “prededuzione di fatto”.

 

8. Consolidamento dei debiti fiscali ed estinzione delle liti tributarie

De jure condito, resta lo snodo logico della distinzione tra concordato preventivo con o senza transazione fiscale, poiché la sua natura facoltativa ed autonoma – quale «peculiare procedura transattiva tra il contribuente e il fisco, che può autonomamente integrare il piano previsto dall’art. 160 della legge fallimentare» (C. Cost. n. 225/14) – pretende la declinazione di due distinti statuti concordatari per l’ipotesi che il debitore la proponga o meno, nel primo caso individuandosi generalmente la possibile convenienza a farlo (nonostante il pagamento integrale di Iva e ritenute) negli effetti del cd. consolidamento e della cessazione della materia del contendere nelle liti pendenti (quando ad es. l’imposta Iva accertata o pretesa non sia eccessiva, a differenza degli altri tributi).

Non pare invece riesumabile la tesi (da taluno ancora sostenuta) della obbligatorietà della transazione fiscale, rispetto alla quale l’eccezione più convincente risiede nella compressione dei diritti di difesa del debitore, cui resta precluso coltivare le liti pendenti, secondo la regola generale dell’art. 176, comma 1, l.f.; e ciò specie per l’Iva, al cui pagamento integrale dovrebbe soggiacere quand’anche avesse promosso una lite in cui fosse risultato (sia pure non definitivamente) vittorioso.

Salvo ritenere – come invero sembra ammettere la recente Cass. n. 18561/16 – che sia possibile una transazione fiscale “parziale”, previa costituzione di apposita classe composta dai crediti litigiosi per i quali il contribuente intenda coltivare la lite.

Sennonché, sulla portata del “consolidamento fiscale” (che nulla ha a che vedere con la omonima modalità opzionale di calcolo della tassazione dei redditi di un gruppo di imprese, ex art. 117 ss. T.U.I.R.) si confrontano varie tesi: dalla semplice quantificazione diretta a conferire certezza all’ammontare dei debiti concordatari, sostenuta originariamente da Cass. n. 22931/11; attraverso la preclusione dei soli controlli automatici delle dichiarazioni ex artt. 36 e 36 bis, d.p.r. n. 600/73, con salvezza delle ulteriori attività di accertamento[42]; sino alla tesi della “cristallizzazione” totale della debitoria tributaria, di recente ed autorevolmente sostenuta da Cass. n. 18561/16, nel senso che «l’Amministrazione non possa più emettere atti impositivi nei confronti del contribuente in relazione ad obbligazioni tributarie precedenti al deposito della proposta di concordato»[43].

Nondimeno, taluno continua a segnalare le difficoltà operative del consolidamento così come configurato dal legislatore, definendolo una vera e propria “chimera” [44].

In ogni caso, chi contrasta la tesi della “cristallizzazione” assume che in tal modo si conseguirebbe il «vantaggio di un “condono tombale a buon mercato”, con il rischio reale dell’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea contro l’Italia»[45].

Chi invece la sostiene, sottolinea i plurimi vantaggi che (anche) l'Erario ne ricaverebbe, in termini di cessazione delle liti, impossibilità per il contribuente di contestazioni successive e, soprattutto, deroga ai criteri di pagamento parziale dettati dall’art. 160, comma 2, l.f., il tutto tenendo anche conto dell’obbligo di discolosure che grava sul debitore e dei meccanismi di garanzia “a valle” (revoca ex art. 173 l.f.; risoluzione o annullamento ex artt. 186/138 l.f.)[46] oltre che delle responsabilità penali.

Altri, ancora, evidenzia che il consolidamento dei debiti “da accertamento” estenderebbe al grado di legittimità una sorta di “conciliazione giudiziale” sulle liti pendenti analoga a quella prevista in primo grado e, dal 1° gennaio 2016 (ex d.lgs. 24.9.2015, n. 156) anche in grado d’appello; con la precisazione che – fatta salva l’autotutela – la base di calcolo del carico tributario sarebbe comunque intangibile, potendo subire solo la falcidia concordataria, e non anche un “doppio sconto” [47].

Quanto all’ulteriore effetto della “cessazione delle liti pendenti”, la natura impugnatoria del giudizio tributario indurrebbe a ritenere che si tratti di effetto tendenzialmente favorevole all’amministrazione – piuttosto che al contribuente – se non altro laddove la lite abbia ad oggetto l’Iva, che non può essere transatta e quindi deve essere in ogni caso pagata per intero, sicchè la sottrazione al giudizio non può che ridondare in danno del contribuente, che, interessato a far valere l’erroneità o illegittimità della pretesa tributaria, viene sostanzialmente tenuto a prestarvi acquiescenza.

Al riguardo, Cass. n. 18561/16 ha ritenuto che anche la cessazione delle liti sia un effetto favorevole al contribuente, osservando che «ai sicuri benefici per il proponente discendenti dalla determinazione in via definitiva di tutte le pretese fiscali e all’estinzione delle liti pendenti, non può che contrapporsi l’onere per il medesimo di prestare adesione alla quantificazione del debito certificata dall’Amministrazione finanziaria». Il rilievo non va però letto disgiuntamente dalla parallela affermazione per cui al proponente sarebbe comunque consentito escludere dalla transazione fiscale «talune pretese tributarie fondate su atti di accertamento, ovvero anche su riprese a tassazione già iscritte a ruolo, tempestivamente impugnato innanzi al giudice tributario», sia pure «a condizione che i detti crediti tributari espressamente esclusi dal perimetro dell’art. 182 ter l.fall. siano collocati in apposita classe, composta da quei crediti litigiosi in relazione ai quali il contribuente ritenga necessario proseguire la lite anche dopo l’omologa del concordato».

In altri termini, una “transazione fiscale parziale”, sulla cui ammissibilità merita riflettere, tenuto conto che il debitore potrebbe essere indotto ad escluderne prevalentemente i debiti per Iva e ritenute (non transigibili), rinviandone il pagamento all’esito del giudizio tributario, con buona pace dell’esigenza di stabilità e certezza dello strumento concordatario.

Al di là di questo interessante scenario, può concludersi che, mentre sulle pretese future, oggetto di liti potenziali, ad avvantaggiarsi è certamente il contribuente – sempre che il consolidamento venga letto come definitiva cristallizzazione – per le pretese attuali, ivi comprese quelle oggetto di giudizi pendenti, la cui quantificazione come visto spetta unilateralmente all’Ufficio, il vantaggio per il contribuente risiede solo “a valle”, nell’applicazione della falcidia concordataria cui abbia prestato adesione l’amministrazione.

Si può quindi concludere che la transazione fiscale, per come configurata, non scardini il principio di indisponibilità della pretesa tributaria, poiché in sostanza il Fisco rinuncia a riscuotere ciò che verosimilmente non potrebbe, in concreto, riscuotere; al tempo stesso, si avvantaggia della cessazione delle liti pendenti, così come il contribuente si avvantaggia – e con lui tutti gli altri creditori concorsuali - del definitivo consolidamento della debitoria tributaria e della preclusione delle liti future.

Appare comunque evidente come le variabili sottese alla scelta delle parti siano tante e tali che immaginare una obbligatorietà dell’accordo risulta difficile, oltre che concettualmente contrario alla stessa essenza, consensuale e volontaria, dell’accordo transattivo.

Laddove poi la transazione fiscale non si concluda, è chiaro che l’amministrazione conserverà integro il potere di accertare maggiori imposte, così come il contribuente quello di coltivare le liti pendenti o impugnare gli ulteriori atti impositivi.

 

9. Il variegato trattamento dell’Iva nelle procedure concorsuali

Fatta salva un’eventuale (ulteriore) questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., l’attuale dato normativo (art. 182 ter l.f.) – che impone tanto nel concordato preventivo con transazione fiscale, quanto nella transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f., l’obbligo di pagamento integrale, ancorché dilazionato, dell’Iva, nonché delle ritenute fiscali operate e non versate – sembrerebbe insuperabile (v. Cass. n. 18561/16 cit.).

Analogo sbarramento normativo insiste nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (accordo di ristrutturazione e piano del consumatore), le quali, pur non contemplando la transazione fiscale, consentono solo la dilazione dell’Iva e delle ritenute operate e non versate, nonché (lì anche) dei tributi costituenti risorse dell’Unione europea (art. 7, l. n. 3/2012).

Al contrario, non vi sono preclusioni di sorta – diverse da quelle strettamente procedurali – al pagamento parziale dell’Iva nel fallimento e nel concordato fallimentare, così come, del resto, nelle procedure esecutive individuali.

Allo stesso modo, l’esdebitazione – sia nel fallimento (art. 142 l.f.) che nella liquidazione del sovraindebitato (art. 14 quaterdecies l. n. 3/2012) – non annovera l’Iva tra i debiti esclusi, tra i quali figurano, in entrambi i casi, gli obblighi di mantenimento e alimentari, il risarcimento da illecito extracontrattuale, le sanzioni penali e amministrative.

Ad essi si aggiungono, per il fallito, le «obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa» (cui l’amministrazione finanziaria vorrebbe ricondurre i debiti tributari, in quanto “solo occasionalmente” collegati all'esercizio dell'impresa).

E, per il sovraindebitato, «i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di cui alla sezioni prima e seconda del presente capo, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi» (art. 14 quaterdecies, co. 3, lett. c), l. n. 3/2012). Disposizione, questa, che infligge un serio vulnus al consolidato orientamento sul concetto di anteriorità dei crediti (anche tributari) vincolati dal concordato omologato ai sensi dell’art. 184 l.f.

A livello comparatistico, può rammentarsi che nella più nota ed omologa procedura statunitense (discharge) alcuni tributi sono effettivamente esclusi dall’effetto esdebitatorio.

Ciò spiega perché come visto la Cassazione (sez. VI-T, 1 luglio 2015, n. 13542), nutrendo perplessità sull’esdebitazione del fallito dal debito per Iva, ha investito pregiudizialmente la Corte di Giustizia del quesito «se l'art. 4, paragrafo 3, TUE e gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva 77/388 (..) devono essere interpretati nel senso che essi ostano all'applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dal R.D. n. 267 del 1942, artt. 142 e 143».

In particolare, i giudici di legittimità si sono domandati «se l'inderogabilità dell'IVA, da ultimo sottolineata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 25 luglio 2014, possa cedere o meno a fronte di un accertamento giudiziale di incapienza della procedura fallimentare, e di meritorietà dell'imprenditore fallito».

Come anticipato, una volta intervenuta la sentenza Degano, la risposta al quesito dovrebbe seguire lo stesso solco, forse anche con maggiore convinzione, posto che l’esdebitazione si pone a valle di un procedimento strettamente liquidatorio di tutto il patrimonio del debitore, sicchè l’unica prospettiva diversamente praticabile sarebbe puntare sui suoi beni futuri (art. 2740 c.c.). Ma una simile posizione si porrebbe in forte distonia con il principio del fresh start su cui fa vigorosamente leva la stessa Unione.

Tuttavia, non può escludersi che la Corte di giustizia affronti la questione sulla base di presupposti diversi, tenendo conto delle evidenti differenze esistenti tra le due tipologie di procedure concorsuali implicate.

   

10. Profili penali

L’art. 29, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla l. 30.7.2010, n. 122, ha introdotto una nuova fattispecie di reato – il cd. “falso in transazione” – punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, per «chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila»; la pena è aumentata alla reclusione da uno a sei anni per importi superiori ad euro duecentomila.

Sebbene la norma faccia esplicito riferimento alla documentazione depositata ai fini della transazione fiscale, si è posto il quesito di una possibile rilevanza penale, ai fini di detto reato, dell’eventuale occultamento di un debito tributario – ed in particolare dell’Iva, in quanto tributo non falcidiabile – nelle dichiarazioni già presentate. Per quanto una simile interpretazione sia finalizzata a scongiurare un possibile “abuso della transazione fiscale”, destinata ad eludere futuri accertamenti grazie all’effetto del consolidamento del debito fiscale, essa pare impedita dal principio di stretta interpretazione delle norme penali, tanto più che quella in esame considera espressamente solo l’indicazione di «elementi attivi inferiori» ed «elementi passivi fittizi».

Un secondo aspetto da valutare è l’impatto della falcidiabilità dell’Iva sul piano penale, specie dopo le innovazioni apportate dal d. lgs. 24 settembre 205, n. 158, con particolare riguardo alla applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 11 che, modificando l’art. 13, d.lgs. n. 74/2000 (ora rubricato «Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario»), ha previsto al primo comma – in luogo della precedente circostanza attenuante ad effetto comune ex art. 62, n. 6, c.p.[48], cui si aggiungeva l’inapplicabilità delle pene accessorie– la non punibilità dei reati tributari di cui agli artt. 10 bis (omesso versamento di ritenute dovute o certificate), 10 ter (omesso versamento di Iva) e 10 quater (indebita compensazione) del d.lgs. n. 74/2000, qualora, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, i debiti – comprensivi di sanzioni amministrative ed interessi – siano estinti «mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».

Analoga causa di non punibilità è prevista dal secondo comma dell’art. 13 cit. per i reati di cui agli artt. 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione), purché i debiti tributari – comprese sanzioni e interessi – siano estinti mediante integrale pagamento, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa (entro il termine relativo al periodo d’imposta successivo), purché prima della formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Orbene, pur non rientrando formalmente la procedura di concordato preventivo tra quelle ivi elencate, potrebbe assumersi – in forza del principio del favor rei – che l’integrale pagamento degli importi dovuti possa essere limitato alla percentuale concordataria, stante l’efficacia esdebitatoria del concordato; e ciò indipendentemente dal voto favorevole dell’Agenzia delle entrate, che comunque sarebbe tenuta al rispetto della proposta concordataria approvata ed omologata, ai sensi dell’art. 184 l.f.[49].

Tra l’altro, a differenza della previgente disciplina (che richiedeva l’integrale pagamento di quanto dovuto all’Erario, entro l’apertura del dibattimento), nella nuova è sufficiente che a quella data il debito tributario sia «in fase di estinzione mediante rateizzazione», ed al riguardo il successivo terzo comma del novellato art. 13, d.lgs. n. 74/2000 precisa che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il giudice – anche ai fini dell'applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 13-bis – concede un termine di tre mesi, discrezionalmente prorogabile per un massimo di ulteriori tre mesi (durante i quali la prescrizione è sospesa), onde consentire il pagamento del debito tributario residuo.

Ebbene, con ordinanza del 23 febbraio 2016, il Tribunale di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, d. lgs. n. 74/2000 (come modificato dall’art. 11, d. lgs. n. 158/2015) per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non consente, almeno in determinati casi, di concedere un termine più lungo, coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione[50].

La vicenda concreta riguardava invero un soggetto imputato per omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. 74/2000), il cui debito tributario era «in fase di estinzione mediante rateizzazione» proprio nell'ambito di una procedura di concordato preventivo con transazione fiscale, la quale prevedeva il pagamento integrale in linea capitale dell'intero debito tributario (nonché sanzioni nella misura del 10% ed interessi nella misura del 3,5 %), in base al “cronoprogramma” del piano concordatario la cui scadenza finale oltrepassava, però, il termine massimo dei sei mesi previsto dalla legge.

Secondo il giudice remittente, sarebbe irragionevole (tra l’altro) il pregiudizio subito dall’imputato che, quale debitore concordatario, sia obbligato a rispettare le previsioni del concordato preventivo omologato, ove ogni debito dev'essere pagato nell'ordine, nella misura, nei tempi e con le modalità stabilite nel piano concordatario, ai sensi degli artt. 167, 168 e 184 l.f., pena la sua risoluzione ai sensi del successivo art. 186 l.f.

Sempre in tema, merita infine un richiamo l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31 ottobre 2015, con cui il G.i.p. del Tribunale di Varese ha rimesso al vaglio dei giudici di Lussemburgo alcune questioni relatore alla nuova disciplina dei reati tributari – alla luce delle disposizioni di cui all’art. 325, § 1, TFUE, all’art. 4, § 3, TUE ed a varie disposizioni della direttiva 2006/112 – ivi compresa la causa di non punibilità connessa all'eventuale estinzione del debito tributario ex art. 13, d.lgs. n. 74/2000, ritenuta potenzialmente confliggente con il secondo corollario del principio di leale collaborazione, i.e. quello di efficacia-proporzionalità.

In particolare, con riguardo all’omesso versamento dell'IVA si è rilevato che, non richiedendosi - ai fini dell’operatività della causa di non punibilità - che il pagamento sia spontaneo, esso ben potrebbe avvenire sulla base di calcoli utilitaristici, fermo restando l’effetto dissuasivo della persistente debenza delle sanzioni amministrative.

Tuttavia, il doppio binario sanzionatorio non opererebbe ove il rapporto fiscale faccia capo ad una persona giuridica, poiché in tal caso, mentre eventuali sanzioni penali investono unicamente la persona fisica (amministratore, legale rappresentante) – stante la mancata inclusione delle fattispecie regolate dal d.lgs. n. 74/2000 nel novero dei reati-presupposto idonei a fondare una responsabilità a carico dell'ente, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 – sul versante amministrativo l'art. 7, d.l. n. 269/2003 prevede che «le sanzioni relative al rapporto fiscale proprio di società o enti sono esclusivamente a carico delle persone giuridiche», per cui nei confronti dell’amministratore-persona fisica che estingua il debito tributario nei termini stabiliti dall'art. 13 verrebbe a mancare anche la funzione general-preventiva connessa alla minaccia di sanzioni amministrative pecuniarie.

Di qui la sollecitazione dei giudici di Lussemburgo circa la compatibilità con i canoni di effettività, proporzionalità e dissuasività sanciti dagli artt. 4, § 3, TUE e 325 TFUE di una disciplina nazionale che comporta (alle condizioni sopra enunciate) l'esenzione da sanzioni in senso lato punitive, a fronte di comportamenti riconducibili all’alveo dell'art. 10-ter[51].

E’ evidente che, tanto dalla pronuncia della Consulta, quanto da quella della Corte di giustizia dell’unione europea, potranno trarsi importanti elementi per la soluzione delle varie problematiche sopra delineate.


11. Conclusioni

Nella prospettiva dell’attesa riforma organica del sistema concorsuale, con cui si auspica il definitivo appianamento delle numerose dissonanze evidenziate, dovrà porsi grande attenzione anche ai profili secondari dischiusi dalla pronuncia dei giudici di Lussemburgo, con particolare riferimento al tema dell’indipendenza del professionista attestatore e dell’ambito del controllo giudiziale.

Temi la cui importanza e delicatezza era stata invero già preconizzata nel corso dei lavori della Commissione Rordorf, tanto che nel disegno di legge-delega che ha recepito la relativa proposta (con poche, ma affatto marginali, integrazioni), ora all’esame della Camera, l’art. 6 – dedicato ai criteri di delega relativi alla «Procedura di concordato preventivo»contempla sia «la fissazione delle modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano» (lett. d), sia la «esplicitazione dei poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla realizzabilità economica dello stesso» (lett. f).

Si tratta, a ben vedere, di veri e propri “snodi”, dei quali è stata chiaramente percepita la decisività, in quanto funzionali ad assicurare la serietà del trattamento falcidiato di Iva e ritenute, così come di ogni altro credito munito di prelazione.



[1] L’articolo rappresenta un estratto della Relazione tenuta presso la Corte di Cassazione il 29 settembre 2016, in occasione dell’incontro di studio su «Le peculiarità dell’accertamento e della riscossione dei crediti tributari nei confronti dell’imprenditore fallito o ammesso al procedimento di concordato preventivo», organizzato dalla Formazione decentrata nell’ambito del «Primo ciclo di seminari di approfondimento di temi tributari», il cui testo integrale verrà pubblicato nel n. 6/2016 della Rivista di diritto tributario.

[2] Si veda, con riguardo alla funzione nomofilattica, l’analisi critica di Pardolesi R., Sassani B., Motivazione, autorevolezza interpretativa e “trattato giudiziario”, in F.it., 2016, V, 299 ss., ove si stigmatizza il vezzo di testi prolissi, pseudo-accademici ed astratti, «spesso ai limiti dell’illeggibilità obiettiva», con il rischio «di motivazioni faticose, quando non incomprensibili per l’operatore medio», propugnandosi risolutamente che «le sentenze servono a risolvere, con la massima chiarezza possibile, questioni di diritto; non sono opera d’arte, né di scienza».

[3] Cfr. Falsitta G., Manuale di diritto tributario, Padova, 2012, 100 ss.; a p. 201 l’Autore sottolinea altresì il frequente ricorso, nell’interpretazione della legge tributaria, all’argomento apagogico (o reductio ad absurdum).

[4] Risultante dallo stralcio, deliberato dalla Camera il 18.5.2016, dell’art. 15 («Amministrazione straordinaria») del dis. legge C. 3671, dal cui titolo originario - «Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza» - è stato significativamente eliminato proprio l’aggettivo «organica».

[5] Nella Relazione illustrativa al d.l. 29.11.2008, n. 185 (cd. decreto anticrisi), conv. dalla l. 28.1.2009, n. 2, si legge che la non falcidiabilità dell’Iva è «scaturita dalla necessità di non contravvenire alla normativa comunitaria che vieta allo Stato membro di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica» di tale imposta armonizzata.

[6] Si veda l’art. 18, d.l. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla l. 17.12.2012, n. 221) che ha modificato l’art. 7, l. 27.1.2012, n. 3, prescrivendo che nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento – ove non è contemplata la transazione fiscale – «in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».

[7] Sempre nel 2006, con l’art. 37, co. 51, d.l. 4.7.2006 n. 223 (conv. dalla l. 4.8.2006, n. 248) sono stati espunti dall’ordinamento gli istituti che consentivano la definizione della base imponibile di esercenti attività di impresa e di lavoro autonomo attraverso il “concordato triennale preventivo” (introdotto dall’art. 6, l. 27.12.2002, n. 289), la “pianificazione fiscale concordata” e la “programmazione fiscale”, quest’ultima appena introdotta dalla legge finanziaria per il 2006 (art. 1, co. 499 ss, l. 23.12.2005, n. 266).

[8] Vella P., La transazione fiscale nel concordato preventivo, in Minutoli G. (a cura di), Crisi di impresa ed economia criminale,Milano, 2011, 305.

[9]Per la non applicabilità estensiva della norma eccezionale sulla falcidia dei crediti tributari agli altri crediti privilegiati nei concordati preventivi ante decreto correttivo, v. Cass. 22.3.2010, n. 6901

[10] Così restando superata per via normativa la tesi della falcidiabilità dell’Iva quale mero trasferimento finanziario e non già risorsa propria dell’Unione europea (come i diritti agricoli ed i tributi doganali): Trib. Milano 16.4.2008, in www.ilcaso.it; Trib. Bologna 26.10.2006, in Fall., 2007, 579; contra Trib. Lamezia Terme 23.6.2008, in Dir.fall., 2009, 224; Trib. Piacenza 3.7.2008, in Fall., 2009, 66).

[11] Trib. Monza 22.12.2011; contra, per il suo carattere imperativo, Trib. Udine 15.6.2011, entrambe in www.ilcaso.it

[12] In termini, esplicitamente, Cass. sez. I, 22.9.2016, n. 18561

[13] T.A.R. Catanzaro 27.7.2012, n. 424, in www.giustizia-amministrativa.it che sottolinea la posizione di interesse legittimo del contribuente rispetto all’esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione finanziaria

[14] C.T.P. Milano 14.2.2014, in Fall., 2014, 1222. Per una panoramica sul tema v. Miconi F., La transazione fiscale, in Fall., 2015, 733 s.

[15] Coinvolgente la spinosa tematica della tutela del diritto soggettivo di natura processuale, su cui v. Cass. S.U. 2.2.2016, n. 1914 (Rv. 638368) in tema di impugnabilità ex art. 111, co. 7, Cost., dell’ordinanza ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.

[16] Nasta S., Transazione fiscale: un’opportunità per l’imprenditore in crisi, in Corr.trib., 2015, pag. 784

[17] Contarini Belli E., Con la transazione si fermano tutte le liti tributarie, IlSole 24ore, 29.5.2016.

[18] App. Venezia, 30.10.2014, Trib. Roma, 2.8.2010 e Trib. Monza, 23.12.2009, in www.ilcaso.it; Trib. Roma 20.4.2010, in Dir. fall., 2011, 398; Trib. Milano 12.10.2009, in Dir.prat.soc., 2010, 81; Trib. Piacenza 1.7.2008, in Dir.fall., 2009, 66. In dottrina Pannella P., L’incognita transazione fiscale, in Fall., 2009, 646; Attardi C., Sul carattere necessario del procedimento amministrativo di transazione fiscale, in Riv.dir.trib., 2012, I, 558; Allena M., La transazione fiscale, in Vassalli F., Luiso P., Gabrielli E. (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, Torino, IV, 607. Per un vaglio critico v. anche Vella P., op.cit., 319 ss.

[19]App. Torino 23.4.2010; Trib. Ravenna 21.1.2011, in www.ilcaso.it; Trib. Monza 15.4.2010, in Fall., 2011, 82 ss. In dottrina v. Randazzo F., Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv.Dir.Trib., 2008, 825 ss; Marengo F., La Malfa A., Transazione fiscale e previdenza, Santarcangelo di Romagna (RN), 2010, 183.

[20]Trib. Bergamo, 10.2.2011, Trib. Ravenna, 21.1.2011, App. Firenze, 13.4.2010; App. Genova, 19.12.2009, in www.ilcaso.it; App. Torino, 6.5.2010 in Corr.Giur., 2011, 863;Trib. Asti, 3.2.2010 in Fall., 2010, 707; Trib. La Spezia, 2.7.2009, in Giur.comm., 2009, 487; Trib. Mantova, 26.2.2009, in Giur.comm., 2010, 531; Trib. Venezia, 27.2.2007, in Fall., 2007, 1466. In dottrina cfr. La Malfa A., Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, in Corr.trib., 2009, 709; Stasi E., Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale, in Fall., 2011, 85 ss.

[21] Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2011, n. 21659.

[22]conf. Cass. n. 9373/12.

[23]Tradizionalmente, sono sempre stati considerati crediti tributari anteriori quelli per i quali si sia verificato il presupposto impositivo, a prescindere dal momento dell’accertamento ed iscrizione a ruolo: cfr. Cass. S.U. nn. 9201/90 e 4779/87; tale assunto è stato però scardinato dalla recente previsione dell’art. 14 quaterdecies, comma 3, lett. c), l. n. 3/2012, sia pure ai soli fini della esdebitazione del sovraindebitato.

[24] Cass. civ., sez. I, sent. 30.4.2014, n. 9541; sent. 25.6.2014, n. 14447; ord. 9.2.2016, n. 2560.

[25] Cass. pen., 31.10.2013, n. 44283; conf. Cass. pen., 31.3.2016, n. 8804.

[26] La Croce G., Il credito erariale Iva tra orientamenti U.E. e arresti della Cassazione, in Fall., 2012, 152, per cui «il richiamo agli orientamenti giurisprudenziali comunitari posto a base del proprio arresto dal giudice di legittimità deve essere considerato del tutto inconferente, poiché, ove il debitore non avesse integrato il procedimento principale del concordato con il sub-procedimento non obbligatorio della transazione fiscale, nella falcidia conseguente non sarebbe ravvisabile alcuna attività ad iniziativa statale – come la promulgazione di una legge di condono – atta a costituire il presupposto di una rinuncia generalizzata al recupero della imposta sul valore aggiunto», limitandosi lo Stato in un siffatto frangente a subire, «al pari degli altri creditori, il trattamento previsto dalla norma generale sull’ordine dei privilegi»; cfr. Vella P., La problematica scissione tra facoltatività procedimentale e obbligatorietà sostanziale dell’art. 182 ter l.f., in Fall., 2012, 172 ss.;Bozza G., Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 377;Andreani G., L’obbligo del pagamento dell’Iva e delle ritenute nel concordato preventivo con e senza transazione fiscale, in Riv.Dir.Trib., 2013, 1001; Fabiani M., La falcidiabilità di tutti i crediti tributari e l’equivoco della lettura della Cassazione, in Fall., 2014, 262 ss.

[27] App. Venezia, 23.12.2013; App. Genova, 27.7.2013; Trib. Bari, 3.7.2014; Trib. Ascoli Piceno, 14.3.2014; Trib. Padova, 30.5.2013; Trib. Busto Arsizio, 7.10.2013; Trib. Campobasso, 31.7.2013; Trib. Cosenza, 20.5.2013; Trib. Como, 25.2.2013; Trib. Vicenza, 27.12.2013, Trib. Varese 30.6.2012, in www.ilcaso.it; Trib. Perugia, 16.7.2012, in Fall., 2013, 125. In linea con la Cassazione, invece: App. Venezia, 30.10.2014; App. Brescia, 13.9.2013; Trib. Reggio Emilia, 28.5.2014; Trib. Monza, 2.10.2013; Trib. Milano, 29.5.2013, in www.ilcaso.it. Addirittura secondo Trib. Padova, 30.5.2013 e Trib. Vicenza, 27.12.2012, ibidem, finanche la finanza esterna dovrebbe indirizzarsi al pagamento integrale dell’Iva; contra Cass. 8.6.2012, n. 9373, ritiene che le risorse esterne possano essere liberamente utilizzate, purché non si traducano in un aumento del passivo o una modifica dell’attivo.

[28] In senso critico, Andreani G., Legittimità costituzionale della infalcidiabilità del credito Iva nel concordato preventivo, in Fisco, 2014, 3383; Stasi E., L’infalcidiabilità dell’Iva nel concordato preventivo alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale, in Fall., 2015, 41. V. Trib. Benevento, 25.9.2014, in Fall., 2015, 11. Cfr. Perrino A.M., in Foro it., 2014, 11, 3012, per cui la sentenza sarebbe effettivamente «costruita su un equivoco, ma i principi da essa affermati, per la loro portata generale, sono idonei a risolvere anche la questione fraintesa».

[29] Decr. pres. 8.1.2015, su istanza di parte ex art. 374, co. 2, c.p.c.

[30] Emblematici gli stessi titoli dei primi commenti: v. Perrino A.M., Ad impossibilia nemo tenetur: tra eccesso di zelo e stupita sorpresa in tema di falcidiabilità dell’Iva, in F.it., 2016, IV, 274, ove si sottolinea «la sorpresa della Corte di giustizia al cospetto della questione postale» ed il fatto che «tanto lampante è giudicata la soluzione, quindi, che la corte risolve la questione direttamente, interpretando essa stessa il diritto interno, senza neanche lo schermo del rinvio di cortesia alle verifiche del giudice nazionale», osservando che «la reazione della corte è determinata da un eccesso di zelo della giurisprudenza interna ... espresso dalla giurisprudenza di legittimità e da larga parte di quella di merito che vi si è conformata ... ma che ha contaminato anche la Corte costituzionale»; Fabiani M., La caduta dell’alibi sopranazionale a proposito di concordato preventivo e soddisfacimento integrale del debito Iva, in F.it., 2016, IV, 270, il quale osserva che alla lettura “espansiva” dell’art. 182 ter l. fall. della corte di legittimità, avallata dal giudice delle leggi, si sono progressivamente “assuefatti” anche i giudici di merito, né vi hanno saputo “resistere” gli imprenditori,«col risultato di “decapitare” sin dall’inizio molte possibili soluzioni negoziate della crisi d’impresa», in forza di «una solida autoreferenzialità che oggi, con la pronuncia della Corte di giustizia, trova una parziale ma puntuale ed efficace smentita».

[31] v. Comunicazione Commissione UE 2007/C 272/05 del 15.11.2007, § 61 e 69; cfr. C. giust., 25.1.2013, causa C-529/09, Commissione contro Regno di Spagna, Megefesa, § 107.

[32] Ficari V., La Corte UE ammette la riduzione dell’IVA mediante la transazione fiscale, in Corr.trib., 2016, 1551.

[33] Vella P., La riforma organica delle procedure concorsuali: un nuovo approccio in linea con le indicazioni dell’UE, in Soc., 2016, 734 ss.

[34] v. Rocco G., La natura inscindibile della transazione fiscale: profili applicativi, in Dir.fall., I, 2012, 14384 s.

[35] La Malfa A., Divieto di falcidia dell’IVA, specialità dell’art. 182 ter e riflessi sul consolidamento dei debiti e cessazione delle liti, in Fall., 2015, 470 ss.

[36] Bozza G., Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 393

[37] Secondo Fabiani M., La caduta dell’alibi sopranazionale cit., è «come se in sede di conversione del pignoramento il debitore dovesse vedere aggravata la propria posizione in quanto evita l’esecuzione forzata»; l’Autore auspica perciò un rapido overruling da parte dei giudici di legittimità, «sul quale non dovranno “pesare” riflessioni di finanza pubblica o considerazioni sulla meritevolezza del debitore, in quanto dovrà risultare dominante il valore della tutela del diritto di credito di tutti i creditori».

[38] Zanichelli V., La transazione fiscale, in Dir.prat.trib., I, 2015, 84 s.

[39] Bozza G., op.cit., 377 ss.

[40] Falsitta G., Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv.dir.trib., 2007, I, 1057

[41] Basilavecchia M., Profili costituzionali della riscossione, in Riv.dir.trib., 2015, I, 475; cfr. Rocco G., Iva e transazione fiscale: le prospettive alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia e del diritto europeo, in Dir.fall., 2016, 757 s.

 

[42] La Croce G., La transazione fiscale, Milano, 2011, 78 ss.

[43] conf. C.T.R. Lombardia 21.10.2014, in Fall., 2015, 24; Trib. Ascoli Piceno, 14.3.104 e Trib. Benevento 25.9.2014, entrambi in www.ilcaso.it

[44] La Malfa A., op.ult.cit., 475.

[45] Rocco G., Iva e transazione fiscale alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia e del diritto europeo, Dir.fall., 2016, 754.

[46] V. Cass. civ. sez. I, 14.9.2016, n. 1809, che ha sostenuto l’utilizzabilità del concetto di atto di frode elaborato in relazione all’art. 173 l.f. ai fini dell’annullamento del concordato preventivo ai sensi dell’art. 186 l.f.

[47] Rocco G., op.ult.cit., 762 s.

[48] In proposito merita menzione la recente pronuncia della Cassazione penale (sent. n. 40314 del 28.9.2016) in ordine ad una imputazione del legale rappresentante di una S.r.l. per il reato di omesso versamento dell’IVA, ove si è affermato che, in merito alla causa di non punibilità configurata dall’art. 13, d.lgs. n. 74/2000, il pagamento integrale del debito tributario comporta l’estinzione del reato sia se avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, come richiesto dalla norma, sia – nei procedimenti in corso alla data del 22 ottobre 2015, di entrata in vigore della “novella” – sia se intervenga dopo, purché prima del formarsi del giudicato, e ciò in ossequio al principio di uguaglianza, che sarebbe leso nel caso in cui tale possibilità venisse negata in funzione di una mera preclusione temporale.

[49] In senso favorevole, trattandosi di interpretazione in bonam partem, F. Pedoja, La falcidiabilità concordataria del credito Iva: storia infinita o storia finita?, in Fallimenti e Società.it, pag. 4. Sul tema si veda anche il contrasto già emerso ante riforma tra le posizioni più o meno restrittive della Cassazione penale quanto a parametrazione concordataria del reato di omesso versamento dell’Iva (cfr., ex ceteris, Cass. pen., sez. III, 23.9.2013, n. 39101; 14.5.2013, n. 44283; 16.4.2015, n. 15853).

[50] L’ordinanza è commentata, ex aliis, da A. Perini, Incostituzionale la nuova causa di esclusione della punibilità prevista per i reati tributari di omesso versamento?, in Riv.dir.trib., suppl. online, n. 4/2016; S. Finocchiaro, La nuova causa di non punibilità per estinzione del debito tributario al vaglio della Corte costituzionale da un’ordinanza del Tribunale di Treviso, in www.penalecontemporaneo.it, 4.4.2016

[51] Cfr. L. Zoli, La disciplina dei reati tributari al vaglio della Corte di giustizia UE, in www.penalecontemporaneo.it, 15.4.2016


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